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Nomina a parroco di don Luca Milesi

Con gioia e gratitudine per il servizio svolto in questi 5 anni presso la nostra parrocchia,

comunichiamo che il Vescovo ha destinato don Luca Milesi attuale curato, direttore dell’Oratorio, come nuovo parroco di Foresto Sparso.

La sua presenza in mezzo a noi terminerà a inizio settembre.

Non ci è ancora dato sapere se il Vescovo nominerà un successore alla guida dell’Oratorio.

Accompagniamo nella preghiera questi mesi di passaggio per entrambe le comunità parrocchiali.

Di |2018-05-19T10:00:14+02:0019/05/2018|Senza categoria|0 Commenti

Commento alla Parola domenicale

06 maggio

VI domenica del tempo pasquale

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Potremmo quasi definire questa domenica la “domenica dell’amore” perché il Vangelo ci ha raggiunti con molta forza rispetto alla dimensione dell’amore… ben 9 volte si ripete infatti la dimensione dell’amore come sostantivo o come verbo, si aggiunge poi la dimensione dell’amore di amicizia per altre 3 volte…

Amare non perché ne siamo capaci noi, amare non perché è qualcosa di bello, di comodo, di accomodante… Amare sull’esempio di Cristo che ama il Padre osservando i suoi comandamenti, cioè facendo la sua volontà… cioè offrendo tutto sé stesso per l’umanità, senza trattenere nulla per sé. Un’obbedienza che è quella dell’amore e non quella della schiavitù. Noi, umanamente le chiamiamo allo stesso modo, eppure sono 2 modi di obbedire profondamente diversi. Posso obbedire perché ho un lavoro con un certo mansionario, con alcuni incarichi dei quali mi verrà in qualche modo chiesto conto, dovrò rispondere sull’aver portato a termine quanto mi era stato affidato. Posso obbedire per paura delle conseguenze, come avviene nei casi di regimi assoluti o di bullismo o di violenza. Oppure posso obbedire perché amo la persona che mi chiede quella cosa, obbedire perché sono in sintonia, perché è qualcosa per la quale il mio cuore ha una propensione, una passione e quanto si vede la differenza nelle azioni delle persone, quando riescono a trasformare l’obbedienza ad un incarico in un’obbedienza ad un amore.

E l’effetto di questa obbedienza all’amore è dirompente perché porta con sé la dimensione della gioia, così come il Signore ce la promette: la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Gesù ci chiama a diventare cristiani gioiosi, capaci di amare, di agire per amore, di mettere il cuore in tutto ciò che facciamo. Certo che le giornate di ciascuno di noi sono tutte piene, sono zeppe di impegni, di cose da fare, di incontri, di incombenze da assolvere… eppure come cambia sapore la nostra giornata quando riusciamo a metterci la dimensione dell’amore, quando riusciamo a fare tutto con il cuore, con un cuore che palpita, che non vede l’altro come un concorrente alla mia gioia, alla mia realizzazione, non vede chi gli passa accanto come un incidente di percorso, ma lo incontriamo come colui che ci aiuta a vivere la dimensione della gioia perché la nostra giornata e, quindi, la nostra vita assumono un senso che va oltre le cose da fare ma ci fanno incontrare gli altri.

Allora sì, diventeremo capaci di dare la vita per i nostri amici, che non è detto voglia dire morire per altri, ma offrire il nostro tempo, il nostro cuore, la nostra passione per chi ci passa accanto, vuol dire amarci veramente gli uni gli altri.

Commento alla Parola domenicale

29 aprile

V domenica del tempo pasquale

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Se settimana scorsa il vangelo ci ha portati a gustare la relazione del pastore con ciascuna delle sue pecore, in un legame di profonda e totale dedizione e donazione, questa settimana, l’immagine ci giunge ancora dal mondo della natura, ma questa volta dai campi ed in particolare dalla vigna. Questa settimana, però, l’immagine è quasi capovolta. In quanto non è osservata tanto dal punto di vista della vite, del tronco originario che conduce la linfa, ma dal punto di vista nostro, dei tralci. Sembra quasi essere un parallelo a specchio, una risposta quasi al brano di settimana scorsa: se il buon pastore da la vita per le pecore… ed è la vite che conduce la linfa fino ai tralci, da parte loro, o meglio, da parte nostra siamo chiamati a portare frutto, a rimanere innestati in quella vite.

Se un tralcio non è innestato nella vite secca, perde il suo nutrimento, è incapace di nutrirsi da solo ma ha bisogno che il tronco, la vite lo nutra. Il Signore è la vite, così ci ha detto lui stesso nel vangelo, lui è colui che ci nutre veramente ogni volta che ci accostiamo alla sua Mensa. Ci nutre alla mensa della Parola e ci nutre col suo corpo e il suo sangue alla mensa eucaristica. Gesù non si tira indietro, non smette di offrirsi per noi, di regalarci tutto sé stesso, ma sta a noi decidere di volerci nutrire di lui. Se un tralcio decidesse di non aver bisogno della vite e di smettere di attingere dalla vite la linfa vitale, nell’arco di pochissimo tempo seccherebbe e morirebbe. È Cristo il nostro nutrimento, è lui che ci offre la possibilità di portare frutto nelle nostre giornate. A quanta libertà ci apre il brano di vangelo di oggi, quanto ci viene detto che glorifichiamo il Padre portando frutto e diventando discepoli. È in una vita piena, buona, bella, capace di realizzare qualcosa di bene per gli altri che ciascuno di noi glorifica il Padre, sì perché in fin dei conti il tralcio non produce il frutto per tenerselo attaccato addosso, per coccolarselo, altrimenti il frutto se diventa attaccamento bramoso marcisce, smette di essere qualcosa di buono. Il tralcio produce il frutto perché questo venga gustato da altri, perché diventi qualcosa di buono da mangiare o da bere se trasformato in vino. Così è per la nostra vita, se le cose buone o le belle relazioni che la caratterizzano le vogliamo tenere troppo strette, solo per noi, custodite gelosamente come una proprietà esclusiva… prima o poi fanno la fine di quei frutti: marciscono. Se invece ci apriamo e condividiamo la bontà della nostra vita, allora mettiamo a disposizione di tutti quei frutti che la vite,  il Signore ci ha permesso di produrre, allora sì vivremo una vera fraternità, allora sì il nostro essere discepoli sarà autentico a gloria del Padre.

Commento alla Parola domenicale

22 aprile

IV domenica del tempo pasquale

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Io sono il buon pastore.

Quest’oggi ci lasciamo guidare e condurre proprio come delle pecore dalla voce del pastore che si presenta a noi, come colui che si prende cura di noi. Non perché in qualche modo incaricato, non perché ne tragga un vantaggio personale come un mercenario che conduce le pecore perché ha un proprio guadagno personale.

Quante volte cerchiamo un ritorno personale in quanto facciamo, quante volte piccoli gesti li facciamo sembrare la salvezza del mondo intero, quante volte la mettiamo giù dura col valore di quanto abbiamo fatto o di quanto ci è stato chiesto, spesso abbiamo bisogno di essere visti perché questo dà valore a ciò che facciamo… quanta fatica a vivere la dimensione della gratuità che invece contraddistingue il pastore vero.

È l’affetto per quelle pecore indifese e incapaci di badare e bastare a sé stesse che lo muove. Lui le conosce, non perché le conta e sa quante sono ma le conosce una a una, ci conosce, conosce ciascuno di noi personalmente nei nostri bisogni, nelle nostre capacità e possibilità ma anche in quelle fatiche che ci troviamo quotidianamente ad affrontare. Quanta pace ci offre riconoscere di essere condotti, riuscire a consegnarci nelle sue mani, ci rappacifica il cuore, non ci deresponsabilizza ma ci aiuta a consegnare nelle sue mani quanto siamo stati capaci o no di fare.

Lui, buon pastore, si è schierato e continuamente continua a farlo perché il lupo non abbia a sbranare le pecore. L’ha fatto quando ha affrontato il lupo più grave, la morte e l’ha vinta a  nostro favore. È morto sulla croce per noi e da lì ha sconfitto la morte perché il Signore della vita è Risorto, come abbiamo acclamato il giorno di Pasqua.

Ma ancora oggi si schiera a nostro favore per affrontare tutti quei lupi che attanagliano la nostra esistenza. Ci fa sentire non da soli ma accompagnati, ci offre il suo amore, la sua vicinanza, il suo sostegno.

Certo oggi la sua presenza ci viene offerta da persone che mettono tutta la loro vita nelle sue mani e si mettono a servizio delle comunità alle quali sono affidati perché spezzino ancora il pane e offrano il perdono del Signore, lo rendano presente nella manifestazione concreta del suo amore. Preghiamo per noi sacerdoti perché possiamo essere sempre meno mercenari e più pastori, ma preghiamo anche perché il Signore non faccia mai mancare pastori santi alle sue comunità.

Commento alla Parola domenicale

15 aprile

III domenica del tempo pasquale

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Gesù in persona… anche questa domenica la liturgia ci presenta un’apparizione del Risorto, abbiamo ascoltato la versione lucana di quella sera di Pasqua, la stessa sera che abbiamo ascoltato settimana scorsa nel Vangelo secondo Giovanni. Gesù appare e si mostra ai suoi discepoli riuniti nel cenacolo con alcuni segni speciali che aiutano a riconoscerlo. Per prima cosa offre la pace, è il suo saluto: la sua presenza nel mondo è una presenza di pace, l’incontro autentico con lui ci offre una pace interiore che siamo chiamati a far trasparire anche all’esterno perché pian piano contagi le persone che ci stanno a fianco e questa pace possa andare a raggiungere tutti gli angoli della terra anche quelli che sono oggi più in crisi dal punto di vista proprio dei conflitti. Ciascuno di noi può dire: “La pace comincia da me, da come la costruisco intorno a me”. Pace non è quieto vivere, pace non è sorrisetti in faccia e pugnalate dietro le spalle, pace è anzitutto verità con sé stessi e con gli altri. Dopo aver offerto la pace, Gesù mostra le proprie mani e piedi, mostra ai discepoli i segni della passione, quei segni che erano così necessari settimana scorsa a Tommaso per poter credere… sì non possiamo mai dimenticare che il Crocifisso è Risorto… che la passione e morte per la nostra salvezza non si dimentica, non è stata una brutta esperienza da cancellare, la risurrezione non è stata un tornare al giovedì santo come se nulla fosse successo, la passione ha segnato Dio stesso per l’eternità, sì l’ha segnato della sua passione per l’umanità, del suo amore per ciascuno di noi, del suo desiderio della nostra salvezza ad ogni costo. E poi chiede ai discepoli qualcosa da mangiare, siede a tavola con loro, così come fu l’ultimo gesto vissuto insieme, l’ultima cena, li raduna di nuovo intorno a quella tavola, mangia con loro e spiega loro le Scritture, quanto nella Bibbia parlava già di lui, molto prima della sua nascita e della sua morte.

È quello che siamo qui a fare ancora oggi, in sua presenza, qui, intorno a questa tavola, a questa mensa, che è proprio il Risorto, lui ci offre il suo corpo e il suo sangue, dopo aver accolto le Scritture, dopo aver ascoltato la sua Parola. Ogni domenica siamo invitati alla cena del Signore – come diremo appena prima della comunione – i discepoli erano pieni di gioia e di stupore dall’incontro con Gesù, chiediamogli che anche il nostro incontro con lui ci apra ogni volta a queste dimensioni della fede, non ci capiti di vivere la fede come qualcosa di già sentito, qualcosa di ripetitivo che non ha più nulla da dirci o qualcosa di noioso che non ci fa più gioire per l’incontro più straordinario della nostra esistenza. Uscendo di chiesa anche noi siamo chiamati, come i discepoli a diventare testimoni di questo incontro e di questa gioia con quanti incontriamo nella nostra vita.

Commento alla Parola domenicale

08 aprile

Domenica della Divina Misericordia

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Al termine dell’ottava di Pasqua, la Chiesa ci offre, nella liturgia della parola, il duplice episodio dell’apparizione di Gesù nel cenacolo, davanti ai suoi discepoli.

Se domenica scorsa abbiamo celebrato un’assenza, una tomba rimasta vuota, quest’oggi eccoci di fronte alla presenza più tangibile, al Risorto che si manifesta con il suo corpo piagato.

Abbiamo ascoltato una duplice apparizione a distanza di otto giorni, sempre in quel primo giorno della settimana, il giorno della comunità, il giorno che diventerà pasqua settimanale perché proprio ogni otto giorni la Chiesa renderà presente e vivo il mistero della risurrezione che ci offre la salvezza. Quanta grazia il fatto che Gesù sia apparso alla comunità, non ad un singolo, bensì ad una comunità riunita insieme, proprio lì dove si era riunita l’ultima volta proprio per mangiare quella cena pasquale.

Il Signore ci rimanda quest’oggi proprio al bisogno di vivere la fede all’interno di un’esperienza comunitaria. I discepoli riuniti insieme fanno esperienza di lui, lo vedono, ricevono da lui il dono della pace che porta con sé la dimensione della gioia di quell’incontro. Tommaso è assente, non è lì con il resto della comunità, addirittura, al suo rientro sembra quasi distaccato, non credere a quanto gli viene riportato… troppo bello per essere vero… ma Gesù non appare a Tommaso da solo, per convincerlo di quanto aveva ascoltato dagli altri discepoli, invece attende ben otto giorni e il primo giorno della settimana successiva eccolo tornare in mezzo alla comunità nella quale questa volta è presente anche Tommaso.

Gesù accoglie la provocazione di incredulità di Tommaso e lo invita a compiere proprio quei gesti che aveva dichiarato necessari per la sua fede. Tommaso quel dito e quella mano non li muoverà, contrariamente a quanto tanti artisti erroneamente hanno rappresentato. Tommaso si sente accolto nel suo desiderio più profondo e questo gli basta, portandolo a fare la professione di fede più bella e più alta: mio Signore e mio Dio.

Ma ecco che Gesù, di nuovo lo rimanda alla comunità, lo rimanda al credere all’annuncio della risurrezione che la comunità gli ha testimoniato con la sua parola. È quanto chiede anche a ciascuno di noi di fare: di non avere più bisogno di toccare, di vedere, di un approccio fisico e sensoriale al Signore, ma di accogliere il messaggio di salvezza che da 2000 anni percorre le strade del mondo, quel messaggio che annuncia che il Signore è veramente risorto e noi siamo chiamati a diventarne testimoni.

Commento alla Parola domenicale

01 aprile

Pasqua di Risurrezione

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È un nuovo giorno, di una nuova settimana ci sottolinea l’evangelista Giovanni… è ancora buio ed è il primo giorno della settimana, un giorno innominato perché da quello stesso giorno inizia qualcosa di nuovo, un’epoca nuova, una nuova storia. Maria di Magdala era andata al sepolcro pensando ad una continuità con quanto era avvenuto in quel tardo pomeriggio del venerdì, quando ha assistito a quell’opera di misericordia di Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo che hanno preso il corpo del maestro e l’hanno posto in quel sepolcro… ora che la festa è passata si può tornare a quel sepolcro, si può stare accanto a Gesù, anche se morto… solo chi ha sperimentato la perdita di una persona cara, può comprendere fino in fondo questa ansia di Maria di tornare… è ancora buio, non solo un buio di un’alba atmosferica che non è ancora cominciata, ma il buio di chi nel proprio cuore è preso dalle tenebre della notte, da chi vede la parola fine a sigillo di una vita tanto straordinaria.
Ma la tomba è aperta, la pietra è stata tolta… è un brano di Vangelo particolare quello che abbiamo ascoltato perché celebra potremmo dire un’assenza, Gesù non appare e nemmeno nessun angelo giunge a rassicurare, a portare il suo annuncio… sembra che Maria e poi i discepoli che lei corre a chiamare siano lasciati a loro stessi di fronte a questa novità di Dio.
Ma non è così: questo giorno nuovo, questa alba nuova, questa tomba aperta e vuota aprono anche il nostro cuore, come quello dei discepoli a cogliere che proprio lì si è manifestata l’azione del Padre. Proprio nella risurrezione del Figlio. Il sepolcro vuoto, non perché un corpo è stato trafugato, ma perché il Maestro è tornato in vita, quei teli nei quali era avvolto il corpo esanime di Gesù, ora sono lì abbandonati perché il Signore non avrà più bisogno di quei riti funebri: la vita nuova nella quale ora è inserito infatti è la vita eterna con il Padre.
Quanta concitazione si respira in tutto il brano che abbiamo ascoltato: si passa da quel passo lento con cui Maria raggiunge il sepolcro nel buio del primo mattino e del suo cuore, alla corsa verso i discepoli e la corsa dei discepoli stessi fino al sepolcro. È la corsa del Vangelo che da 2000 anni non smette di percorrere le strade del mondo per annunciare un unico messaggio di salvezza: Il Signore della vita era morto; ma ora, vivo, trionfa. Sì, ne siamo certi: Cristo è davvero risorto.
Questo è il fondamento della nostra fede. La sua risurrezione apra anche ciascuno di noi ad una vita nuova insieme con lui.

Commento alla Parola domenicale

25 marzo

Domenica delle Palme

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Seguiamo il Maestro…a Gerusalemme.

È proprio qui che ci ha condotto il cammino di quaresima di quest’anno. In questa domenica abbiamo ascoltato e contemplato gli eventi che riguardano la passione di Gesù. Durante la benedizione dei rami d’ulivo abbiamo ascoltato il suo ingresso in Gerusalemme e nella proclamazione della Passione abbiamo ascoltato le ultime ore della sua vita fino a quel sepolcro.

Abbiamo visto il suo ingresso trionfante come re della pace, sul dorso dell’asinello, come i re in periodi di pace erano soliti fare, accolto da tutto il popolo festante e l’abbiamo contemplato sul trono della croce, il momento nel quale ci ha attirati tutti a sé.

Abbiamo sentito più volte dalle sue parole annunciare quanto sarebbe avvenuto poco dopo, non è il segno di chi vuole mostrare le sue capacità, bensì di chi vuole aiutare i propri discepoli e, con essi, anche noi, a riconoscere che quella passione non è qualcosa di subìto dalla quale non poteva sfuggire, non si tratta di una trappola nella quale in maniera ignara è incappato ad un certo punto della sua missione. Invece il suo annuncio ci mostra la sua consapevolezza e il suo aver scelto la via della croce e del dono totale di sé per la nostra salvezza. Contempliamo questi misteri in questa settimana, viviamo nella riconoscenza e chiediamo la grazia di sentire in questo dono il segno della vicinanza e della cura del Padre per ciascuno di noi e per ogni uomo di ogni tempo e luogo.

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