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Commento alla Parola domenicale

05 agosto

XVIII domenica del tempo ordinario

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Noi uomini abbiamo bisogno sempre di qualcuno che ci aiuti ad andare in profondità, si tratta di un’operazione che non possiamo fare da soli. Succede nelle dinamiche familiari, dove i momenti di coppia aiutano proprio a rileggere quanto avviene e provare a portarlo un po’ più nel profondo, succede per noi sacerdoti, chiamati a spezzare la Parola di Dio, non sulla base di nostre fantasie personali, bensì chiamati ad approfondire quanto la Chiesa legge all’interno dei brani che proclamiamo; lo fa ogni battezzato nel momento in cui si pone in ascolto chiedendo al Signore e a noi sacerdoti di rendere vicina alla vita di ogni giorno la Parola di Dio.

E questo è quello che è avvenuto anche in quel giorno oggetto del brano appena ascoltato. La gente riunita intorno a Gesù dopo essersi saziata grazie a quei pani moltiplicati, non è in grado di passare da sola dal segno al suo significato. Quella folla sazia si è fermata al pane fisico, solo la Parola di Gesù, sarà in grado di illuminare le loro menti e i loro cuori per riconoscere che è altro il nutrimento di cui l’uomo ha bisogno, quel cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo ci dona. Sarebbe come per un’innamorata ricevere una rosa rossa e fermarsi a guardare i petali o a pensare che sarebbe bello avere una casa piena di rose rosse… ma non accorgersi che quella rosa è il segno di altro, non di chi sponsorizza un fiorista ma di chi vuole esprimere un sentimento.

Gesù fa passare quegli uomini dal dono al donatore, dalla rosa all’innamorato, dal pane nutrimento del corpo a Lui, nutrimento di tutta la vita.

Noi siamo qui a celebrare proprio questo: l’aver scoperto che solo lui è il nostro vero cibo, che solo lui è in grado di sostenere le nostre fatiche quotidiane, quei tratti di cammino così in salita che a volte sembrano chiederci sforzi superiori alle nostre capacità. Lui è con noi, ci sostiene perché cammina a fianco a noi, ma non solo, è proprio dentro di noi, è parte della nostra stessa vita, è l’energia stessa che ci permette di proseguire nel nostro cammino.

Un’unica cosa è necessaria, credere. La folla credeva che ci fossero tante regole, tanti obblighi da espletare, tante opere da fare… invece Gesù ci dice che l’opera è una sola, credere in colui che il Padre ha mandato, credere in Gesù, affidarci a lui. Se credi in lui, tutto il resto sarà una conseguenza, non un obbligo o un precetto bensì una dimensione di amore e di fiducia. S. Agostino diceva “ama e fa ciò che vuoi”, nel senso che all’interno di una dimensione di amore vero, tutto ciò che fai non può che essere altro amore, oggi potremmo parafrasare: Credi e fa ciò che vuoi. Se crediamo in lui, la nostra vita non sarà più la stessa.

Commento alla Parola domenicale

29 luglio

XVII domenica del tempo ordinario

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Gesù ha compiuto molti segni nel corso della sua vita, ma il rischio di un segno è sempre quello di essere soggetto a diverse interpretazioni, alcune corrette, altre invece fuori strada…

La folla che ha mangiato di quei pani potremmo dire che è proprio andata fuori strada perché ha visto in Gesù un profeta che “riempie la pancia”, un fornaio a buon mercato che sazia senza nessuno sforzo i bisogni più terra terra dell’uomo. Ma il segno che Gesù ha posto, non andava in quella direzione e ce lo dimostra il suo allontanarsi dalla folla quando giungono per farlo re.

Gesù è venuto per saziare un’altra fame che è nel cuore e non nella pancia dell’uomo. La fame di senso, la fame di cura e di relazione che ognuno di noi ha nella sua vita e quanto bisogno abbiamo di nutrire questa fame, altrimenti il rischio è quello di cadere in una forma di denutrizione spirituale che pian piano toglie le forze e ci rinchiude in noi stessi illudendoci di non aver bisogno di nutrimento… un po’ come succede per i casi di anoressia…

Gesù nutre e sazia questa fame sana che abbiamo nel cuore, ma non fa questo da solo, chiede il nostro aiuto, o meglio, la nostra partecipazione a questa sua azione. Proprio come quel giorno ha chiesto l’aiuto ai suoi discepoli. Ed ecco che l’aiuto non è giunto da un punto di vista pratico di organizzazione, di fare bene i calcoli di quanto pane sarebbe servito o di quanto sarebbe costata quell’attività pastorale… bensì è giunto da quel ragazzino che ha semplicemente messo a disposizione quanto aveva con sé. Non si è sentito in imbarazzo a mettere a disposizione il poco che aveva: 5 pani e due pesci, ma li ha messi tutti nelle mani del Signore… avrebbe potuto tenersene uno per sé, tanto per stare sicuro di poter pranzare almeno lui, invece pone tutto nelle mani di Gesù, ed ecco che in quelle mani, anche il nostro niente diventa una ricchezza, diventa qualcosa capace di sfamare.

È così anche nella nostra vita e nella vita della nostra comunità… solo se siamo capaci di mettere nelle mani del Signore il poco che abbiamo, con gioia e libertà, allora il miracolo avviene, allora la fame di cura, di senso e di relazioni vere può essere sfamata, ma se dietro abbiamo solo dei calcoli di interesse, dei calcoli di ritorno in termini di immagine, di popolarità, di riconoscimento… quanto faremo non sarà capace di saziare nessuno.

Il Signore si degni di moltiplicare i nostri pochi pani che anche quest’oggi poniamo nelle sue mani, sull’altare accanto al pane che diventerà il suo corpo, perché diventiamo capaci di offrirci a lui, per il bene degli altri. Penserà lui a moltiplicare e a rendere più che abbondante il nostro niente.

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08 luglio

XIV domenica del tempo ordinario

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Stupisce, forse l’incredulità degli abitanti di Nazareth, proprio come Gesù stesso rimase meravigliato. Eppure, forse, è proprio qualcosa di profondo, di radicato nel cuore dell’uomo, una tentazione lì rannicchiata nell’angolino del nostro cuore, che ha volte emerge anche nelle nostre vite…

La tentazione della ragionevolezza, possiamo provare a definirla così. Lo comprendiamo dall’inizio del brano: i ragionamenti della gente che ha visto crescere Gesù, non fanno una grinza, sono tutti coerenti e ragionevoli. L’hanno visto giocare da bambino, sanno qual è la sua famiglia, potremmo dire riportando ad oggi, sanno che scuola ha fatto, che voti prendeva, cosa ha fatto come apprendista, se ha lavorato o meno… sanno che ad un certo punto ha lasciato la sua casa, sua madre e i suoi parenti… Quante cose sanno… peccato che tutto quel sapere diventa una specie di roccaforte nella quale rifugiarsi per non lasciarsi in qualche modo toccare dal suo messaggio.

Sentono le sue parole, si accorgono che racchiudono una sapienza straordinaria, fuori dal comune, si chiedono infatti da dove gli venga, eppure non fanno il passo avanti, il passo della fede. Sanno dei prodigi che ha compiuto lungo il suo cammino, eppure di fronte alla fatica di credere preferiscono fare il passo indietro tornare alla spiaggia sicura di ciò che è noto e non rischiare il passo della novità. Meglio rimanere nel quieto vivere accomodante, dove tutto si livella a quanto è mediocremente ragionevole, piuttosto che lasciarsi toccare da un messaggio nuovo che destabilizza perché chiede di convertirsi, di cambiare.

Se il Vangelo non ci provoca ma ci lascia nella quiete di quanto ragionevolmente sappiamo, allora non è Vangelo. Paolo, nella seconda lettura ci aiuta a capire proprio questo. È nella mia debolezza riconosciuta e accolta, che diventa feconda la presenza di Cristo. Se mi chiudo nel fortino di me stesso, delle mie certezze ragionevoli, non lascio nessuno spazio per l’azione di Cristo nella mia vita, divento come uno dei cittadini di Nazareth che del Maestro non avevano bisogno, precludendogli la possibilità di compiere miracoli.

La debolezza non vuol dire però nemmeno il piangersi addosso o dirsi sono fatto così e vado bene così… siamo chiamati a prenderci in mano ogni giorno, questo è il cammino di conversione ma il cammino è possibile solo se riconosco la necessità di camminare, cioè se mi riconosco debole e se riconosco la forza di Cristo che mi permette di progredire nella conversione. Se manca uno dei due passaggi l’evento descritto da Paolo non può avvenire: se non riconosco la debolezza Cristo non ha spazio, se non riconosco la sua forza rimango a sguazzare nel fango del mio peccato. Il Signore ci aiuti a stupirci del suo annuncio e a gioire di esserne i destinatari.

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01 luglio

XIII domenica del tempo ordinario

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Siamo di fronte a due miracoli di Gesù, forse a prima vista possono sembrare due situazioni distanti, senza molti punti in comune, probabilmente nemmeno si conoscevano le persone coinvolte, eppure per entrambe il desiderio è quello della salvezza e guarda caso, sono 12 gli anni di malattia della donna, proprio come sono 12 gli anni di vita di quella ragazzina. Ci troviamo di fronte ad un padre che invoca la salvezza e la vita per la propria figlioletta e una donna che cerca di toccare Gesù per essere salvata.

Un germoglio di fede forse è ciò che accomuna queste due persone… un’ultima speranza lì dove ormai non sembra esserci più nessuna speranza. Il padre si getta ai piedi di Gesù e lo supplica, mentre la donna gli tocca il mantello… possiamo dire che per nessuno dei due è sufficiente il passo iniziale, quel passo segnerà l’inizio di un cammino ulteriore che porti dalla guarigione alla salvezza.

Il padre è chiamato ad attendere… il lungo soffermarsi di Marco nel racconto della guarigione della donna, ci fa proprio entrare in quell’attesa… quanti di noi si sono riconosciuti in quelle richieste fatte al Signore, per le quali le risposte sembravano non arrivare mai, per le quali facevamo fatica a comprendere cosa il Signore ci stava dicendo con quel fatto, quella fatica, con quell’arrabbiatura.

Eppure il Signore non si scorda di quell’uomo, gli chiede di avere fede, di uscire dalla dimensione del supermercato: ho un bisogno, arrivo, cerco l’oggetto o il servizio adeguato al mio bisogno, pago alla cassa e… il gioco è fatto… con Dio le cose non funzionano così, l’invito è quello a progredire nella dimensione della fede, a vivere sempre di più nella fiducia, nell’abbandono fra le sue braccia, consegnarci a lui, come sono chiamati a fare entrambi, sia il padre che si consegna con tutto il dolore per la situazione di sua figlia, sia la donna che dopo aver compiuto quel gesto di nascosto, esce allo scoperto e si consegna a Gesù, esce dalla dimensione scaramantica e feticista del “toccare per”… Gesù non esclude la dimensione della corporeità, lui stesso infatti si è fatto uomo ed ha assunto fino in fondo la nostra umanità ed ha scelto di rimanere in mezzo a noi, attraverso il pane e il vino, non con pure teorie ma con qualcosa che possiamo vedere, toccare, gustare… però ci chiede di fare un passo avanti… riconoscere che non dipende da ciò che tocco la mia salvezza, non dipende da quanti santini porto nel portafoglio o dal fatto di avere al collo uno o più crocifissi o dall’avere in tasca il rosario… non si tratta di amuleti o di gesti scaramantici, ma potremmo dire di promemoria che hanno senso nella misura in cui ci aiutano a fare il passo avanti nella fede, nella misura in cui mi ricordano la sua presenza nella mia vita, la sua cura nei miei confronti, allora anche per me, come per quella donna e quella bimba si aprirà la porta della salvezza.

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24 giugno

Natività di S. Giovanni Battista

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Nella nascita di S. Giovanni Battista il Vangelo ci presenta già alcuni tratti che mostrano quanto questo bimbo sarà diverso da ogni altro ragazzino… un parto straordinario, Elisabetta è avanti negli anni ed è sterile, il padre al rientro dal suo servizio al tempio dove ha ricevuto l’annuncio dell’angelo rimane muto per non aver creduto, il nome proposto, lo stesso del padre – come spesso avveniva del resto – non viene accettato né dalla madre né dal padre ma chiedono che gli venga posto il nome di Giovanni, Zaccaria riacquista la possibilità di parlare quando dimostra di accogliere il progetto di Dio scrivendo sulla tavoletta che Giovanni è il suo nome… passare dall’incredulità al credere gli ha fatto anche riacquistare il dono della parola. Si tratta di un bambino che subito, dai primi giorni, fa discutere tutta la regione… questo ci richiama in qualche modo i vangeli di Natale, anche qualche mese dopo infatti tutti parleranno di un altro bambino.

Giovanni precede Gesù, è il suo precursore, colui che, cammina avanti al Messia e annuncia la necessità di essere pronti ad accoglierlo. Lo anticipa di circa sei mesi nella nascita, lo anticipa nella predicazione, lo introdurrà con il battesimo nel momento della vita pubblica… e lo anticiperà anche nel martirio perché proprio per quella sua parola così tagliente e scomoda verrà ucciso da Erode su istigazione di Erodiade.

Oggi è il giorno nel quale la sottolineatura del Vangelo va a porsi relativamente al nome… il nostro nome è ciò che ci contraddistingue, dice chi siamo, quando vogliamo o dobbiamo presentarci a qualcuno diciamo il nostro nome, quando vogliono chiamarci pronunciano il nostro nome… quando dobbiamo firmare qualcosa utilizziamo il nome… Giovanni significa in ebraico “Dio usa misericordia”, in quel nome era racchiuso tutto un programma di vita, quel bambino portava in sé il segno di quella misericordia di Dio per tutto il popolo, il fatto che Dio non si era dimenticato del suo popolo… quel nome annuncia quanto Dio sta per fare, o meglio, quanto sta facendo con l’invio del proprio figlio e questo sarà proprio lo stile della vita e dell’annuncio del battista.

A conclusione del brano, la gente si chiedeva “Che sarà mai questo bambino?” chissà quante volte ci siamo posti questa domanda nei confronti dei più piccoli, che sarà di lui, che mondo troverà, cosa farà, starà bene… quest’oggi, nella nostra preghiera consegniamo tutti i piccoli del mondo intero, affinché trovino in noi adulti persone responsabili e degne di fiducia, che, come il precursore per Gesù preparino loro la strada affinché il mondo possa essere casa accogliente per la loro crescita.

Commento alla Parola domenicale

17 giugno

XI domenica del tempo ordinario

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Senza parabole Gesù non parlava alla folla… in questa domenica ci viene presentato proprio questo linguaggio così particolare, potremmo dire che è quasi il linguaggio “proprio” di Gesù, quello nel quale sono espressi probabilmente il maggior numero di eventi, di racconti, di discorsi… il Maestro di Nazareth si serve di immagini tratte dalla vita quotidiana dei suoi connazionali proprio per far sì che il suo annuncio non sia qualcosa di lontano, di posticcio… certamente rimarrà qualcosa di nuovo, di scandaloso perché diverso da quanto veniva annunciato dagli scribi e dai farisei, eppure in qualche modo, questo linguaggio permetteva di sentire un po’ più vicine e accessibili le parole di Gesù, sentire che in qualche modo avevano a che fare con la vita vera di persone vere e non con puri ragionamenti campati nelle nuvole di pure teorie.

Gesù si presenta a noi, proprio così: vuole avere qualcosa da dire alla nostra vita, ci tiene – potremmo dire – ad avere a che fare con il nostro vissuto quotidiano.

Ed ecco che, parlando ad una popolazione di contadini, quale immagine migliore del prodigio di un seme che pian piano si trasforma producendo frutto. Il Regno di Dio è proprio questo, non qualcosa di eclatante, non qualcosa che fa rumore, non qualcosa di improvviso, ma il Regno di Dio è qualcosa che cresce, giorno dopo giorno, proprio come il seme… è difficile osservare e misurare quanto cresce, magari di settimana in settimana ti accorgi… ma se hai fretta sembra che quel seme si fermi… è così… se hai pazienza cresce veloce… guardando i campi da una settimana con l’altra ci accorgiamo di quanto cresce l’erba, il grano ecc. ma se abbiamo fretta e ogni 5 minuti andiamo a controllare… non ci accorgiamo della crescita e sembra che tutto sia fermo.

Anche la nostra fede, anche il Regno di Dio agisce proprio allo stesso modo… se guardo il mio cammino di conversione mi sembra di essere sempre allo stesso punto, di compiere sempre gli stessi errori, magari anche quando vado a confessarmi percepisco una specie di frustrazione perché mi trovo a ripetere sempre gli stessi peccati… eppure se provo a guardare bene, se non guardo a quanto sono cambiato rispetto a ieri o a settimana scorsa, ma se butto lo sguardo un po’ più in là… se onestamente ho lasciato che il Signore agisse all’interno della mia vita, potrò accorgermi che il Regno di Dio veramente è presente… allora sì potrò vedere che magari dei passi concreti li ho compiuti… non aspettiamo che il Regno faccia rumore nella nostra vita, ma apriamo gli occhi e ci accorgeremo che siamo noi quegli uccelli del cielo che hanno trovato già ombra e ristoro fra i suoi rami.

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10 giugno

X domenica del tempo ordinario

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Due atteggiamenti diversi ci vengono proposti all’interno del Vangelo che abbiamo appena ascoltato: un atteggiamento di distanza e diffidenza da un lato, e dall’altra parte coloro che si siedono ai piedi di Gesù.

Sia i parenti di Gesù, sia gli scribi giunti da Gerusalemme rimangono a distanza infatti rispetto a quanto sta facendo e dicendo questo maestro. Guardano da lontano, da casa i primi, da Gerusalemme gli altri… e da fuori eccoli ergersi a giudici nei confronti del suo operato, un giudizio ovviamente superficiale, il giudizio di chi non conosce e solo sulla base di un paio di notizie giunge già ad avere tutto chiaro e la soluzione ad ogni dubbio, lo incasellano per benino nei loro schemi mentali… è fuori di sé… è il capo dei demoni.

Quante volte anche noi, ci poniamo da spettatori, da osservatori che guardano dall’esterno ciò che avviene, ce ne guardiamo bene dallo sporcarci le mani, dal vivere a contatto con la comunità, con i suoi bisogni… ma da fuori quanti giudizi e pregiudizi ci permettiamo sempre partendo da una superficialità di sparare contro gli altri, così come il Vangelo ha espresso quest’oggi è avvenuto per lo stesso Gesù…

Certo che Gesù è fuori di sé, è tutta la sua vita un essere fuori di sé… è uscito dal Padre per venire in mezzo a noi, per farsi uomo e salvarci, ha vissuto tutta la sua vita umana come una donazione, come un essere proteso verso l’esterno, verso gli altri, per poterne portare a salvezza il maggior numero.

D’altro canto, il brano di oggi ci mostra un altro atteggiamento, quello di quanti sono seduti attorno a lui, quella folla indefinita di persone che hanno visto in lui il Maestro vero, colui che aveva qualcosa di importante e di profondo da dire alla loro esistenza. Si sono messi in ascolto, hanno fatto entrare quei gesti nei loro occhi e da lì hanno raggiunto il loro cuore. Non è solo il fascino dell’emozione di un momento che ti prende il cuore, ma è la Parola del Maestro che ti raggiunge e ti cambia la vita, perché ti proietta verso altro, così come lui è proiettato verso altro. Quella Parola che ti trasforma radicalmente e ti fa diventare madre, fratello, sorella del Signore. Si perché ascoltare e fare la volontà di Dio ci trasforma dall’interno, ci rende persone nuove, ci inserisce in un dinamismo nuovo perché in Gesù siamo tutti veramente fratelli fra di noi perché tutti fratelli suoi e se siamo fratelli suoi siamo anche figli dell’unico Padre che è nei cieli. Ci aiuti il Signore a sceglierlo nella nostra vita, a porci attorno a lui in ascolto della sua parola e questo ascolto si trasformi in vita nuova, ci renda familiari suoi e fra di noi.

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03 giugno

Solennità del Corpus Domini

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Prendete… celebriamo quest’oggi la festa della consegna di Gesù ad ogni uomo, la sua vita giunge al culmine, è il punto più alto della sua manifestazione, il progetto e mistero salvifico del Padre sta per compiersi. Tutta la sua vita è stata una consegna all’umanità e una consegna dell’umanità al Padre. In questo gesto ecco che entrambi questi movimenti trovano sintesi, culmine e significato.

In quel frammento di pane, un pane che non è intero ma è un pane spezzato, come spezzata è stata la sua vita e come lo sarà anche fisicamente poche ore dopo, con la sua morte in croce… ma non solo un pane spezzato perché segno della fraternità, di una comunione che siamo chiamati a costruire ogni giorno… è per molti, non per uno solo, è un pane che viene consegnato non come qualcosa di esclusivo ma come qualcosa che ci fa sentire tutti più vicini perché nutriti dello stesso cibo. Lo stesso vale per quel sorso di vino che è versato, non è conservato in una bottiglia ben sigillata… è versato proprio perché venga bevuto e il vino è il segno della festa, della gioia piena.

Con questi due gesti Gesù si offre interamente all’umanità, si consegna a noi perché la nostra vita sia sempre più simile alla sua, perché possiamo avvicinarci sempre più a Lui e imparare a donarci gli uni gli altri con un amore sempre più simile al suo.

E il secondo movimento è quello della consegna dell’umanità al Padre. Il nostro radunarci intorno all’altare infatti ci pone in relazione diretta con la liturgia del cielo, in attesa della visione piena, della Pasqua eterna della Gerusalemme del cielo (come abbiamo pregato nell’orazione di colletta). Gesù, proprio al culmine della sua vita, ci riconsegna al Padre, nell’attesa di bere nuovamente il vino nuovo nel Regno di Dio.

Il sacramento che ogni giorno la Chiesa celebra in tutto il mondo, ci rende partecipi pienamente di questo mistero di salvezza. Gesù che si offre come nostro nutrimento ci costituisce nell’unità della Chiesa, come una comunità di fratelli e non come un’accozzaglia di individui che cercano il modo di emergere facendo capolino in una società dove l’anonimato la fa da padrone. Possa lo stile di Gesù diventare sempre più lo stile di ciascuno di noi, chiamati a spezzarci per gli altri perché lui si è spezzato per noi, chiamati a riconoscere nell’altro un fratello perché si nutre dell’unico pane spezzato per noi; chiamati ad avere uno sguardo proiettato verso il cielo riconoscendo che quanto celebriamo ogni domenica è, in fondo, un anticipo di paradiso… possano anche i nostri riti avere sempre più il carattere della festa per pregustare già qui il sapore del paradiso

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27 maggio

Solennità della SS. Trinità

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Andate e fate discepoli, battezzandoli.

È l’invito, anzi l’incarico che Gesù ha affidato agli apostoli. L’invito a non rimanere soli, chiusi in un gruppo elitario che sta bene insieme, un gruppo che per tre anni ha vissuto un’esperienza straordinaria ed ora vive di ricordi, magari anche di rassegnazione o peggio di nostalgia per quando c’era il Maestro e… allora sì che le cose andavano bene…

Gesù nel salutarli, invece, potremmo dire che genera un movimento centrifugo, li manda, li invia, li allontana quasi, non con l’idea di dividere gli undici ma proprio per far sì che quel messaggio possa raggiungere ogni angolo della terra.

E le consegne sono tre: fate discepoli, battezzate, insegnate a osservare. Fare discepoli implica la dimensione dell’annuncio, la Parola che raggiunge tutti i popoli perché riconoscano nel Signore l’unica via di salvezza; battezzare, il segno visibile della conversione, il consegnarsi a quell’amore trinitario del Padre, Figlio e Spirito Santo, lo stesso amore che oggi stiamo celebrando in questa solennità; e da ultimo insegnare ad osservare che mi richiama più da vicino il tema della testimonianza concreta, la testimonianza di vita… insegnare ad osservare non è questione di mettersi lì, a tavolino a comprendere tutti i cavilli della legge, come facevano scribi e farisei nei confronti della legge di Mosè, ma è mostrare con la propria condotta di vita cosa vuol dire osservare i comandamenti che Gesù ci ha consegnato, e il primo comandamento, lo sappiamo, è quello dell’amore a Dio e al prossimo come ciascuno di noi ama sé stesso.

Nell’invio però c’è anche una consegna, o meglio un essere consegnati: Gesù non li invia lasciandoli soli ma promettendo la sua presenza e vicinanza ogni giorno. È la sua forza che ha sostenuto l’annuncio dei primi discepoli e che dopo 2000 anni, ancora tiene unita, tiene in piedi la Chiesa.

In questi giorni è presente nella nostra città e nella nostra diocesi la reliquia di San Giovanni XXIII, il legame affettivo di buona parte della gente della nostra terra è certamente forte, è stato un testimone proprio di questo sentirsi accompagnato ogni giorno dalla presenza del Signore, anche quando le scelte dei superiori sembravano incomprensibili e lo portavano lontano, non solo in termini spaziali, ma lontano anche dalle scelte che sembravano a lui più confacenti, eppure anche lì si è sentito accompagnato dal Signore e dalla Chiesa e ha lasciato che fosse lo Spirito a guidare i suoi passi. Chiediamo anche noi di riconoscere ogni giorno la grazia del battesimo che si rinnova in noi, sentiamoci abbracciati e innestati in quel mistero d’amore che è la Divina Trinità e questo ci aiuti a diventare sempre più testimoni credibili non di noi stessi, ma di Lui.

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20 maggio

Solennità di Pentecoste

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L’invito che ci ha rivolto Gesù nel vangelo che abbiamo appena ascoltato è quello a diventare suoi testimoni, a dare testimonianza di lui. Dare testimonianza, essere testimoni è un compito che normalmente ha a che fare con la giustizia: in caso di giudizio o di contesa, si cercano dei testimoni che esprimano ciò che hanno visto o sentito. Per poter essere testimoni bisogna essere stati presenti al fatto, averlo sperimentato in prima persona… non puoi essere testimone di un incidente se tu sei in un’altra città…

Gesù invita i suoi discepoli, anzitutto quelli che sono stati con lui fin dal principio, a diventare suoi testimoni, a raccontare ciò che hanno visto, ciò che hanno sperimentato nella loro vita, in quella relazione particolare e privilegiata che deve essere stata il camminare fianco a fianco del Maestro, ascoltare le sue parole… la fatica anche a comprenderle nel profondo e i conseguenti rimproveri da parte di Gesù per la loro chiusura di cuore. Ma non solo, non è solamente questione di parole da annunciare, ma di vita che deve far trasparire che quell’incontro li ha cambiati, che quell’incontro aveva veramente qualcosa di grande da dire alla vita di ogni uomo. Essere testimoni, va al di là del racconto, chiede di rendere la loro vita un po’ più simile a quella di Gesù.

Che cosa straordinaria stiamo celebrando… il fatto che i discepoli non saranno lasciati soli a rendere testimonianza, perché non si credano dei superuomini e perché non rimangano schiacciati dal peso della testimonianza stessa, dalla fatica quando il mondo non vorrà accogliere la parola del Maestro, così come non accolse il Maestro e lo uccise appendendolo alla croce. Il Padre invierà lo Spirito, il Paraclito, colui che sostiene nella fatica, colui che aiuta nella testimonianza perché doni la forza a quei discepoli.

E quanta forza ha dato e ancora offre alla Chiesa, se ancora dopo 2000 anni, nonostante tutte le piccolezze e fragilità umane che si porta dietro per il fatto di essere fatta di uomini in carne e ossa e quindi peccatori, come ciascuno di noi… ma sostenuta e mantenuta nell’unità proprio dal dono e dall’azione dello Spirito che continuamente si rinnova.

Infatti, oggi, ciascuno di noi è chiamato ad essere, come quei discepoli, testimone del Signore, a raccontare del nostro incontro con Lui, di come Lui ci ha cambiato la vita, di come ci riempie l’esistenza, di quanta gioia ci mette nel cuore l’incontrarci come una grande famiglia di fratelli, ciascuno con i suoi difetti, certo, come ogni fratello, ma con lui che ci tiene uniti perché tutti abbiamo lo sguardo rivolto verso di lui… chiediamogli che l’Eucarestia sia questo momento di gioia che ci apre al diventare suoi testimoni con la nostra vita.

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