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Commento alla Parola domenicale

07 gennaio

Battesimo di Gesù

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Sono passate poche ore e per la liturgia, Gesù è già trentenne, abbiamo lasciato il bambinello adorato dai Magi ieri sera ed oggi lo ritroviamo al Giordano all’inizio della vita pubblica, quando a trent’anni si fa battezzare da Giovanni. È l’inizio del Vangelo secondo Marco che non riporta nulla dell’infanzia di Gesù ma pone come scena iniziale, di apertura, proprio la predicazione del Battista e la scelta di Gesù di farsi battezzare da lui.

Marco è molto sobrio nel suo racconto, con poche pennellate ci pone al cuore dell’evento… anzitutto con le parole di Giovanni ci sottolinea la differenza fra ciò che lui sta facendo e ciò che avverrà in seguito, potremmo dire fra il battesimo ricevuto dai connazionali di Gesù e da Gesù stesso, rispetto a quello che la Chiesa amministrerà dopo la morte e risurrezione del Signore. Giovanni riconosce la sua piccolezza e il suo porsi solo come segno per la sua generazione della necessità di convertirsi e di tornare a Dio con sincerità di cuore; mentre ciò che il Risorto ci consegna è quel battesimo in Spirito Santo. La parola battesimo significa proprio immersione, per questo il gesto compiuto da Giovanni e il sacramento che ciascuno di noi ha ricevuto si chiamano allo stesso modo pur essendo due gesti  diversi.

Gesù viene al Giordano, come i suoi connazionali anche lui va a ricevere questo gesto di conversione, non perché lui ne avesse bisogno, ma per dirci che si pone dalla nostra parte, potremmo usare un’immagine: Gesù non viene per guardarci dall’alto in basso… dall’alto della sua santità al basso del nostro peccato; Gesù si accomuna a noi, scende, si immerge in quelle acque e, potremmo dire, le risana richiamando così un episodio del libro dell’esodo, quando il popolo nel deserto trova dell’acqua ma non è potabile, Mosè dopo aver pregato il Signore vi getta un legno dentro e questo le risana, le rende acque potabili. È quanto fa Gesù: la sua discesa nelle acque insieme ai peccatori le risana, prende su di sé i nostri peccati… li assume qui unendosi ai peccatori in questo gesto, per poi portarli con sé fin sulla croce.

Quanto è forte l’immagine che Marco usa quando Gesù esce dalle acque: vide squarciarsi i cieli… non usa il verbo aprirsi ma squarciarsi… una porta che si apre è destinata prima o poi a richiudersi, un qualcosa che si squarcia indica il generarsi di una lacerazione così grande da non potersi più risanare… quei cieli si squarciano, la relazione fra cielo e terra si è fatta più vicina, il Signore ci ha resi tutti figli nel suo essere il Figlio amato.

Riconosciamo questi cieli squarciati, quanto il Signore si è fatto vicino alla nostra vita, alla nostra condizione, non abbiamo vergogna e nemmeno paura, sentiamoci invece sempre accompagnati e custoditi da Lui.

Commento alla Parola

06 gennaio

Epifania del Signore

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Il brano di vangelo che abbiamo appena ascoltato ci riporta alla manifestazione di Dio in quel bambino per tutti i popoli. In quei personaggi misteriosi sia nella provenienza, abbiamo solo l’indicazione generica dell’oriente, sia nel numero nonostante la tradizione li abbia identificati in 3, sia nei nomi… credo che ciascuno di noi possa provare a scorgere la propria esperienza di fede, il cammino fatto dall’inizio dell’avvento fino ad oggi, passando attraverso il mistero dell’incarnazione che abbiamo contemplato nelle solennità del Natale.

Ciascuno di noi, nella propria esperienza di fede, ha scorto una stella, ha innalzato lo sguardo e si è accorto che qualcosa di straordinario tocca la nostra vita. Ci siamo messi in cammino nel tempo di avvento, abbiamo cercato la dimora del Maestro: questo è il cammino che la nostra diocesi ci ha proposto. Proprio come quei personaggi abbiamo camminato abbiamo osservato, magari siamo partiti da lontano perché la nostra vita di fede si era un po’ allontanata dal Signore, magari avevamo un po’ il cuore tiepido nei suoi confronti, oppure siamo partiti più da vicino, non importa, in quel cammino ci siamo stati tutti, ci siamo lasciati condurre.

Chissà, magari anche noi ad un certo punto, proprio come i Magi ci siamo lasciati prendere dalle cose della terra, da quelle illusioni, loro si  sono fatti illudere che il re dei Giudei fosse da cercare nel palazzo di Erode, noi, magari ci siamo fermati a vivere il Natale come qualcosa di molto terreno, ci siamo fermati prima di Betlemme, ci siamo lasciati affascinare dallo sfarzo e dal trambusto della grande città di Gerusalemme… magari sono cose esteriori, magari anche esperienze piene di fraternità, di stima e di relazioni, che però, se diventano fini a sé stesse non sono più il frutto di quell’incontro che abbiamo fatto, il segno di quel dono di Dio per l’umanità e, quindi, per ciascuno di noi, ma sono qualcosa che ci distoglie, ci ferma solo ad una dimensione da piano terra, senza permetterci di innalzare il nostro spirito affinché incontri il dono annunciato da quella stella.

Siamo giunti, quella stella ci ha fatto fare ancora qualche chilometro ed eccoci a Betlemme, qui ci è dato di contemplare quel bambino, nella sua piccolezza e fragilità, nella sua umiltà e povertà… che contrasto con Gerusalemme e il palazzo di Erode, che differenza fra il regnare che annuncia questo bambino e quello che fa tremare i polsi al re. Sostiamo davanti a questo bambino e consegniamo noi stessi, ci poniamo nelle sue mani, così come siamo, affidiamo a lui la ricchezza della nostra esistenza tutto quell’oro che siamo noi stessi, gli diamo la nostra preghiera, il nostro incenso che si alza al cielo e gli doniamo la nostra caducità il nostro essere finiti, creature bisognose di lui.

Il Signore ci accoglie, lui il pastore del suo popolo ci prende con sé in quei doni che gli abbiamo consegnato. Allora potremo tornare al nostro paese, alla nostra vita quotidiana, arricchiti per esserci consegnati e aver incontrato la gloria del Signore che risplende sulle nostre vite.

Commento alla Parola

25 dicembre

Natale del Signore

Commento alle letture della Messa della Notte con i ragazzi e le loro famiglie

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Sono passati oltre 2000 anni da quell’annuncio di gioia che è appena risuonato questa sera, un bambino è nato per noi, il Salvatore è nato. Dio è sceso dal suo cielo per farsi uno di noi, come noi, umile, povero, fragile, debole… come lo è un bambino. Anche lui ha avuto bisogno di tutto e di tutti, della vicinanza di una madre, di nutrimento, di calore, di vestiti, di un luogo riparato dove stare…

Il presepio che abbiamo costruito nelle nostre case ci aiuta proprio a ricordare questo: Gesù è davvero diventato uno di noi, non ha fatto finta. È nato come noi, è cresciuto come noi, ha gioito come noi, ha sofferto come noi.

Ma ancora oggi, viene in mezzo a noi, aver ascoltato questo brano e aver costruito il presepio potrebbe farci pensare un po’ a quando scorriamo l’album delle fotografie o quando guardiamo un dvd con filmati e immagini di quando eravamo piccoli… per Gesù però non è così perché Lui, ancora oggi, viene in mezzo a noi.

È bella l’immagine utilizzata dalla diocesi, nella quale Maria, Giuseppe e Gesù sono in una casa in mezzo alle altre case, sì perché Gesù viene proprio in mezzo alle nostre case, alle nostre vite.

Questo è quanto ci dice anche la frase che riporta il tema di questa giornata: alla domanda Maestro dove dimori? Che ha guidato tutto l’avvento, la risposta è “In mezzo a noi”. Sì, Gesù viene qui, in mezzo a noi. Anzitutto con la sua parola che abbiamo ascoltato, poi nel pane e vino che diventano il suo corpo e il suo sangue.

Ma non solo, Gesù viene in mezzo a noi perché la culla per la sua nascita, oggi, non è quella di legno bensì è quella di carne, quella fatta dal nostro cuore. Gesù è stato avvolto in fasce e deposto nella mangiatoia, così oggi, Gesù viene deposto nel cuore di ciascuno di noi. È lì che vuole essere accolto, perché è da lì che vuole di nuovo incontrare tutta l’umanità attraverso i miei gesti, le mie azioni, le mie parole.

A Natale, si dice, che siamo tutti più buoni, forse è vero, ma forse non è merito nostro, non è questione di un’atmosfera speciale, è invece la presenza di Gesù nella nostra vita che in qualche modo ci cambia, ci fa essere più simili a lui.

Possano in questi giorni, le persone che ci incontrano percepire dentro di noi la presenza di questo bambinello, possano i nostri incontri e i nostri auguri essere sempre più veri, cioè sempre più alimentati da lui, sia il suo amore a farci incontrare fra di noi, a far cadere quelle barriere, allora sì ci sarà “sulla terra pace agli uomini che egli ama”. Buon Natale.

 

Commento alle letture della Messa dell’aurora

Come i pastori dopo aver ricevuto l’annuncio degli angeli non sono potuti rimanere fermi, lì dal loro gregge, non hanno potuto fare gli indifferenti a quanto era appena successo e abbiamo ascoltato nella celebrazione di questa notte, così anche per noi, ci siamo mossi dalle nostre case, siamo venuti qui, ci siamo incontrati come comunità di credenti, intorno al bambinello deposto nella mangiatoia.

Quanto stupore devono aver sperimentato i pastori nel riconoscere che tutto quanto era stato annunciato loro non era frutto di un sogno comune o di una suggestione di massa, non avevano avuto delle allucinazioni bensì ciò di cui erano stati resi partecipi corrispondeva alla realtà.

Loro, gli ultimi, coloro dei quali era meglio non fidarsi, sono i primi destinatari dell’annuncio angelico. Loro che vegliavano nella notte scoprono non nella salvezza del proprio gregge dagli attacchi esterni, bensì nella propria salvezza che giunge da un bambino il senso e il compimento di ogni loro notte di veglia, di attesa.

Anche noi abbiamo vegliato ed atteso, pur non avendo passato magari notti insonni, lungo questo tempo di avvento ed ecco che la nostra attesa non è stata vana, il compimento della nostra attesa è dato, non in qualcosa di eclatante per il mondo, eppure in qualcosa di straordinario che si manifesta nell’ordinario. Gesù, il Figlio di Dio, il Messia e il Salvatore nella straordinarietà dell’evento dell’incarnazione, della sua discesa dal cielo per divenire un essere umano come noi, lo fa nell’ordinarietà di un evento comunissimo… un evento che si ripete secondo le statistiche 4 volte in ogni secondo che passa… pensate quante volte si è già ripetuto dall’inizio di questa celebrazione… in quell’ordinario di una famiglia che vede venire alla luce il proprio primo figlio ecco darsi lo straordinario di Dio… normalmente non ci sono cori di angeli che annunciano la nascita di un bimbo e normalmente un bimbo non viene deposto in una mangiatoia. Ma Gesù viene per essere il cibo vero dell’umanità, deposto da subito lì dove viene messo il cibo per gli animali.

Maria custodisce nel silenzio questi avvenimenti e tutto quanto del bambino le viene detto, quanto è bello che non ci vengano riportate parole di Maria, lei accoglie, ha accolto l’annuncio, ha accolto la nascita, ha accolto i pastori, accoglie anche le loro parole e le custodisce, le medita nel suo cuore.

Possa essere così anche il nostro atteggiamento di oggi, alternandosi fra quello di Maria e quello dei pastori: custodiamo nel nostro cuore la straordinarietà dell’azione di Dio per gli uomini ma anche lodiamo e glorifichiamo Dio per non aver disdegnato il farsi uomo ed essersi fatto cibo per la nostra salvezza.

Commento alla Parola domenicale

24 dicembre

IV domenica di Avvento

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Il Vangelo di oggi ci pone davanti al sì di Maria, certo è un brano che abbiamo ascoltato pochi giorni fa, in occasione della festa dell’Immacolata. Oggi però assume un sapore tutto speciale, infatti ci pone in quel clima di attesa, in quella gravidanza lunga 9 mesi, quella che ci accomuna tutti, giorno più, giorno meno… anche Gesù ha accettato nel suo farsi uomo come noi, di nascere da una donna, da una mamma, da Maria. Ha accettato in tutto la nostra debolezza, il nostro nascere bisognosi di tutto, bisognosi di qualcuno a cui aggrapparci, bisognosi di affetto e di cure.

Da quel sì all’angelo che abbiamo appena ascoltato si è sviluppata tutta l’attesa di Maria, il crescere e svilupparsi del piccolo Gesù dentro di lei è stato segno di quello spazio che nel suo cuore e nella sua vita, nella sua famiglia ha accettato di lasciare per questo figlio tanto speciale. Siamo abituati a vedere rappresentata Maria, normalmente con in braccio il piccolo Gesù, è probabilmente l’immagine più diffusa, quella che ci aiuta a riconoscere tutta l’umanità di Maria e dello stesso Gesù, eppure quanto è bella l’immagine, pur rara di Maria in attesa, incinta, così come è quella rappresentata sul cartellone di questa settimana. Non solo perché questa è un’immagine sentimentalistica e commovente, come ogni gravidanza del resto, ma perché ci pone in una direzione di attesa di quel figlio, di quel Messia. In un certo senso, Maria “col pancione” ci aiuta a vivere quell’attesa che il popolo di Israele aveva del Messia. Un’attesa che per loro non ha ancora compimento perché non hanno riconosciuto in Gesù il Messia atteso, invece per noi ha proprio quel sapore di un’attesa che sta per esplodere in una gioia strabordante, in una gioia che non si può contenere.

Lungo questa settimana, con i ragazzi abbiamo pregato davanti alla mangiatoia vuota, segno di quello spazio che lungo questo tempo di avvento, proprio come Maria, anche noi abbiamo provato a fare a Gesù, lì nelle nostre case, magari ritagliando un piccolo spazio per il presepio, nelle nostre vite, ritagliando qualche minuto per una preghiera o un po’ di silenzio…

Così come è quel sì di Maria che ha permesso a Gesù di farsi uomo 2000 anni fa, è il nostro sì che gli permette ancora oggi di venire nelle nostre vite, nelle nostre famiglie, nei nostri cuori.

Mancano poche ore al Natale, chiediamo a Maria che ci conduca per mano a fare questo incontro con suo figlio, chiediamole che la grazia del Natale ci renda più uomini, capaci di amore vero verso i nostri fratelli.

Commento alla Parola domenicale

17 dicembre

III domenica di Avvento

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Quest’oggi la liturgia ci porta ad incontrare un po’ più da vicino la figura del Precursore, di Giovanni il Battista. Abbiamo ascoltato una specie di interrogatorio da parte di sacerdoti e leviti… i quali non erano propriamente interessati alla sua persona né alla sua predicazione, ma solo si facevano portavoce di altri, devono portare una risposta ad altri.

Giovanni non si tira indietro ma, da profeta quale è, dice di sé utilizzando alcune figure. Anzitutto dice chi non è: non è né il Cristo, né Elia, né il grande profeta. Ma lui si definisce voce… quanta differenza fra la voce e la parola, fra la voce, il suono e il verbo, il contenuto di quel suono che giunge ai nostri orecchi. Giovanni si presenta come voce per lasciare spazio e rilevanza al Verbo di Dio, a colui che è la Parola vera, al Messia.

Se la voce passa, il Verbo resta. È ciò che avviene ogni volta che qualcuno pronuncia una parola: la voce dura giusto l’istante in cui viene emesso il suono, la voce altro non è che il vibrare di onde sonore nell’aria… passate le onde l’aria torna ad essere la stessa, silenziosa tanto quanto prima e l’aria non muta a seconda del peso e della forza dei contenuti veicolati da quella voce che li ha pronunciati.

Invece il Verbo, il contenuto di quella parola che ci raggiunge, quello resta. Se tuo marito, tua moglie o i tuoi figli ti parlano la loro voce ad un certo punto termina, smette di risuonare nella stanza, ma il contenuto di quanto ti hanno detto rimane nel tuo cuore, lo porti con te.

È un po’ ciò che avviene nella liturgia: sono gli spazi di silenzio… non è perché chi presiede è stanco di parlare e allora si ferma qualche istante, non è nemmeno perché la mente abbia modo di vagare e distrarsi un attimo fra un gesto e l’altro… anzi è proprio il contrario, è far sì che zittita la voce possa echeggiare nel nostro cuore il Verbo, il contenuto, il peso profondo di quella parola che ci ha raggiunto. Il silenzio della liturgia è proprio il momento nel quale ci accorgiamo di quanto sono relative le nostre parole, mentre è il Signore ad agire nei nostri cuori.

Giovanni, quest’oggi ci pone davanti proprio a questo, la sua testimonianza nei confronti della luce, non è la luce stessa, ma lui ce ne indica la presenza, l’importanza, ci traccia una direzione perché possiamo incontrare il Signore della nostra vita, il nostro salvatore.

Possa la nostra vita lasciar echeggiare nel nostro cuore la parola che Gesù semina ogni settimana in noi, possiamo in questi ultimi giorni prima di Natale trovare spazi di silenzio e di interiorità per lasciare che quella luce rischiari le nostre vite e nei nostri cuori risuoni la sua Parola di salvezza.

Commento alla Parola domenicale

10 dicembre

II domenica di Avvento

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Abbiamo appena ascoltato i primi versetti del Vangelo di Marco, quella parola inizio credo che ci provochi in maniera forte: nessun autore inizia la propria opera dicendoci che quello è l’inizio… ogni lettore è in grado di comprendere che le prime righe sono l’inizio del racconto, ma quella parola inizio va ben più in profondità… non è l’inizio del libro, bensì di quel vangelo, di quella buona notizia che è Gesù stesso. Possiamo dire che Marco sottolinea con questo incipit, il fatto che da lì in poi la storia ha un nuovo inizio, una svolta talmente radicale da ricominciare, quasi. Sì perché già la prima pagina della bibbia parlava di inizio… “In principio…” possiamo dire di essere di fronte ad un nuovo principio, ma questo inizio non deve restare chiuso nelle pagine di un libro, ma essendo la Parola di Dio viva ed efficace, ancora oggi, ecco che anche in questo momento ci troviamo di fronte ad un nuovo inizio. Il tempo di avvento nel quale siamo immersi ci richiama proprio ad un nuovo inizio, non per nulla la Chiesa fa cominciare il suo anno liturgico proprio con questo tempo, perché ciascuno di noi si prenda in mano e scopra cosa questa buona novella sta dicendo di nuovo alla sua vita. Certo che l’abbiamo già ascoltata 3 anni fa questa parola, ma oggi non siamo di certo uguali a 3 anni fa, per cui non ci può dire le stesse cose, pur utilizzando le stesse identiche parole, ci provoca in maniera nuova perché è chiamata a palpitare nei nostri cuori.

Ed ecco che Marco, nel suo introdurci alla buona novella ci fa volgere lo sguardo all’indietro, ci richiama il grande profeta Isaia e rilegge l’annuncio di quel profeta alla luce dell’azione di Giovanni il Battista.

Ecco che la voce di Isaia si fa contemporanea di Giovanni e sostiene in un certo senso la sua azione, il suo annuncio. Giovanni, infatti, proprio come Isaia, non viene ad annunciare sé stesso, bensì colui che è più forte di lui e verso il quale lui non è degno.

Quanto è bella e quanto ci provoca la figura di questi due profeti talmente uniti da sovrapporsi quasi in questa pagina di Vangelo, entrambi rimandano ad altro, non rimandano a sé stessi, annunciano non una loro idea, un loro interesse, ma chiedono al popolo di prepararsi per l’arrivo di un altro… l’arrivo del Messia, del Cristo. In questo Vangelo Gesù fisicamente non è presente, eppure non c’è espressione che non ci riporti al cuore, a lui, alla sua presenza salvifica per le nostre vite.

L’annuncio di Isaia e del Battista ci aiuti a preparare il cuore per accogliere il Signore e a scorgere la sua presenza anche lì dove ci sembra di non vederlo direttamente, ci accorgeremo che non c’è istante della nostra vita che non sia intriso della sua presenza e della sua azione.

Commento alla Parola

08 dicembre

Solennità dell’Immacolata concezione di Maria

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Piena di grazia… Immacolata… quest’oggi celebriamo Maria come colei che è stata preservata fin dal suo concepimento dalla macchia del peccato. Maria si presenta a noi come l’immagine di quell’umanità non contaminata dall’illusione del peccato.

Abbiamo ascoltato nella prima lettura, nel libro della Genesi, come l’umanità si lasci sempre, in qualche modo, sedurre dalla dimensione del peccato. Il riportare al momento delle origini la dimensione di quella seduzione da parte del male è proprio il segno di una condizione comune a tutta l’umanità, nessuno può sentirsi esonerato, escluso, immune dalla dimensione del peccato perché questa è una realtà che ci portiamo dentro, che ci costituisce fin nella nostra origine.

Eppure il Vangelo ci apre ad una realtà ben diversa, ci illumina rispetto alla nostra stessa umanità e ci offre la testimonianza di cosa vuol dire in termini di gioia e libertà il non essere prigionieri del peccato. Il sì di Maria al progetto di amore di Dio per lei e per l’umanità intera, non sminuisce la sua libertà, anzi la esalta, le fa prendere in mano completamente la sua vita e la rende capace di donarla per il bene dell’umanità intera… Adamo ed Eva, con il loro peccato si sono chiusi ad una dimensione di “scarica barile”, di ricerca fuori di sé stessi di un colpevole, escludendo e non riconoscendo la propria dimensione di creature libere, capaci di scegliere e di prendersi in mano con consapevolezza. È ciò che avviene anche a noi ogni qual volta cadiamo nelle mani del peccato, rinunciamo ad una dose della nostra libertà per metterla nelle mani del male che in quel momento ha il sopravvento su di noi, ci illude, ci seduce facendoci credere che la vera libertà risieda in una chiusura in sé stessi, ci fa illudere che Dio in fin dei conti, nel crearci non abbia fondamentalmente posto una dimensione di amore, ma abbia fatto in qualche modo il doppio gioco.

È il sì pronunciato da Maria ad aver cambiato il corso della storia: Dio nella sua libertà si è sottoposto alla nostra libertà, potremmo dire che Dio in quel momento ha fatto un passo indietro in attesa che Maria esercitasse tutta la sua libertà… Dio ci ha dimostrato che essere liberi di fare un passo indietro è proprio l’essenza stessa della libertà che consente ad altri di trovare il loro spazio e di manifestare la propria libera scelta.

Maria Immacolata ci mostra l’esempio di una libertà e di una gioia veramente profonde, la gioia di chi si è preso in mano e si è scoperto amato fino in fondo, la gioia di chi ha riconosciuto che la libertà di cui ci è fatto dono non è un’illusione o una facciata, ma qualcosa di reale e profondo che riempie la nostra vita.

Commento alla Parola domenicale

03 dicembre

I domenica di Avvento (anno B)

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Vegliare… attendere rimanendo svegli… è uno stare svegli che è voluto o che è dettato da una necessità… vegliare non è questione di soffrire d’insonnia o di rimanere in un dormiveglia da parte di chi vive notti agitate…

Questa è la consegna che la liturgia in questo primo giorno dell’anno liturgico, in questo primo giorno di avvento ci consegna… la necessità di avere un cuore vigile, un cuore sveglio, un cuore pronto ad accogliere il ritorno di quel padrone che prima o poi tornerà a casa.

Anzitutto, se il padrone torna a casa, vuol dire che noi siamo in casa sua, non lui in casa nostra… quante volte sentiamo il Signore come un ospite scomodo della nostra vita, delle nostre giornate… o comunque quante volte lo sentiamo come ospite, in quanto tale, uno che siamo noi ad accogliere, a fargli un piacere ad aprirgli la porta della nostra casa, della nostra vita… e ci dimentichiamo di essere noi in casa sua…

Il brano di Vangelo ci consegna l’immagine di quei servi ai quali è lasciata in consegna la casa, non perché ne facciano quello che vogliono, ma perché se ne prendano cura con la stessa passione che il padrone stesso avrebbe per le sue cose. Questo è l’incarico di ogni servo, di ogni amministratore di cose altrui… e quanto è grave quando un amministratore confonde i ruoli e si illude di essere diventato il padrone…

Proprio in quanto servi, siamo chiamati ad attendere il Signore che ritorna nella nostra vita, non con la paura di un incontro giudicante, ma con la gioia di chi vede tornare colui al quale ha consegnato la propria esistenza.

Se un qualunque dipendente sa dell’arrivo imminente del suo diretto superiore o dell’amministratore delegato o del proprietario, certamente fa trovare la sua postazione di lavoro il più in ordine possibile, pulita, spazzata, sistema meglio che può le eventuali pratiche arretrate, si fa trovare al suo posto debitamente impegnato…

Se questo è quanto umanamente ci troviamo a fare, pensiamo che per la nostra vita spirituale è la stessa cosa, il Signore viene nelle nostre vite, nelle nostre esistenze, non da ospite magari anche inopportuno perché ci distoglie da tutti i nostri impegni che ci assillano, ma viene come colui che ci ha offerto questa vita, questa casa che siamo noi stessi, la storia e il mondo al quale apparteniamo e ci chiede di attenderlo con il desiderio di incontrarlo, di vederlo, di accoglierlo… anche noi come il personaggio dell’immagine che guida il cammino diocesano di questa prima settimana di avvento, teniamo accesa la nostra lampada, segno di un cuore acceso, disponibile, capace di vegliare e di attendere, riempiamo la nostra attesa di lui, per evitare che senza di lui rimanga solo un’attesa superficiale di cose troppo umane che non sono capaci di saziare il nostro cuore ma solo la nostra pancia. Buon cammino, buona attesa.

Commento alla Parola domenicale

26 novembre

Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo

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Nella festa di Cristo Re, quest’anno ci viene proposto il brano del giudizio finale, la parabola nella quale Gesù si presenta in uno degli atti più alti che caratterizzano l’azione del regnare… l’atto dell’amministrare la giustizia, del giudicare quanto è avvenuto, le azioni delle persone, per discernere da che parte sta la ragione e da che parte il torto… da che parte la verità e da quale la menzogna…

Il Re, in questo caso, ci viene mostrato come colui che, avendo cura di quanti gli sono affidati, si preoccupa che il loro vivere insieme sia nella dimensione, non solo di una convivenza pacifica e rispettosa, come ogni buon governante, ma sia un qualcosa di più… si preoccupa che il termine di riferimento del vivere insieme tra fratelli, sia il suo modo di incontrare ciascuno di noi.

In ciascuna delle opere di misericordia corporale che Gesù enuncia nel definire l’oggetto del giudizio, è bello scoprire che si tratta proprio dell’atteggiamento che Dio ha utilizzato nei confronti dell’intera umanità e, quindi anche di ciascuno di noi, ogni volta in cui – consapevoli o no – siamo stati in qualche modo poveri, bisognosi della sua vicinanza, del suo sostegno.

Se osserviamo infatti il senso di queste opere ecco che possiamo cogliere in esse proprio il modo di porsi di Gesù nei confronti del suo popolo, di quelle folle che lo seguivano come pecore senza pastore, alle quali non solo rivolgeva la sua parola di speranza e di invito alla conversione, ma verso le quali ha anche teso la mano riconoscendone i bisogni concreti e mostrando il volto misericordioso e amorevole del Padre che si china sui suoi figli e se ne prende cura.

Ma non solo, questa parabola si mostra straordinaria perché Gesù non solo si pone silenziosamente dalla parte di colui che ci ha donato l’esempio, ma si immedesima, potremmo quasi dire, si incarna in coloro che vivono l’esperienza di questi bisogni. Anzitutto lui ha avuto fame e sete, lui è stato spogliato, lui è stato sottoposto a giudizio, lui è stato allontanato perché straniero… ma non solo, se questo lo leggiamo nelle pagine dei vangeli, Gesù ci dice che in ogni epoca della storia e in ogni angolo, anche il più remoto, di questo mondo, dove c’è qualcuno bisognoso di aiuto, lui è lì e il nostro aiutare quella persona è la porta che ci permette di incontrare il maestro.

Chiediamo in questa settimana la grazia di saper cogliere nel volto del fratello che ci passa accanto e che vive una situazione di bisogno, il volto di Gesù, la sua presenza nella nostra città, nel nostro quartiere, magari anche nel nostro palazzo, non sia la situazione scomoda perché ci rovina l’immagine idealizzata che ne abbiamo fatto, ma sia la situazione “scomoda” perché chiamata a scomodarci, a scuoterci dalle nostre comodità e sicurezze per riconoscere lì la porta della nostra salvezza.

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