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Commento alla Parola domenicale

18 marzo

V domenica di Quaresima

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Il cammino di quaresima che la nostra diocesi ci sta proponendo ci fa incontrare Gesù tra la gente. Proprio come quei greci, gente qualunque, gente non del popolo di Israele, stranieri eppure presenti in quei giorni a Gerusalemme e in qualche modo incuriositi dalla figura e dalle parole di questo Maestro così acclamato. Nel Vangelo di Giovanni infatti questo episodio è immediatamente successivo all’ingresso di Gesù in Gerusalemme che festeggeremo domenica prossima. Queste persone hanno visto tanta festa e gioia intorno a questo Rabbì giunto a Gerusalemme per la festa e, incontrato Filippo, gli chiedono la possibilità di vedere Gesù. Non sappiamo bene cosa li abbia smossi, se pura curiosità, se l’idea della fama (uno dei personaggi famosi e in voga del momento, un vip diremmo noi oggi), magari avevano anche loro qualche malato fra i loro parenti per il quale chiedere intercessione e aiuto, magari avevano qualche dubbio esistenziale connesso alla filosofia o alla religiosità greca… oppure avevano voglia di avvicinare la religione ebraica… non ci è dato sapere la loro intenzione, così come non ci è dato sapere, in mezzo alla gente con la quale viviamo, quali sono le motivazioni profonde che avvicinano ciascuno in modo diverso al Signore. Lui non respinge nessuno, li avvicina e coglie in questo il momento opportuno per consegnare loro un insegnamento profondo rispetto a sé stesso e alla vita di ogni discepolo.

E come lo fa? Usando due immagini spazialmente opposte: cadere in terra ed essere innalzato da terra. Ma per entrambe l’immagine è chiara: il Cristo non terrà nulla per sé, tutta la sua esistenza è stata un dono d’amore per l’umanità e anche la sua conclusione sarà esattamente nella stessa direzione. Non si tratterà di una morte fine a sé stessa, non una morte che scrive la parola fine alla sua storia, ma una morte che porterà frutti di salvezza, proprio come quel chicco che solo morendo fa nascere la spiga e nuovi chicchi, come l’essere innalzato che ci attira verso la vita eterna, verso quell’amore autentico e puro.

Forse non importa tanto quali sono le motivazioni che ci avvicinano a Gesù, ma è quanto il nostro cuore e il nostro sguardo sa cambiare, sa lasciarsi plasmare da questo incontro e da questa presenza che non è accomodante, ma ci chiede di smuoverci, di cambiare. Sì, Gesù nella nostra vita è una presenza scomoda perché non si è tirato indietro non ha detto fino qui arrivo e poi basta, ma ha dato tutto sé stesso perché anche noi, attirati da lui verso quella croce, impariamo a nostra volta a donarci reciprocamente con tutto noi stessi.

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11 marzo

IV domenica di Quaresima – Giornata parrocchiale del Seminario Diocesano

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Solo “due” parole riguardo al Vangelo, per poi lasciare spazio alla testimonianza di Davide, rispetto al Seminario.

Per strada è il luogo che la nostra diocesi ci pone davanti agli occhi per la meditazione di questa settimana, sì, è lì che Gesù si è incontrato con Nicodemo di notte, ma con tantissime altre persone durante il suo cammino… potremmo dire che gran parte dei Vangeli sono raccontati lungo le strade di quelle regioni.

Il Signore ci vuole incontrare lungo le nostre strade, lì dove siamo ogni giorno, lì dove i nostri cammini più quotidiani magari a volte ci distraggono o ci riempiono di preoccupazioni… come il cuore di Nicodemo che è così pieno di domande da non riuscire a dormire di notte e andare a cercare il Maestro per porre nelle sue mani i suoi quesiti. Anche noi riconosciamo il Signore sulle strade della nostra vita, in quegli incontri che faremo questa settimana, riconosciamolo vicino a noi e poniamo nelle sue mani quanto risiede nel nostro cuore.

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04 marzo

III domenica di Quaresima

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Siamo nel grande Tempio di Gerusalemme, il luogo più sacro per gli ebrei, il luogo della dimora di Dio in mezzo agli uomini. La casa del Padre, come la definisce Gesù. Luogo per incontrare Dio, luogo di pellegrinaggio, verso il quale ci si dirigeva facendo anche centinaia di chilometri… non certamente con le comodità di oggi. Quanti pellegrini giungevano, soprattutto in occasione delle feste principali, ma non solo. Il modo caratteristico della preghiera nel Tempio era costituito dall’offerta e dal sacrificio. Per questa ragione servivano animali da poter uccidere, ma non tutti erano adatti dal punto di vista della legge mosaica. Inoltre non era il caso di fare tanti chilometri col proprio animale appresso. Quindi nei cortili più esterni del tempio era consentito, proprio per agevolare la dimensione rituale di incontro con Dio, fare degli scambi commerciali così da poter offrire un sacrificio a Dio gradito.

Peccato che le cose probabilmente, con il tempo siano degenerate, la mera replicazione del gesto ha fatto dimenticare la sostanza, ha fatto sì che di quello scambio rimanesse solamente la dimensione commerciale, che qualcuno guadagnasse sulle spalle dei pellegrini, che l’incontro con Dio fosse un mercanteggiare, dimenticando invece la dimensione della consegna di sé, attraverso il sacrificio di quell’animale o attraverso l’offerta economica o vegetale che fosse.

Gesù si arrabbia, è preso dallo zelo per la casa di suo Padre e caccia tutti fuori. Così come nelle dispute con scribi e farisei, la sua parola fa tornare sempre al significato originario e pieno della consegna di Dio all’umanità; così in questo caso, è proprio cacciando fuori che Gesù invita ad entrare dentro veramente. È facendo uscire le dinamiche commerciali, sia tra uomini che nei confronti di Dio, che puoi entrare veramente in te stesso e in relazione autentica col Padre.

Non è di certo negli schiamazzi di una contrattazione mercantile (come è di tradizione orientale) che puoi riuscire ad ascoltare la Parola che Dio ti rivolge in prima persona. L’invito di oggi della liturgia è di fare un po’ di ordine spirituale nella nostra vita, questo è il senso profondo anche di tutta la quaresima, scorgere quelle cose, quegli atteggiamenti che sono come degli schiamazzi nella nostra vita e ci distraggono da un incontro autentico con il Signore. Cerchiamo di dare un nome anche a tutti quegli atteggiamenti nei quali ci troviamo un po’ a mercanteggiare con il Signore… vengo a Messa tutte le domeniche, però tu… rispetto il venerdì, ma quella situazione vedi di migliorarla… ti accendo un lumino o faccio un momento di preghiera, però…

Il Signore ci liberi dal fare della nostra vita di fede un luogo di mercato, ma ci aiuti a ritrovare lì il luogo di incontro autentico con il Padre.

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25 febbraio

II domenica di Quaresima

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Come il discepolo che accoglie l’invito a seguire il Maestro anche noi, quest’oggi ci mettiamo in cammino per salire su quell’alto monte, sul monte Tabor, come la tradizione lo identifica. Ci innalziamo insieme al Maestro, lì dove è maggiore la vicinanza con Dio, non perché ci si innalza rispetto al livello del mare, ma perché nella contemplazione anche del creato la nostra anima è in grado di andare in maggior profondità e riconoscere lì la presenza di Dio, passando dalla creatura al Creatore, un po’ come quando vedi un bimbo e cerchi subito i tratti di somiglianza col papà e la mamma…

Non solo, su questo monte Gesù ci offre qualcosa di più di una semplice esperienza di preghiera, mostra a quei tre discepoli che ha preso con sé la sua gloria, il suo volto trasfigurato, la sua stessa persona… Marco evidenzia con un tratto molto pragmatico, che quelle vesti bianchissime non potevano essere opera di nessun lavandaio sulla terra… vesti bianche che più bianche non si può…

Eppure questo monte è sì quello della gloria, ma potremmo dire non è quello della tranquillità… sì perché è una montagna che immediatamente ne richiama un’altra, ovviamente non per quei tre che non lo sapevano ancora e non sono in grado di comprendere ancora cosa voglia dire risorgere dai morti, ma a noi, discepoli del 2° millennio, il monte Tabor ci riporta immediatamente al monte Calvario, quel monte che solo saprà squarciare per il mondo intero la gloria del Figlio di Dio. Per ora, su questo monte, la gloria è mostrata solamente a 3 discepoli, affinché nel momento del dolore e dell’apparente sconfitta, possano avere il cuore pieno di quella luce che qui hanno potuto contemplare.

Eppure proprio nel loro essere le primizie del contemplare la gloria di Gesù, ecco che non possono rimanere a crogiolarsi su quel monte, non ci si può accampare, mettersi a bivaccare per rimanere lì in questo rapimento estatico, separati dal resto del mondo, non si può rimanere lì senza aver affrontato lo scoglio della croce.

Per questo, dopo la parola del Padre che invita all’ascolto del Figlio, come sua parola vivente, l’esperienza straordinaria termina e giunge l’ora di tornare dagli altri 9 e dalla folla, giunge il momento di proseguire il cammino, con una luce nuova nel cuore.

Il Signore ci dia la grazia in questa quaresima di fare esperienza della sua gloria nella nostra vita, ci aiuti ad entrare in sintonia con lui, a riconoscere in lui la Parola vivente del Padre da ascoltare e ci aiuti a seguirlo su quel monte che è il Calvario, a non rifiutare o scansare la croce ma accoglierla e farla nostra insieme con lui.

Commento alla Parola domenicale

18 febbraio

I domenica di Quaresima

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Seguiamo il Maestro in questa quaresima, per cogliere ogni domenica come essere sempre più suoi discepoli, per scoprire qual atteggiamenti fare nostri per vivere una vita piena. Questa prima domenica lo seguiamo nel deserto, lì dove è stato condotto dallo Spirito e è rimasto per quaranta giorni.

Marco non ci descrive, come gli altri evangelisti le 3 tentazioni, solo ci sottolinea che Gesù è stato tentato da Satana. Credo che questa sottolineatura ci aiuti anzitutto a comprendere la necessità di affrontare le tentazioni e non di scansarle. La tentazione è qualcosa che ha a che fare strettamente con la nostra natura umana e Gesù stesso, che si è fatto uomo come noi, ha avuto le sue tentazioni, non è stato risparmiato; allo stesso modo, anche noi non chiediamo di essere risparmiati dalle tentazioni, ma di starci dentro, affrontarle insieme con lui, perché solo in questo modo la nostra fede si fortifica, diventa veramente una fede adulta, provata nel fuoco proprio come si purificano i metalli. Quante tentazioni ogni giorno ci raggiungono, chiediamo al Signore di sentire la sua vicinanza e la sua forza per riuscire a riconoscerle, affrontarle e vincerle insieme a lui.

Ma il deserto assume in sé oltre alla dimensione della tentazione anche quella dell’essenzialità. Sì questi quaranta giorni vissuti da Gesù nel deserto ci riportano alla necessità di verificare anche nella nostra vita quali sono le cose davvero necessarie, quelle essenziali e quali sono invece quelle superflue, quelle che ci appesantiscono solamente lo zaino del nostro cammino dietro a lui. Se vai nel deserto – ovviamente riportato all’epoca di Gesù e non alle comodità moderne – sei chiamato a selezionare bene cosa portare con te: quanta acqua, quanto cibo leggero ma energetico, quanto bagaglio che sotto il sole cocente potrebbe rallentare il tuo cammino…

Questo vale anche nella nostra vita di fede… dobbiamo vedere quante cose appesantiscono il nostro cammino e in questi 40 giorni, provare anche noi a lasciarle da parte per riuscire ad andare realmente dietro al maestro.

Nel deserto poi, Gesù vive la dimensione dell’interiorità, quella preparazione al suo ministero, all’incontro con le altre persone, la preparazione all’annuncio del Regno di Dio che è vicino. Lo fa in solitudine, insieme con il Padre, sospinto dallo Spirito… anche per ciascuno di noi, questo tempo di deserto ci aiuti a ritagliarci degli spazi di interiorità, spazi di tempo nei quali cercare il Signore e affidare a lui la nostra esistenza, le nostre gioie e le nostre preoccupazioni.

Allora questo tempo sarà tempo fruttuoso, riusciremo anche noi a percepire il nostro bisogno di conversione e di credere al Vangelo.

Di |2018-02-17T09:47:40+01:0018/02/2018|Senza categoria|0 Commenti

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11 febbraio

VI domenica del Tempo ordinario

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Anche questa settimana l’evangelista Marco ci mostra quanto Gesù è vicino alla vita e alle sofferenze umane. Ci troviamo di fronte ad una delle malattie peggiori contemplate dalla Bibbia, non solo per l’atroce sofferenza che un malato di lebbra porta con sé a causa del consumarsi del suo corpo, del vedere venir meno le proprie membra quasi mangiate dalla malattia, ma per il fatto che, come abbiamo ascoltato nella prima lettura, un malato anche solo sospetto di lebbra, era chiamato ad allontanarsi dalle altre persone, dall’accampamento, dalla città… andare in luoghi isolati per paura di un contagio. Un malato si trova solo e abbandonato in un corpo dilaniato.

Gesù è lì, abbiamo ascoltato settimana scorsa che sta percorrendo i villaggi intorno a Cafarnao, nel suo camminare ecco farglisi vicino questo malato che in ginocchio prega il Maestro di essere purificato. Quanta umiltà e quanta verità c’è in questa richiesta… in fin dei conti sono caratteristiche che viaggiano insieme: bisogna essere umili per riconoscere con verità chi siamo e i nostri errori, fragilità e fallimenti, le nostre lebbre che ci portiamo dentro… ma solo uno che è veritiero può essere umile perché l’umiltà non può nascondere né il positivo né il negativo che c’è dentro di noi… umiltà non è disconoscere le nostre capacità ma riconoscerle come dono e in quanto tali metterle a disposizione di tutti…

Quest’uomo si presenta così davanti a Gesù, è ciò che siamo chiamati a fare anche noi ogni volta che iniziamo la celebrazione della Messa: riconosciamo con umiltà e verità il nostro non essere degni ma ci affidiamo con fiducia all’unico che ci permette di celebrare degnamente i santi misteri perché qui non siamo in gioco noi, ma è la sua grazia ad agire e non agisce mai per il minimo. Ma sarà la stessa cosa che faremo anche mercoledì, quando passata tutta l’euforia del carnevale, ci metteremo in atteggiamento penitenziale e riceveremo sulla nostra testa quelle ceneri.

Il Signore, così come quel giorno ha accolto quell’uomo, gli ha teso la mano, l’ha toccato e l’ha purificato, così fa ogni volta con ciascuno di noi, ci tende la mano e ci tocca, anche lì dove il nostro peccato sembra essere il più brutto, il più insanabile, anche in quel peccato che magari noi stessi non riusciamo a perdonarci o per il quale non riusciamo ad andare dal nostro fratello a dirgli guarda che ho sbagliato, ti ho pugnalato dietro le spalle, ti ho denigrato, ti ho messo i bastoni tra le ruote… anche lì il Signore ci tende la mano, anche in quel caso ci purifica, ma serve umiltà e verità per consegnare a lui noi stessi.

Ci dia la grazia il Signore di indossare maschere solo per il carnevale ma di non nasconderci mai né verso di lui, né verso i nostri fratelli, dietro maschere false. La sua mano ci tocchi e ci offra di nuovo un cuore puro, capace di incontrare lui e gli altri con verità.

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04 febbraio

V domenica del Tempo ordinario

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Il brano di Vangelo che abbiamo appena ascoltato è esattamente la prosecuzione di quello di settimana scorsa, Gesù esce dalla sinagoga di Cafarnao, dove ha parlato in quel modo nuovo, così vicino a Dio e alla gente che lo ascoltava ed eccolo andare in casa di quei due fratelli che da qualche domenica ci stanno accompagnando: Simone e Andrea.

Quanta vicinanza ancora esprime alla vita di ogni giorno: come entra in casa, subito gli parlano delle loro fatiche, dei loro problemi… proprio come faresti tu quando incontri un amico e in un momento di tranquillità racconti un po’ le cose che hai nel cuore, quei pesi che ti porti dietro… ed ecco che loro parlano a Gesù del problema della suocera, sì perché è a letto con la febbre… ovviamente non è come oggi una semplice questione di influenza da curare con qualche medicinale, all’epoca la febbre era qualcosa di più grave e di particolarmente debilitante. Quanta vicinanza esprime Gesù… le si avvicina e la fa alzare prendendola per mano… è uno dei gesti più teneri: prendere per mano qualcuno affinché possa rialzarsi… in un certo senso, quando lo facciamo noi, è infondere nell’altro un po’ della nostra forza, è dirgli coraggio, dove non arrivano le tue forze ci sono io ad aiutarti, a tirarti su… è quello che fa anche Gesù con la suocera di Pietro e che fa quando siamo nella fatica, quando siamo a terra, anche con ciascuno di noi: Gesù tende la mano verso di noi e ci risolleva. Ci offre quella forza che da soli non abbiamo per rialzarci… ma nel donarci quella ci rende anche più simili a lui… quella donna infatti, non si è messa lì convalescente a farsi servire o a farsi compiangere… ma al contrario ha fatto suo l’atteggiamento di Gesù e si è posta a servizio, si è messa a servire quegli ospiti.

Il Signore ci renda capaci di atteggiamenti di servizio, non solo per le persone che abbiamo vicino, non solo per quelli che meritano la nostra attenzione e cura, ma, imparando proprio da lui, smuova il nostro cuore a una dimensione di servizio reciproco e vicendevole che renda visibile quella cura, quella mano tesa che il Signore rivolge a ciascuno di noi nei momenti di sfiducia o di fatica.

Questa vicinanza del Signore siamo chiamati a coltivarla, così come lui ha coltivato quella con il Padre… abbiamo ascoltato che al mattino presto Gesù va in un luogo deserto, in un luogo senza distrazioni né attività da svolgere, per stare in intimità con il Padre, per non sentirsi solo, per sentire e coltivare la sintonia della sua azione con il progetto di amore di Dio per l’umanità intera. Allo stesso modo, anche noi, siamo chiamati a coltivare la nostra relazione con Dio, perché solo da un dialogo con lui, da una consegna di noi stessi a lui, possiamo diventare consapevoli di quanto lui fa ogni giorno per noi, possiamo non sentirci soli ma risollevati ogni giorno da lui.

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28 gennaio

IV domenica del Tempo ordinario

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Col brano di Vangelo che abbiamo appena ascoltato siamo entrati con Gesù nella sinagoga di Cafarnao, siamo lì nel luogo dove tutti i sabati risuonava la parola di Dio, veniva letta qualche pagina della Bibbia (che ovviamente a quel tempo era formata approssimativamente da quello che noi oggi chiamiamo antico testamento). Quella pagina, poi veniva spiegata dallo scriba di turno richiamando con tutta una serie di dotte citazioni, gli insegnamenti dei suoi predecessori, degli illustri rabbini e dottori della legge che avevano commentato la Bibbia.

Gesù non fa così, Lui non si inserisce nella scia dei dotti maestri che spiegano cosa la Parola di Dio volesse dire, Gesù è Lui stesso la Parola di Dio fatta carne e parla con la stessa autorità di Dio. La sua parola raggiunge il cuore di chi lo ascolta, smuove quel cuore, lo scalda, lo commuove, lo provoca rispetto alla necessità di essere sempre più simili al cuore di Dio.

E la gente si accorge che si trova di fronte a qualcuno di diverso, ad una parola che non ha nulla a che vedere con quella degli scribi, l’evangelista Marco ce lo sottolinea con una parola sola, ma molto incisiva: erano stupiti. Quanto è importante questo sentimento perché le cose passino dall’essere fuori di noi al toccarci nell’intimo, nel profondo della nostra vita.

Lo stupore, la meraviglia (parola che non manca mai nella predicazione del nostro Vescovo), sono infatti quei sentimenti che sorgono nel cuore quando ci si trova davanti a qualcosa di inaspettato che ci raggiunge improvvisamente e che è particolarmente bello (se così non fosse sarebbe spavento). È questo sentimento che ci fa aprire ogni volta la porta del cuore ad accogliere qualcosa che ci raggiunge. Se un discorso l’ho già sentito, se mi illudo di sapere già alcune cose, probabilmente ascolterò in maniera distratta colui che parla… tanto so già… ma se chi parla sa suscitare dentro di me la dimensione dello stupore, ogni parola diventa importante e significativa, ogni sua espressione o ogni suo gesto mi aiuterà ad andare in profondità dentro di me, a pormi delle domande o a cercare delle risposte.

Questo è quanto avviene nel cuore degli abitanti di Cafarnao, si lasciano smuovere il cuore da quella parola così autorevole… tra l’altro una parola che fa proprio ciò che dice, proprio come la parola della Creazione all’inizio della Bibbia… “E Dio disse… e la luce fu”… così Gesù zittisce lo spirito impuro e gli comanda di uscire da quell’uomo e così avviene. Quanto quella gente aveva percepito nel cuore lo vede messo in pratica nei gesti.

Possa anche il nostro cuore, ogni domenica, lasciarsi stupire dalla Parola di Dio che ancora ci raggiunge e ogni volta ha qualcosa da dire proprio a me, proprio a te, a ciascuno di noi per ciò che stiamo vivendo in quel momento.

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21 gennaio

III domenica del Tempo ordinario

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Settimana scorsa abbiamo ascoltato che Andrea e un altro discepolo hanno seguito Gesù per indicazione di Giovanni Battista, oggi invece, l’evangelista Marco ci presenta qualcosa di diverso, che coinvolge ancora Andrea, ma in un momento diverso della sua vita.

Giovanni infatti è già stato arrestato e Gesù, dopo questo fatto, ha iniziato a percorrere la Galilea predicando il vangelo. Chiede alle persone la conversione, chiede di cambiare vita, di credere in Dio, non solo con le parole, non solo con qualche preghierina o, per quel tempo, con qualche pellegrinaggio al tempio per compiere qualche sacrificio… non solo, per noi, andando a Messa. Ma credere nel Vangelo, credere che quel Vangelo può cambiarci la vita, può farci essere persone nuove, persone capaci di vivere in pienezza, non solo di sopravvivere, non solo di lasciarci passare sopra le giornate che trascorriamo e che pian piano ci fanno invecchiare, ma facendo sì che la nostra esistenza sia la piena realizzazione di noi stessi, nella nostra interezza… non solo professionale o economica, ma la realizzazione del senso del nostro essere qui, la realizzazione della nostra vocazione, la chiamata ad essere simili a Lui che è l’amore, quindi la chiamata a vivere di amore ogni istante della nostra vita.

E questo lo vediamo messo in pratica subito nelle due chiamate che caratterizzano il vangelo di oggi: quei 4 fratelli chiamati a 2 a 2. Gesù li chiama ad andare dietro a lui, e li chiama proprio nel momento in cui, umanamente, stavano realizzando la loro esistenza, nel momento del lavoro… sono sulle loro barche, il luogo, lo strumento con il quale si procuravano da vivere per sé e la loro famiglia. Gesù non chiama i primi 4 discepoli mentre sono lì a far nulla, non chiama persone che non sanno cosa fare nella loro vita e che trovano così un modo per riempire le giornate… Gesù li chiama proprio lì dove sanno dare il meglio, proprio lì dove con fatica hanno affinato le loro capacità. È quello che fa proprio con ciascuno di noi… non ci chiede di seguirlo nei momenti morti della nostra esistenza, quando non abbiamo di meglio da fare, quando ho messo da parte tutta la mia voglia di realizzazione umana… Gesù mi chiama, ti chiama, ci chiama proprio nella vita di ogni giorno, proprio lì dove trovi la tua realizzazione per trasformarla, per riempirla di lui, per farti essere un ragazzo, una ragazza, un uomo, una donna nuovi, che sanno vivere in pienezza, si affidano a lui, vanno dietro a lui perché ogni istante della nostra vita abbia un sapore nuovo, per imparare ad amare e amarci allo stesso modo in cui Dio ci ama.

Il Signore ci aiuti a lasciare, lasciare le nostre abitudini, le nostre piccolezze, le nostre certezze, per seguirlo… allora sì anche noi saremo pescatori di uomini, saremo capaci di annunciarlo con la nostra vita, la nostra professione, le nostre scelte a quanti incontreremo intorno a noi.

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14 gennaio

II domenica del Tempo ordinario

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Siamo all’inizio del tempo ordinario e la liturgia ci pone davanti ad una nuova manifestazione di Gesù… dopo il Natale, dopo l’Epifania, dopo il Battesimo nei quali abbiamo scoperto pian piano il suo essere Figlio di Dio, fatto uomo per noi, ecco che oggi ci viene offerta la manifestazione attraverso il Battista e i suoi discepoli.

Anzitutto Giovanni, fissa lo sguardo su Gesù… è uno sguardo profondo, non è semplicemente il guardare chi passa o chi è appostato a mo’ di zitella o zitello inaciditi che non avendo nulla di meglio da fare si preoccupano di osservare cosa fanno gli altri… Giovanni fissa il suo sguardo profetico su Gesù e coglie nel profondo il suo essere l’Agnello, il suo essere inviato di Dio in un modo inaspettato, non con la forza (ricordiamo che Giovanni attendeva il Messia come colui che avrebbe rimesso a posto le cose… “la scure è già posta alla radice dell’albero”) ma con la mansuetudine di un agnello che viene offerto per la salvezza del popolo.

I suoi discepoli sentendolo seguono Gesù. Vorrei fermarmi con voi a riflettere sul silenzio del Vangelo: mentre ci sembra di vedere quasi una sceneggiatura di un film nella prima parte, tanti sono i dettagli, ad un certo punto sembra che l’evangelista si faccia prendere da una sorta di pudore e tace generando un cambio di scena molto repentino.

Il Vangelo infatti tace completamente quell’esperienza di prossimità e di intimità che i 2 discepoli fanno nei confronti di Gesù. Sappiamo solo che è un’esperienza fondante e fondamentale, per il fatto che ci viene indicato anche l’orario nel quale avviene, le 4 del pomeriggio, però cosa sia accaduto all’interno delle mura di quella casa non ci è dato saperlo… dove li ha condotti Gesù? Per quanto tempo sono rimasti insieme? Di cosa hanno parlato? C’era qualcuno con loro? Sono domande senza risposta… perché sottolineo questo? Per il fatto che mi pare che questo corrisponda un po’ all’esperienza di fede di ogni uomo: un’esperienza di intimità col Signore, un momento nel quale il Signore ti ha parlato, ti ha fatto sentire la sua vicinanza, la sua cura nei tuoi confronti, ti ha magari aperto mente e cuore al suo riconoscimento nei tuoi fratelli e nelle esperienze della vita quotidiana… ma questa esperienza quanto è difficile da raccontare e da far percepire nei suoi tratti profondi da quanti sono intorno a noi… magari anche tua moglie o tuo marito, così vicino a te, ma non riescono a entrare in quella dimensione così profonda e personale, ma cosa rimane? Ciò che anche il Vangelo ci racconta: gli effetti di quell’incontro, il suo nocciolo profondo… “Abbiamo trovato il Messia”, sì quell’incontro non lo posso magari raccontare perché l’altro non riesce a cogliere ciò che dice a me, eppure io da quell’incontro esco cambiato nel profondo, esco riconosciuto e capace di riconoscere in Gesù l’Agnello e il Messia e di questo divento testimone ai miei fratelli.

Possa questo tempo ordinario aiutarci a riconoscere in Gesù il nostro Salvatore che, in dialogo con la nostra vita, ci chiama a seguirlo e a divenire suoi testimoni verso quanti ci passano accanto.

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