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Commento alla Parola domenicale

19 novembre

XXXIII domenica del tempo Ordinario

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Sei stato fedele nel poco…

La parabola di quest’oggi ci provoca, quest’uomo se ne va e lascia i suoi beni ai servi, ciascuno di loro riceve qualcosa secondo le proprie capacità. I ragazzi questa settimana hanno risposto a questo brano dicendo che i servi devono essere riconoscenti perché tutti hanno ricevuto qualcosa e perché ciò che hanno ricevuto non era dovuto, non era il loro salario ma un di più… è proprio così, ma non solo hanno ricevuto qualcosa, hanno ricevuto ciò che si addiceva a ciascuno, secondo le loro capacità personali.

Non confondiamo la parola talenti della parabola con i talenti, con le capacità o propensioni che ciascuno di noi ha innate o coltivate nella propria vita… non è questa la direzione di Gesù.

Anzitutto che bello quel 5-2-1, non è una consegna impersonale, per tutti uguale, anonima, ma il Signore ci conosce bene, nel profondo e non ci consegna più di quanto possiamo portare. Pensiamo ad un’escursione in montagna, se in tre partono, un ragazzino delle elementari, un adolescente che è la prima volta che sale in montagna e un esperto alpinista, io mi auguro che i loro 3 zaini saranno diversi e non esattamente uguali, per essere equi, non devono pesare esattamente allo stesso modo, ma devono rispettare la costituzione e l’esperienza di ciascuno. Per cui il fatto che il ragazzino più giovane avrà uno zaino più leggero non è questione di sfiducia o di svantaggio nei suoi confronti, anzi, è proprio il metterlo nelle condizioni migliori per poter camminare e far fruttare il contenuto dello zaino… avere infatti un bello zaino pesante e non riuscire ad uscire dal parcheggio dove lasci l’auto forse non è propriamente far fruttare il contenuto dello zaino.

Così è per quei tre servi, ma così è per la vita di ciascuno di noi, il Signore non ci schiaccia con dei pesi che non possiamo sopportare, 5-2-1 sono proprio la misura delle nostre forze.

Ma se questa è la grazia che ci raggiunge, questa grazia ha bisogno di essere riconosciuta e trasformata in vita vera, in vissuto quotidiano. Non possiamo nascondere sotto la terra dei nostri affari quotidiani la grazia che ci raggiunge, per paura che questa grazia in qualche modo coinvolga la nostra vita, che la interpelli, che abbia qualcosa da dire al nostro modo di scegliere e di decidere… altrimenti anche noi, come il terzo servo, in fin dei conti stiamo dicendo al Signore che abbiamo paura che il suo dono non sia dopo tutto qualcosa di buono per me. Chiediamo al Signore la grazia della riconoscenza per il dono di grazia che avvolge la nostra vita e chiediamo di aprirci ogni giorno affinché questo dono ci interpelli nel cammino di conversione personale e comunitario, affinché nel nostro sentirci fratelli, tutti destinatari di questa grazia, sappiamo aprire i nostri occhi anche a chi è intorno a noi e a volte non ha nemmeno il necessario per vivere.

Di |2017-11-18T11:13:48+01:0019/11/2017|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola domenicale

12 novembre

XXXII domenica del tempo Ordinario

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Ci stiamo avvicinando alla conclusione dell’anno liturgico e la liturgia ci invita in maniera forte a restare in attesa, la parabola di oggi ci introduce proprio in questa dimensione…

10 vergini, 10 ragazze che attendono lo sposo per fare festa. Sono uguali in molte dimensioni: tutte partono con entusiasmo da casa, tutte hanno il desiderio di partecipare a quella festa, riconoscono con gioia e gratitudine l’opportunità racchiusa in quell’invito e vanno, si pongono in attesa…

Ma l’attesa stanca, logora, nel corso dell’attesa l’entusiasmo si riduce, si spegne… viene sera, si fa buio… e lo sposo non arriva… la stanchezza si fa avanti… e tutte e 10 si addormentano… che grazia il fatto che non si addormentino solo le 5 dichiarate stolte ma si addormentino tutte… sì, perché così c’è posto in questo brano proprio per ciascuno di noi… quanto entusiasmo per il Signore avvolge alcuni momenti della nostra esistenza, quante volte il nostro cuore si è rivolto a Lui con passione, con gioia, con fiducia… eppure altrettanto, quante volte il nostro entusiasmo si è spento, la nostra vita di fede, il nostro desiderio di incontrare Gesù si è un po’ addormentato…

Gesù non fa una colpa a nessuna di quelle ragazze per essersi addormentate nell’attesa, non abbattiamoci per questo, ma riconosciamo che a quel grido che si alza a mezzanotte tutte si svegliano e si danno da fare per essere nuovamente pronte al suo arrivo… l’entusiasmo si riaccende, sembra di vederle e sentirle così prese e indaffarate, così subito sveglie… quante volte nelle nostre eucarestie sembriamo addormentati, le parole ci escono a fatica dalle labbra, quasi le trasciniamo come se fossimo appena scesi dal letto… il Signore ci chiede di essere vitali, di essere vivaci di accogliere lo sposo che arriva, non un funerale o qualcosa di triste, anche dalle nostre liturgie deve trasparire la gioia dell’arrivo di questo sposo, la gioia di incontrarlo di stare con lui… ma pensate che gioia passa se uno sta ancora dormendo o ha l’atteggiamento di essere appena sceso dal letto…

Ma quelle 10 non sono tutte uguali, la loro differenza non sta nel momento dell’attesa, bensì della preparazione, 5 sagge hanno preparato l’incontro, le altre sono state più sprovvedute.

Chiediamo al Signore la grazia di saper raccogliere nel corso delle nostre giornate quell’olio che alimenterà la nostra lampada, è un olio personale, come personale è la nostra vita di fede e la nostra relazione con il Signore, è un olio che non posso chiedere ad un altro di procurarsi per me, è l’olio della fedeltà al Signore che passa dalle piccole scelte di ogni giorno.

Questo olio, raccolto dalla spremitura di ogni giornata alimenti le nostre lampade per accogliere il Signore che viene nella nostra storia, allora sarà festa, allora sì saremo con lui per la vita eterna.

Di |2017-11-11T09:53:42+01:0011/11/2017|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola domenicale

05 novembre

XXXI domenica del tempo Ordinario

Festa della dedicazione della Basilica

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Stiamo celebrando la festa della dedicazione di questa basilica e il vangelo che abbiamo appena ascoltato ci riporta proprio al centro del significato del nostro incontrarci in questo luogo.

Il rischio che corriamo ogni giorno, infatti, è quello di fermarci ad un livello di esteriorità… ad un bisogno di far vedere fuori qualcosa che non corrisponde a ciò che c’è dentro… potremmo dire che il rischio che ancora oggi si perpetua da quegli scribi e farisei di cui parlava Gesù, è quello che anche noi abbiamo ad allargare i nostri filatteri… è un edificio bello e ricco di opere e di storia quale è questo dove stiamo celebrando può proprio illuderci che stia nella preziosità o nella suntuosità delle opere a risiedere la dignità della celebrazione e la possibilità di un incontro autentico con il Signore.

Quante volte poi ci illudiamo di dover moltiplicare i gesti o le parole, quasi che quanto ci consegna il Signore attraverso la Chiesa non basti per incontrarlo veramente… quante frange ci troviamo ad allungare nella nostra vita di fede… quante volte il nostro cuore è da un’altra parte rispetto a ciò che vogliamo mostrare all’apparenza…

Il Signore ci mette in guardia rispetto a questo, ci chiede di essere trasparenti, ci invita a rendere vita quello che celebriamo tutti insieme qui, intorno a questo altare.

Se la preghiera rimane solamente una serie di parole, un bel monologo lanciato verso il Cielo, ma non lasciamo che quella stessa preghiera pervada il nostro cuore, lo inzuppi un po’ come una spugna, quella preghiera, anche nella pratica più alta quale è la celebrazione che stiamo vivendo, rimane sterile e arida… non perché l’acqua non sia capace di bagnare ma perché se quella spugna la tengo stretta in mano e non le faccio toccare l’acqua… mai si ammorbidirà per diventare capace di accoglierla.

Questa celebrazione ci aiuti a riconoscere ogni giorno che non è questione di dove celebro l’Eucarestia o dove mi trovo a pregare fisicamente… ma la questione fondamentale che dovrebbe preoccuparci ogni volta è dove si trova il mio cuore in quel momento e che disponibilità ho a far sì che il mio cuore si lasci inzuppare dalla mia preghiera, che la mia vita sia implicata veramente nella mia preghiera, quanto sono disposto a mettermi in gioco in prima persona perché i miei atti di fede diventino vita autentica, diventino porta per la mia conversione personale, allora e solo allora anche queste pietre e queste opere ci aiuteranno ad incontrare il Signore con tutto noi stessi.

Di |2017-11-04T09:45:15+01:0004/11/2017|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola

01 novembre

Solennità di Tutti i santi

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Stiamo celebrando la solennità di Tutti i Santi, quanto è significativo il fatto che non sia una domenica bensì un giorno feriale, un giorno qualunque oserei dire… sì perché in questo modo ci sottolinea il fatto che la santità non ha a che fare con qualcosa di eclatante, di eccezionale e non è nemmeno qualcosa riservato a qualcuno, ad una piccola cerchia elitaria che, dotata di qualche capacità fuori dal comune, sia riuscita in qualcosa di sovrumano. Celebrare i santi in un giorno comune, ci fa pensare alla santità come anzitutto qualcosa di comune, di disponibile ed accessibile a tutti, alla portata di ogni battezzato. Il cammino verso la santità, la chiamata, la vocazione alla santità è già seminata in ciascuno di noi, infatti, fin dal nostro battesimo. Ogni cristiano ha come orizzonte della sua esistenza la santità. Non confondiamola con i miracoli che sono raccontati nelle agiografie di qualche santo… non è questione di operare cose straordinarie, bensì proprio come seconda sottolineatura che ci viene dal festeggiare i santi in un giorno feriale, la santità è proprio qualcosa che ha a che fare con la ferialità della vita, con quella dimensione molto ordinaria della vita di ciascuno di noi, quelle attività, quelle relazioni, quelle decisioni e scelte che siamo chiamati a compiere ogni giorno… è lì che si incarna la nostra chiamata alla santità… non in qualche ricorrenza eccezionale, in qualche scelta straordinaria…

E come può darsi, nella vita nostra, la possibilità della santità? Anzitutto si tratta di una grazia del Signore, non di una capacità nostra, che viene seminata nelle pieghe della nostra storia. Il Signore semina la grazia sulla nostra strada, la semina con abbondanza, proprio come il seminatore della nota parabola che non getta con parsimonia il seme solo dove può dare frutto. Ma la grazia, perché venga riconosciuta ed accolta, ha bisogno della nostra libera adesione, del nostro sì accogliente e disponibile affinché quella stessa grazia passi dall’essere qualcosa che ci è calato addosso a qualcosa che dona sapore alla nostra esistenza dal suo interno.

Questo è il senso delle beatitudini che abbiamo appena ascoltato, la beatitudine non è perché le cose ti vanno bene qui sulla terra, non è perché i tuoi affari ti gonfiano il portafoglio a fine mese, non è perché le tue attività di cui hai riempito la tua vita ti appagano e ti riempiono la giornata al punto da non avere più nemmeno il tempo di fermarti a chiederti qual è il senso di ciò che stai facendo… la beatitudine sta proprio nella dimensione dell’orizzonte più grande e più alto che è capace di assumere la nostra vita se sappiamo accogliere la grazia di Dio e pronunciare il nostro sì di adesione al Signore. Allora anche ciascuno di noi riconoscerà che la grazia di Dio sta agendo, allora anche noi ci riconosceremo chiamati davvero alla santità partendo dalle nostre scelte quotidiane.

Di |2017-11-01T09:05:03+01:0001/11/2017|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola

Commento alla Parola domenicale

29 ottobre

XXX domenica del tempo Ordinario

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Quanto sappiamo essere meschini a volte, noi esseri umani. Un dottore della legge pone quella domanda a Gesù, non per un interesse di fede, per un approfondimento della Scrittura, per avere una chiave di lettura in più di tutta la Bibbia, è solo un modo per incastrare quel maestro che la sa così lunga…

Ma Gesù risponde a quella provocazione con un giochetto altissimo; infatti alla richiesta di avere il comandamento risponde consegnandone due, che in realtà sono 3 ma in fin dei conti sono uno solo.

Sì perché il dottore della legge chiede di avere un comandamento solo come risposta, mettendo alla prova Gesù in mezzo alla grande molteplicità di comandi contenuti lungo tutte le pagine della legge. La risposta di Gesù sembra andare in due direzioni, infatti dice che da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti… ma se il dettato è doppio, il contenuto è triplo. Vi è contenuto infatti l’amore a Dio, l’amore al prossimo e, inserito come unità di misura c’è l’amore a se stessi che quindi diviene un comandamento.

Partiamo da quest’ultimo per provare a ricostruire un senso per la nostra vita. Gesù ci dice che dobbiamo imparare ad amare noi stessi, non nel senso del vivere di capricci, di assecondare ogni esigenza e stimolo che la natura ci fa percepire attraverso i nostri sensi e il nostro corpo… Gesù non ci sta chiedendo di imparare ad essere egoisti o a vivere di capricci, non vuole persone ripiegate su se stesse perse solo a contemplare il proprio ombelico come se fosse il centro del mondo… ma se non so amare il più grande dono che Dio mi ha fatto e che sono io stesso e la mia vita, come potrò pensare di essere capace di amare gli altri?

L’amore per se stessi allora diviene trampolino per amare gli altri con verità, non facendo finta, non ponendo in essere qualche gesto “farsa” che mi metta a posto la coscienza illudendomi di aver amato le persone che mi passano accanto. Sono chiamato ad amare e riconoscere gli altri proprio allo stesso modo di me stesso, vedendo in loro la manifestazione di quel dono che Dio ha fatto al mondo… anche quando questo dono mi risulta scomodo, quando hanno più il sapore di una spina nella carne come ebbe a scrivere Paolo, riconoscendo che a volte, la Parola va accolta anche in mezzo a grandi prove, come abbiamo ascoltato nella seconda lettura. E, allora, se avremo imparato ad amare noi stessi e il nostro prossimo, anche l’amore a Dio non diventerà un comodo rifugio nel quale mi rinchiudo in cerca di tranquillità, non sarà un luogo di assenza di relazione, nel quale mi diverto a fare dei bei monologhi fra me e il mio Dio… nei quali è Dio a dover ascoltare me senza che io provi mai ad ascoltare lui… monologhi che spesso non sono fra me e Dio ma fra me e il mio Io… Amare Dio con tutto noi stessi credo sia unitario agli altri due proprio perché chiede di amarlo partendo dalla nostra vita, partendo da quel riconoscimento di amore che ci ha anticipato. Ma un amore disincarnato non è amore, il Signore ci aiuti ad amarlo con tutto noi stessi, riconoscendo il dono che è presente in noi e nel nostro prossimo.

Di |2017-10-28T10:08:06+02:0028/10/2017|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola domenicale

15 ottobre

XXVIII domenica del tempo Ordinario

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Per parlare del Regno dei cieli, Gesù si serve di parabole, di immagini che aiutino ad entrare nel cuore del Padre e aiutino a riconoscere nel Figlio l’atto supremo di amore di Dio per l’umanità intera.

Anzitutto sottolineiamo la dimensione dell’invito. Un invito a nozze, ed in particolare alle nozze del figlio del Re. Si tratta di un invito, non di un editto che il re avrebbe potuto promulgare con un atto coercitivo e, quindi rendendo obbligatoria la partecipazione a quella festa. Il re gioisce per le nozze del proprio figlio e vuole rendere partecipi, attraverso un invito alcune persone. Se sono invitato vuol dire che non sono obbligato a partecipare; d’altro canto però, se uno mi invita è segno di una stima, di un’amicizia, di una relazione che è presente. Eppure questi invitati non se ne curano… hanno di meglio da fare: devono curare il proprio campo o, comunque, i loro affari.

Certo possiamo cogliere come non si tratti di un re come i sovrani che siamo abituati a trovare nei libri di storia… un re che quasi prega quegli invitati di voler far festa con lui, e manda per due volte i suoi servi a chiamarli… è il Signore che continuamente ci cerca, non demorde, vuole fare festa con noi, vuole che cogliamo in quella festa qualcosa di molto più grande dei nostri affari quotidiani…

Ma quegli invitati non se ne curano e addirittura uccidono i messaggeri… sembra di scorgere i vignaioli di settimana scorsa che uccidono gli invitati… e l’ira del re si accende, non tanto per il rifiuto a partecipare alla festa, ma Matteo sottolinea che fece uccidere quegli assassini… è quella violenza che fa adirare il re perché quegli invitati non erano degni di fare festa con lui… è dalle loro opere che si riconosce il non essere degni, non è questione di stato sociale e nemmeno di giudizio morale…

Ecco che l’invito allora si allarga a tutti quelli che si troveranno, cattivi e buoni… ma decidere di aderire all’invito non è sufficiente, non basta dire di sì al Padre, come dicevamo quindici giorni fa, infatti partecipare a quella festa vuol dire anche dover indossare l’abito nuziale, è l’abito della conversione, di una partecipazione che non sia solo di convenienza, ma che in qualche modo tocchi la nostra vita e la nostra esistenza.

Se con gioia accogliamo l’invito a nozze che il Signore ogni settimana ci fa, se ci accorgiamo nella nostra vita della cura e della considerazione che Dio ci rivolge invitandoci a festeggiare con lui, siamo chiamati ad aderire con l’abito giusto… nell’abito possiamo metterci un po’ tutto il nostro modo di aderire al Signore… partecipare ad una festa con il muso lungo è, in un certo senso, aver sbagliato abito. Così accogliere l’invito del Signore alla sua festa con risentimenti e animo inacidito verso i propri fratelli vuol dire non aver indossato l’abito giusto. Il Signore ci rivesta dell’abito nuziale, così come il giorno del nostro battesimo ci ha vestiti di quell’abito bianco. Allora sarà festa vera.

Di |2017-10-14T09:10:56+02:0014/10/2017|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

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08 ottobre

XXVII domenica del tempo Ordinario

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Quanto è grande la differenza fra l’essere padroni e l’essere amministratori di qualcosa. L’amministratore è chiamato ad occuparsi di ciò che ha tra le mani con la stessa cura che ha il padrone, ma con una caratteristica in più… il riconoscere in ogni momento la necessità di rimandare alla volontà del padrone ogni scelta… cioè: quando un amministratore prende una scelta è chiamato a farla in conformità a ciò che farebbe il proprietario del bene stesso, perché quel bene non è una cosa sua ma qualcosa che gli è affidato.

C’è poi un’altra caratteristica, la gratitudine nei confronti del padrone stesso per la fiducia e la stima riposti nell’amministratore. Quante volte però non riusciamo a vivere di gratitudine verso il Signore e verso i nostri fratelli, spesso viviamo di risentimenti, di rivendicazioni, viviamo in un grigiume e un piattume come se nulla ci fosse donato ma tutto ci fosse dovuto.

È proprio l’immagine di quei vignaioli, chiamati ad amministrare, coltivare quella vigna secondo la volontà del padrone: far sì che produca frutti e che quei frutti rallegrino la tavola del padrone. Ma i vignaioli perdono di vista la grandezza e la portata del loro incarico e, avidi di potere, pieni di ingratitudine e pieni di sé si arrogano il diritto di rifiutare al padrone quanto lecitamente gli spetta.

Quanti emissari invia il padrone per far comprendere l’errore nel quale sono caduti i vignaioli, arriva perfino ad inviare il proprio figlio, ma nulla, non vogliono comprendere…

Certamente era un discorso rivolto ai grandi del popolo d’Israele, ma non possiamo sentirci superiori ed esonerati dall’ascolto fruttuoso di questa parola. Anche noi potremmo cadere nel pericolo di diventare pessimi amministratori, di non riconoscere la grazia del battesimo che ci è stata donata, non riconoscere la grandezza della possibilità della conversione che ogni giorno ci è posta fra le mani perché possiamo seguire sempre più da vicino il Signore.

Quante volte cerchiamo anche fra battezzati, fra membri della stessa comunità, di schiacciarci a vicenda, di ritagliarci un posto, una posizione… non importa quale, l’importante è che sia ben visibile da parte di tutti gli altri, quante parole cattive che sono come quelle bastonate, uccisioni, lapidazioni, che i contadini hanno dato ai loro fratelli emissari del padrone…

Rendiamo lode al Signore che ci ha chiamati a collaborare nella sua vigna perché porti sempre più frutti, cerchiamo di comprendere la volontà del Signore per rimandare a lui i frutti che la vigna produce, non mancherà la sua ricompensa.

Di |2017-10-07T09:15:58+02:0007/10/2017|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

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01 ottobre

XXVI domenica del tempo Ordinario

Solennità della Madonna del Patrocinio

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Che ve ne pare?… la domanda di Gesù è intrigante, ci chiama in prima persona a metterci a confronto con la sua Parola, con quella consegna così graffiante che sta facendo ai grandi del suo tempo.

Quanto è facile correre il rischio di dividere, nella nostra vita, i nostri fratelli in categorie… in particolare i buoni e i cattivi… dove normalmente i buoni sono quelli che sono come me, fanno le mie stesse scelte, sono quelli che mi sorridono, mi danno sempre ragione… quelli che mi fanno sentire un po’ un principino in mezzo a questa società nella quale siamo numeri per delle statistiche… mentre poi ci sono i cattivi… quelli che sono dall’altra parte, quelli che per forza non possono fare le cose bene… le fanno in maniera diversa da come le farei io… magari mi fanno notare le mie incoerenze o magari semplicemente vedono alcune cose in una prospettiva diversa dalla mia… buoni e cattivi… categorie che i pregiudizi spesso ci portano a costituire e a separare bene nella nostra testa in cassetti ben distinti perché non ci si abbia mai a confondere…

Gesù oggi ci mette in guardia… perché lasciatemi usare un paio di proverbi… non sempre l’abito fa il monaco… ma a volte l’apparenza inganna. Quei due figli, a prima vista sembra facile dividere il buono dal cattivo, il buono quello che ossequia il papà… Sì, signore… facile con la bocca… mentre il cattivo risponde non ne ho voglia… sembra di sentire qualche ragazzo o adolescente…

Però la parabola non finisce qui… perché ad una parola non corrisponde l’azione che ci aspetteremmo. Che bella la sottolineatura che Matteo fa rispetto al primo figlio: Ma poi si pentì. Mentre infatti quello che all’apparenza è buono si ritiene a posto solo per il fatto di aver risposto con le labbra positivamente al padre, l’altro che all’inizio ha espresso con libertà tutta la sua non voglia, ha scoperto in questa libertà lo spazio per il suo pentimento, per la sua conversione.

La risposta e il conseguente comportamento del figlio ossequioso manifestano un’assenza di libertà di scelta, infatti chiama il padre, signore, quasi fosse un padrone, un obbligo da assolvere… sembra di sentire il figlio maggiore della parabola del padre misericordioso… io ti ho sempre servito… manca la possibilità di riconoscere un amore di padre che ti si rivolge e non l’obbligazione di un rapporto di lavoro.

Oggi festeggiamo la Madonna del Patrocinio, colei che ha fatto di quel sì pronunciato per amore uno stile di vita, una vita di servizio, ma anche di silenzio e di accoglienza della volontà del Padre che si manifestava attraverso di lei, chiediamo la sua intercessione perché siamo sempre più capaci di un amore libero nei confronti del Signore e di accoglienza reciproca e di trasparenza nei confronti dei nostri fratelli.

Di |2017-09-30T09:59:47+02:0030/09/2017|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

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24 settembre

XXV domenica del tempo Ordinario

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Veramente la prima lettura ci aiuta ad entrare in profondità del brano di Vangelo di questa domenica… “i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie”…

La parabola degli operai che abbiamo appena ascoltato sembra proprio esplicitarci infatti questo: il Signore pensa, agisce ed ama… su un altro piano.

È sempre affascinante osservare questo padrone che continuamente esce di casa e si reca sulla piazza in cerca, sì il Signore è in cerca dell’umanità, quell’umanità che ama fin nel profondo, con tutto sé stesso, di un amore più grande di quanto noi possiamo immaginare. Il Signore ci cerca, mi cerca, ti cerca… a tutte le ore della giornata e ti invita ad andare nella sua vigna. Solo ai primi prospetta la ricompensa, agli altri dice solo quello che è giusto… anzi, agli ultimi nemmeno parla di una ricompensa…

Che bello sentirci cercati e quanto è rassicurante e pacificante riconoscere che al Signore non importa quante ore di lavoro impieghiamo nella sua vigna…

I primi sono andati nella vigna perché attendevano una ricompensa ben precisa, anzi quando hanno visto la ricompensa di chi aveva lavorato meno ore di loro, subito si sono messi a fare dei calcoli sperando di ricevere una ricompensa proporzionale alle ore di lavoro. Possiamo dire che i primi non hanno proprio incontrato il Signore di quella vigna, quei primi non si sono sentiti cercati, accolti, amati… quei primi hanno lavorato non per amore di colui che li ha chiamati ma solo per amore di sé stessi e della ricompensa attesa.

Quanti calcoli mentali facciamo nella nostra vita… faccio questo così, poi l’altro si sente in debito e farà questo per me… e quante rivendicazioni più o meno ad alta voce ci troviamo a fare – e quelle che rimangono chiuse nel cuore spesso sono più pericolose di quelle esplicitate perché diventano rancore e risentimento – io ho fatto, questo, questo, quest’altro… meriterei considerazione, meriterei riconoscimento… ma l’altro non ha fatto quello che mi aspettavo…

Quando ci comportiamo così verso il Signore o verso i nostri fratelli possiamo dire di essere gli operai della prima ora che aspettano solo il loro denaro… anzi aspettano qualcosa di più perché non possono essere trattati come gli altri…

Il cuore del Signore, però, è il cuore di un padre che ama e che vuole anzitutto incontrare quegli uomini oziosi sulla piazza, dare un senso alla loro e alla nostra vita, vuole riversare su di loro e su di noi il suo amore, la sua grazia che è assolutamente più grande di ogni nostro sforzo e merito. Non trattiamo il Signore come un datore di lavoro, ma riconosciamo in lui un cuore di Padre che batte per ciascuno dei suoi figli.

Di |2017-09-23T10:32:23+02:0023/09/2017|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale
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