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Commento alla Parola domenicale

17 gennaio

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Se un matrimonio voleva cominciare male, diciamo che quello di Cana ci stava proprio riuscendo… il venir meno del vino nel corso della festa, avrebbe voluto dire proprio rovinare quel momento così bello e familiare, quella gioia che, allora come oggi, accompagna l’unione di due persone per costituire una nuova famiglia.

È acuto lo sguardo di Maria… è la prima ad accorgersi di questa carenza. Hanno sbagliato gli sposi a calcolare quanto vino comprare? Non avranno avuto soldi a sufficienza per comprarne di più? Avranno esagerato gli invitati, come a volte succede anche oggi? Non ci è dato saperlo, tant’è che quel vino non basta, la festa dovrà, quindi, rapidamente volgere al termine. Maria interpella Gesù. Non fa grandi discorsi, semplicemente si limita a far constatare a suo figlio, presente come invitato a nozze, questa mancanza. “Non hanno vino”. È una frase molto lapidaria e scarna, indica la premura di questa madre e sposa perché i festeggiati non si vedano rovinati i primi momenti del loro vivere insieme.

Sentiamo Maria vicina anche alla nostra vita, con uno sguardo attento all’esistenza di ciascuno di noi e che, all’occorrenza rimanda a Gesù le nostre difficoltà. Confidiamo che quando non ce la facciamo più, Maria ripeta a suo figlio quel “Non hanno più vino”, mettiamoci prima il nome di ciascuno di noi…

Per Gesù non è ancora il tempo di manifestarsi, non è ancora la sua ora, eppure si lascia commuovere da quella coppia di sposi ignari della situazione… al punto che in tutto il brano di loro non c’è traccia se non alla fine, quando il maestro di tavola chiama lo sposo.

Gesù non vuole fare tutto da solo, vengono coinvolti i servi e in maniera abbastanza pesante… 6 anfore di pietra contenenti da 80 a 120 litri… se facciamo una media sono circa 600 litri di capacità e Gesù chiede che vengano riempite. Capiamoci bene, non c’era l’acqua corrente all’epoca, bisognava andare al pozzo a prendere l’acqua e travasarla nelle giare… ma quei servi non battono ciglio, vanno e fanno quanto richiesto da questo sconosciuto e lo eseguono fino in fondo, non si risparmiano, riempiono fino all’orlo. Ma se questo costa un po’ di fatica fisica e qualcuno potrebbe dire che era il loro lavoro, il loro compito… io mi chiedo quanti di noi avrebbero avuto il coraggio di fare quanto poi Gesù ha chiesto: prendere un po’ di quell’acqua e portarla al maestro di tavola spacciandola per vino. Poteva costare loro molto caro uno scherzetto di questo genere, eppure eseguono, si fidano… ed ecco che l’acqua non è più tale ma è diventata il vino più buono servito a quel banchetto. Gesù offre anche a noi il vino buono, è lui il vino della gioia, della festa, la bevanda che disseta la nostra vita e si offre a noi, ogni volta che ci accostiamo a questo altare. Fidiamoci di lui, dei suoi modi e tempi, anche quando ciò che ci chiede facciamo fatica a comprenderlo. Affidiamoci a lui, lui trasformerà la nostra vita riempita di semplice acqua in una vita colma della gioia del suo vino, della sua presenza.

Di |2016-01-17T09:45:37+01:0017/01/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola domenicale

10 gennaio

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Per la liturgia sono già passati trent’anni, gli anni della vita nascosta di Gesù sono ormai dietro le sue spalle, si è fatto uomo, adulto, la sua permanenza a Nazareth si è conclusa e si è fatto il tempo di partire… in tutti i sensi, partire dal suo villaggio e partire anche come “cominciare” il dare l’avvio alla sua missione di annuncio a tutto il popolo della lieta novella che il Regno di Dio è vicino, che Dio non ha cessato di prendersi cura del suo popolo.

E proprio questo popolo è il primo ad esserci presentato quest’oggi. Potremmo definirlo un popolo affascinato dalla predicazione di quel personaggio tanto particolare come era Giovanni il Battista, al punto di chiedersi se non fosse lui l’inviato del Signore.

Giovanni non cede alle lusinghe, non accetta questo giochino, immediatamente mette le cose in chiaro, si fa da parte, lascia il posto al vero inviato del Signore… viene uno più forte di me. Sì, il Messia sarà più forte di lui, non nel senso che utilizzerà la forza per sottomettere e schiacciare i nemici, ma avrà in sé la forza stessa di Dio e battezzerà in Spirito Santo e fuoco.

Quanta umiltà ci insegna Giovanni, quanta capacità di mettersi da parte perché il Signore possa manifestarsi con tutta la sua forza e grandezza e possa risplendere davanti a tutti il volto del Signore e non il suo. Come sarebbe bello se anche noi imparassimo lo stesso stile dimesso del Battista e lasciassimo intravedere un po’ di più nella nostra esistenza l’azione stessa di Dio.

E Gesù, prima di predicare si avvicina proprio a questo popolo in ricerca, desideroso di avviare un cammino di conversione per poter fare un’autentica esperienza di Dio, si immerge in questo popolo, quasi mimetizzandosi, nascondendosi in mezzo ad una folla di peccatori e anche lui si fa battezzare da Giovanni. È significativo che dopo aver ricevuto il battesimo, Gesù abbia sostato in preghiera, si è fermato, ha instaurato un dialogo col Padre, si è consegnato e affidato interamente a lui, ha consegnato quel popolo che con lui è stato battezzato in quelle stesse acque, ha affidato la missione che da questo momento si apriva davanti a lui… non conosciamo direttamente il contenuto della sua preghiera, però ci affascina e non può lasciarci indifferenti il fatto che il Signore per primo nei momenti significativi della sua esistenza si sia fermato a dialogare col Padre. Quanto bisogno abbiamo anche noi di fermarci un po’ e di consegnarci a Dio. Prenderci del tempo affinché quanto siamo e facciamo assuma senso e sapore alla luce stessa di Dio. La risposta di Dio non si è fatta attendere, è la manifestazione della Trinità: la voce del Padre, il Figlio in preghiera e lo Spirito Santo in forma di colomba. Dio Padre attesta in quell’uomo il proprio Figlio amato, nel quale anche ciascuno di noi si può sentire veramente figlio. Sentiamo Gesù vicino a noi, così come è stato vicino a quei suoi compaesani nel ricevere il battesimo, ma percepiamo che proprio grazie a lui ci viene offerta la possibilità della salvezza che ogni domenica celebriamo proprio nell’Eucarestia, in quel pane e questa parola spezzati per la nostra salvezza.

Di |2016-01-10T13:43:36+01:0010/01/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

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03 gennaio

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Siamo ancora nella gioia del Natale e la liturgia ci ha proposto ancora il Vangelo del giorno di Natale: il prologo di San Giovanni.

Il legame tra la prima lettura e il Vangelo ci porta a riflettere quest’oggi sul fatto che il Signore ha posto la sua tenda in mezzo a noi, venne ad abitare in mezzo a noi. Sì, quella sapienza divina riferita dal libro del Siracide, quella stessa sapienza a cui il Creatore diede l’ordine di fissare la tenda in Giacobbe e di affondare le radici tra i suoi eletti, eccola trovare concretezza proprio nella venuta in mezzo all’umanità del Figlio di Dio, di Gesù, il messia tanto atteso dal popolo dell’alleanza, dal popolo di Israele.

Questo Figlio venuto nel mondo per rivelarci il volto del Padre. Lui, l’unico ad aver conosciuto il Padre ci è stato inviato proprio per renderci partecipi dell’amore che Dio nutre per l’umanità. Un amore tanto grande da non riuscire a lasciare sola l’umanità, ma ha deciso di renderci partecipi del suo amore inviandoci il Salvatore, il Verbo, che è Dio ed era presso Dio, ma è disceso in mezzo a noi, facendosi uomo in tutto come noi, eccetto il peccato, per aiutarci a ritornare al Padre.

Sì, perché come ci ha rassicurati san Paolo, nella seconda lettura, il Padre ci ha predestinati ad essere suoi figli adottivi per mezzo di Gesù. Il suo essersi fatto uomo come noi ci ha permesso di diventare a nostra volta figli nel Figlio di Dio. È proprio grazie a questo suo disegno d’amore che siamo resi partecipi della sua volontà di salvezza nei confronti dell’intera umanità e che anche noi possiamo chiamare Dio come nostro Padre.

Sentiamoci rivolto in questi primi giorni di questo anno nuovo lo stesso augurio che Paolo rivolge ai cristiani di Efeso: il Padre vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi. Il Signore ci faccia veramente conoscere qual è la speranza alla quale ci ha chiamati, la speranza della nostra salvezza, del nostro essere suoi figli. Illumini gli occhi del nostro cuore all’accoglienza della luce che suo figlio Gesù è venuto a portare alle nostre vite buie e spente. Portiamo nella nostra vita di ogni giorno la vicinanza di questo Dio che ha voluto farsi così prossimo, così vicino all’umanità da entrare a farne parte, non sentiamolo lontano ma sempre vicino a noi alle nostre vite, alle nostre fatiche di ogni giorno.

Di |2016-01-03T08:40:49+01:0003/01/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola domenicale

27 dicembre

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Sono già passati dodici anni, la liturgia ci porta già ad incontrare un Gesù adolescente, o meglio un Gesù già cresciuto al punto di avere la possibilità di confrontarsi con i grandi maestri del tempio. Era così, a dodici anni si poteva leggere la bibbia e si entrava a far parte, in un certo senso, del mondo adulto.

Anche Maria e Giuseppe sembrano stupirsi tanto quanto noi per questo, ma non solo per la possibilità, ma per tutto quanto avviene e per quelle parola che Gesù rivolge loro. Oggi è la festa della sacra famiglia, non della famiglia in genere, anche perché se si prendesse questo brano a paradigma del rapporto genitori figli credo che non sarebbe molto corretto. Luca con il suo vangelo non vuole mostrarci un Gesù disubbidiente e nemmeno uno irrispettoso dei propri genitori.

È bello, invece, l’atteggiamento nel quale questa famiglia vive ogni occasione della propria esistenza. Tutti e tre, potremmo dire, vivono con lo sguardo rivolto verso il cielo… non fraintendiamo, non sono con la testa fra le nuvole, ma ogni loro azione ha come orizzonte Dio. È bello il fatto che ogni anno facessero il pellegrinaggio a Gerusalemme, al tempio e vi portano anche Gesù.

Lì potremmo dire che Gesù inizia a scorgere la sua vocazione, la sua chiamata, lo scopo della sua incarnazione, la sua missione in mezzo a questa nostra umanità: devo occuparmi delle cose del Padre mio.

Non si tratta di una risposta irriverente nei confronti di Maria e Giuseppe, ma il suo riportarli al senso profondo della sua nascita. Quanta tenerezza ci fanno questi due genitori che non comprendono ciò che Gesù dice loro, eppure accolgono quelle parole come un segno, come qualcosa da custodire nel cuore, qualcosa di non chiaro che via via assumerà consistenza con il crescere di quella vita.

E Gesù accoglie fino in fondo il suo essersi fatto uomo, nato in una famiglia, torna a casa, con i suoi genitori e sta loro sottomesso, non è ancora il tempo della sua manifestazione, è presto perché la sua missione trovi concretezza in un annuncio, iniziano gli anni della vita nascosta, quella vita nella quale Gesù ha imparato a conoscere, apprezzare e accogliere fino in fondo la nostra umanità. È qui che scopriamo la bellezza e la grandezza della sua incarnazione, che va al di là della tenerezza che può suscitare nel cuore l’immagine del bambinello, è invece il portare dentro di sé tutto di questa nostra umanità eccetto il peccato, accettare di farla sua poco per volta, nel nascondimento di una casa qualunque, in una famiglia qualunque in un paesino sconosciuto… è cresciuto in età, sapienza e grazia davanti a Dio e agli uomini, perché solo così poteva salvare l’umanità, facendola propria, facendosene carico dal suo interno.

Sentiamoci oggetto di questo amore profondo di Dio per l’umanità, come Maria accettiamo di non comprendere tutto dell’azione di Dio nella nostra vita, riconosciamo anche che i tempi del Signore non sempre corrispondono ai nostri, chiediamo a lui di avere ogni giorno lo sguardo rivolto al cielo, riconoscendo che l’orizzonte della nostra esistenza è lui e l’incontro con lui.

Di |2015-12-27T16:23:26+01:0027/12/2015|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

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120 dicembre

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È straordinario l’incontro del quale siamo appena stati resi partecipi ascoltando il brano di Vangelo. Un avvenimento tanto comune, come l’incontro e la visita fra due donne incinte che condividono la gioia e la fatica di quanto sta avvenendo in loro… eppure ha in sé qualcosa in più, non è solamente questo.

Ci lasciamo illuminare ancora una volta dal verbo che il nostro cammino di avvento ci indica come traccia di riflessione e impegno per questa settimana: il verbo ACCOGLIERE.

Quanta accoglienza possiamo riscontrare nell’incontro tra Maria ed Elisabetta. Anzitutto Elisabetta accoglie Maria, le fa posto nella sua casa, nella sua vita, le apre la porta e lascia che questa cugina molto più giovane di lei possa sentirsi a casa… il vangelo ci dice un po’ più avanti rispetto ai versetti che abbiamo ascoltato che Maria si fermerà in quella casa per ben tre mesi… non è andata a fare la visita di cortesia, non è andata a prendere un caffè diremmo oggi, Maria è andata a porsi in servizio di Elisabetta.

Maria, quindi, a sua volta ha accolto la cugina e le ha permesso di scombussolarle la vita.

Ma c’è un’accoglienza in più che, potremmo dire, accomuna entrambe queste donne, seppur in maniera e misura diversa. Entrambe si dimostrano accoglienti del progetto di Dio su di loro. Si fanno casa per un bambino inatteso, per un evento straordinario nascosto in un avvenimento tanto ordinario come è la nascita di un figlio.

Per Elisabetta è inatteso perché ormai, alla sua età, lei che da tutti era detta sterile, quindi incapace di generare vita dentro di lei, ecco che riceve il grande dono di poter avere questo figlio.

Per Maria, al contrario, è inatteso perché, come lei stessa fa notare all’Angelo, non conosce uomo, è vergine, è troppo giovane per divenire già madre, eppure, come abbiamo ascoltato il giorno dell’Immacolata, la sua risposta è piena di fiducia e di accoglienza di quel dono grande che Dio sta facendo non solo a lei ma a tutta l’umanità. Maria, accogliendo Gesù, in un certo senso accoglie anche ciascuno di noi che in suo figlio siamo salvati dai nostri peccati e abbiamo l’opportunità di tornare al Padre.

Fra pochissimi giorni sarà Natale, l’immagine di Maria accogliente, che si fa casa per il piccolo Gesù, Maria che si pone al servizio di Elisabetta come frutto di quella stessa accoglienza del Figlio di Dio, ci aiuti a fare posto nel nostro cuore e nella nostra vita alla presenza di Dio, una presenza che magari sconvolge i nostri piani, un progetto che non asseconda a volte le nostre attese, eppure una presenza che dona pace e serenità, dona capacità a nostra volta di farci vicino a quanti ci passano accanto, come ha fatto lui e il nostro cammino di avvento ci ha aiutato a meditare, come ha fatto anche Maria e abbiamo contemplato quest’oggi.

Di |2015-12-20T08:25:29+01:0020/12/2015|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

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113 dicembre

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Quante domande abbiamo sentito rivolte a Giovanni Battista nel Vangelo che abbiamo appena ascoltato. La folla vedendo quel profeta tanto particolare, ascoltando la sua parola così provocatoria non può proprio rimanerne indifferente. Ciascuno inizia ad interrogarsi sul significato di quanto il Battista sta annunciando, ma non un significato teorico, la folla non si ferma a fare dei bei ragionamenti. Quelle persone hanno un unico interrogativo che è ripetuto per ben tre volte dalle tre categorie che Luca ci ha presentato: Che cosa dobbiamo fare? Cioè, come possiamo rendere vita autentica, come possiamo trasformare in comportamenti reali ciò che abbiamo sentito annunciare da te, caro Giovanni.

Mi sembra bellissima anzitutto una cosa: la capacità del Battista di far sorgere domande e la disponibilità dei suoi connazionali a lasciarsi provocare. Ci accorgiamo tutti di quanto sia più costruttivo far emergere domande che cercare o offrire solamente delle risposte. Certo è più faticoso interrogarsi sulle cose, eppure è il solo modo per andare sempre più in profondità nella nostra vita. La risposta cercata in modo banale e facile purtroppo si trascina dietro una buona dose di superficialità… pensiamo a quanto è diverso apprendere qualcosa perché hai ricercato, ti sei interrogato, hai approfondito, piuttosto che se hai solo digitato una parola in internet e qualche sito ti ha propinato una risposta… ammesso e non concesso che tale risposta sia poi verificata e corretta…

Ciò che fa Giovanni è quanto vorrebbe fare ogni domenica la Parola di Dio, scavare dentro di noi, provocarci non per darci risposte immediate, ma perché impariamo a porci le domande, ma quelle giuste, quelle profonde per il nostro essere uomini e donne veri, fino in fondo.

Giovanni, quindi, risponde alle domande della folla, dei pubblicani e dei soldati, la nostra diocesi ci ha indicato un verbo che, potremmo dire, le riassume tutte e tre in questo significato comune e unitario. Si tratta del verbo condividere. Cioè “dividere con”… rendere partecipe chi ho accanto, i miei fratelli, di quanto io ho. Condividere è il contrario di trattenere, di tenere per me, di dire solo la parola “mio”. Tutto mio… è il rischio che non sono i bambini più piccoli hanno, ma è un modo di porsi che ci portiamo dietro anche da adulti, se non viviamo con fede anche il nostro avere, il nostro possedere delle cose.

Che coincidenza significativa, che questa parola di condivisione giunga proprio oggi, giorno nel quale tutti i bambini festeggiano l’arrivo di S. Lucia, quei doni ricevuti aprano il cuore di grandi e piccoli alla condivisione, al riconoscere che altri hanno meno possibilità di noi, al non trattenere tutto per noi ma aprire la mia mano tendendola verso la persona che mi passa accanto.

Chiediamo questa grazia al Signore in questa settimana e pian piano il nostro cuore sarà meno carico di cose e creeremo lo spazio per accogliere Gesù che viene nuovamente in noi e per noi in questo Santo Natale ormai alle porte.

Di |2015-12-13T12:23:51+01:0013/12/2015|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola domenicale

106 dicembre

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Abbiamo appena sentito riecheggiare ancora una volta quella voce di uno che grida nel deserto. Una voce che si è concretizzata in un tempo ben preciso, la parola di Dio viene in un contesto e in un tempo che Luca ha ben identificato. Non è il vezzo di un bravo storico che vuol farci capire quanto ha studiato e si è documentato in merito ai fatti che ci sta raccontando, si tratta invece della premura di chi vuole aiutare i credenti di ogni epoca a comprendere che non si tratta di una favoletta alla “c’era una volta”… ma di una volta precisa, in un luogo, su una persona altrettanto precisi.

E Giovanni, dopo aver ricevuto la parola di Dio, ecco che diviene voce, potremmo dire che dà fiato a quella parola che gli è stata rivolta, non la tiene per sé come un regalo del quale essere geloso, ma ne rende partecipe tutto il popolo di Israele annunciando la necessità di ricevere un battesimo in segno di conversione. Sì perché il Signore sta per venire ed è necessario preparargli la strada.

Non è un annuncio chiuso 2000 anni fa. La venuta nella storia di Gesù, la sua incarnazione non possono farci illudere che le strade ora siano sistemate, o soprattutto, che tanto il Signore già è venuto, quindi erano coloro che l’avrebbero incontrato per le strade ad aver bisogno di conversione per accoglierlo come si deve…

Ma il Signore non è venuto una volta per tutte, sappiamo che tornerà e riconosciamo inoltre che Lui vuole venire nei nostri cuori, sono quelle le strade da sistemare, sono quelli i burroni da riempire e i monti da abbassare…

Ed ecco allora il tema che la nostra diocesi ci propone per la riflessione di questa settimana: CAMBIARE.

In un mondo come il nostro, segnato dal mercato, dalla moda, dal consumismo, questo verbo potrebbe essere frainteso, non si tratta di un cambiare tanto per seguire i più, la massa, un cambiare per portare una ventata di novità alla nostra vita, il cambio che Giovanni Battista ci propone parte dal presupposto di uno sguardo profondo, attento e sincero alla nostra esistenza, al nostro cuore. Se siamo sinceri con noi stessi, con il Signore e con quanti ci sono vicini, non possiamo nascondere che ciascuno di noi abbia più di un aspetto del proprio cuore da cambiare. Per renderlo capace di pulsare sempre più amore e disponibilità all’incontro con Dio e con i fratelli.

Giovanni Battista ci invita questa settimana a ripulire la strada del nostro cuore da tutti quei sassi che ne rendono difficile il percorso. Proviamo a pensarci, a riconoscere da quali aspetti delle nostre abitudini, del nostro carattere, dei nostri vizi abbiamo bisogno di allontanarci, abbandonarli per avere un cuore più leggero. Chiediamo al Signore che illumini il nostro sguardo a riconoscerli con semplicità e consegnarli a Lui perché solo Lui, nella sua misericordia, li può trasformare in occasione di salvezza.

Di |2015-12-06T08:25:28+01:0006/12/2015|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

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129 novembre

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Vegliate in ogni momento pregando…

Pregare è proprio il verbo che il nostro cammino di avvento pone come passo iniziale. Pregare è proprio quell’atteggiamento di chi riconosce di poter alzare il capo verso l’alto, verso il cielo, verso il Signore e non rimanere avvinghiati dalla paura.

Mi colpisce molto infatti l’inizio del brano di vangelo di oggi, ci presenta infatti un mondo nel quale in cielo vi sono dei segni, mentre sulla terra c’è angoscia per il fragore del mare. Ma la cosa sconvolgente è data dal fatto che gli uomini muoiono per la paura e l’attesa… non muoiono per qualcosa che li colpisce, non muoiono perché quel mare in subbuglio li trascina dentro… muoiono per un male interno loro, il male della paura e dell’attesa.

Infatti una vita senza speranza, senza la capacità di alzare lo sguardo con fiducia riconoscendo vicina la liberazione, riconoscendo che il Figlio dell’uomo verrà, è una vita caratterizzata dall’angoscia, dalla paura, da quell’appesantimento di una vita che non trova più una ragion d’essere, non trova più un orizzonte al quale tendere ma via via si ripiega in sé stessa, abbassa lo sguardo fino a non riconoscere più nessuno all’infuori di sé.

La preghiera è proprio quell’opportunità che ci viene offerta di risollevare il nostro sguardo, è la preghiera a darci la forza e il coraggio di stare dentro i fatti di ogni giorno, dentro le pesantezze della vita, accogliendo e sopportando i nostri e gli altrui limiti.

La preghiera è una pausa potremmo dire nella nostra esistenza, nel nostro cammino di ogni giorno, un momento di ristoro nel quale porre nuovamente la nostra fiducia, la nostra vita, il nostro sguardo in quello del Signore e riconoscere che lui è lì, lui viene, lui si fa vicino a ciascuno di noi, l’ha fatto 2000 anni fa incarnandosi, ma siamo sicuri che tornerà, il nostro avvento ci aiuta proprio a ricordarci di questo, il Signore non ci ha abbandonato, ma lui tornerà.

Se l’immagine è quella del ristoro, allora possiamo proprio pensare ad una pausa durante una camminata in montagna, ci si ferma, si recuperano il respiro e le energie, si fissa lo sguardo sulla meta o sul tratto di strada che si ha davanti e si è nuovamente pronti per la salita. Così sia la nostra preghiera, una sosta di ristoro dello spirito nella nostra esistenza, la possibilità di riconsegnare al Signore i passi fatti e scrutare con lui, affidandosi a lui quelli che si prospettano per il futuro. In questo modo il nostro cammino nel mondo non sarà alla cieca ma avrà il sapore della fiducia in Dio, in lui che ha la vista molto più lunga della nostra. Chiediamo al Signore che lo stile del ragazzo rappresentato nel cartellone, con lo sguardo completamente rivolto verso il cielo possa essere anche il nostro stile e il Signore ci darà la forza di affrontare le fatiche di ogni giorno.

Di |2015-11-28T21:28:01+01:0028/11/2015|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

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22 novembre

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Sei tu il re dei Giudei?

Questa è la domanda che Pilato pone a Gesù e che la liturgia, quest’oggi ci offre nella solennità di Cristo Re dell’universo. Parlando di re e regni, la nostra mente corre immediatamente ai regni umani, quelli che in passato hanno costituito il modo normale di condurre le nazioni e i popoli, quei regni che ancora oggi esistono in qualche nazione. Il nostro immaginario, poi, viene arricchito dai racconti romanzeschi e fiabeschi che in maniera più o meno storica ma ci rimandano un immagine di re e di regno come qualcuno con un potere grande e forte che esercita su un popolo di sudditi chiamati a obbedire, rispettare le leggi, pagare le tasse… un re immerso normalmente nella ricchezza e circondato da consiglieri, servi, damigelle… Quanto è distante però questo dalla celebrazione di quest’oggi… Gesù non è certamente re in questo modo e prova ne è il fatto che dimostra la sua regalità proprio nell’interrogatorio che gli pone Pilato, fino ad essere sul suo vero trono che è la croce. È da lì che Gesù, infatti, esercita il suo essere re, non ha ricchezza se non quella della verità che è venuto a portarci e cioè la verità dell’amore che il Padre nutre per ogni uomo, non ha potere, se non quello di accogliere la nostra volontà di stare con lui oppure di andare per la nostra strada, non ha servitori ma amici, come dirà in un altro passo del Vangelo: non vi chiamo servi ma amici…

Ed in questo suo essere circondato di amici si inserisce la celebrazione che la nostra diocesi ci propone quest’oggi: la giornata del nostro seminario diocesano.

Il seminario, quella grande casa abitata da tanti ragazzi e giovani… che si stanno interrogando in merito a cosa il Signore chiede alla loro vita, cosa il Signore sta proponendo loro per vivere una vita piena e felice. Credo che sia bello e importante questo… non è la casa di chi diventa prete, ma di chi si interroga, e allora la risposta che ciascuno può trovare può essere diversa, non è univoca e non è una perdita di tempo se uno come risposta trova che la sua chiamata è ad essere padre di famiglia o ad essere qualcuno che si occupa del bene dei propri fratelli in un’altra direzione in un altro modo. Alcuni di questi, però, il Signore li chiama proprio a diventare suoi collaboratori diretti, li chiama a diventare sacerdoti, sia io che don Gianni abbiamo abitato il seminario prima di diventare sacerdoti e viviamo con gratitudine e riconoscenza il cammino svolto perché ci ha portato ad incontrare sempre di più il Signore sentendolo vicino alla nostra vita.

Potremmo dire che la vita del seminarista non è poi così distante dalla vita di ogni ragazzo, adolescente o giovane… in seminario si studia, c’è la scuola con tutto quello che questa realtà comporta (compiti, verifiche ecc.), in seminario si vive a stretto contatto con altri compagni a tempo pieno, si gioca con loro, si mangia con loro, si fanno tutte le attività più ordinarie di una giornata vivendo insieme ai propri compagni come una grande famiglia… ma tutto questo è legato da un filo che dà sapore al cammino, è il filo della preghiera, della relazione con il Signore che in ogni tratto di cammino si coltiva e si arricchisce per riuscire a conoscerlo sempre meglio e comprendere di più cosa ci rende felici, per cosa comprendiamo valga la pena di spendere la nostra vita.

Quest’oggi preghiamo anzitutto per il seminario, per i ragazzi che lo abitano e in particolare per Andrea, giovane della nostra parrocchia che sta facendo questo cammino; preghiamo per i superiori e i professori del seminario perché li aiutino a conoscersi meglio e conoscere sempre più il Signore, preghiamo per quanti in seminario prestano la loro opera professionale e preghiamo per i ragazzi e i giovani della nostra diocesi perché ancora possano avere il coraggio di chiedersi: “Signore come vuoi che io realizzi pienamente la vita che tu mi hai donato?”.

Di |2015-11-22T12:18:12+01:0022/11/2015|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

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Colzate - Arcobaleno15 novembre

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Ci stiamo avvicinando al termine dell’anno liturgico e il Signore ci invita a meditare e riflettere sui tempi ultimi.

Il vangelo che abbiamo appena ascoltato, così ricco di immagini potrebbe ingannarci e portarci a cercarvi la spiegazione di come avverrà la fine del mondo, di cosa ne sarà del mondo e di quando questa fine si manifesterà.

In realtà, Gesù, più che volerci dire come sarà la fine, ci mostra che il mondo non va verso il nulla… anche se le cose che a noi sembrano le più ovvie e sicure spariscono… il sole si oscura, la luna non da la luce, le stelle che cadono… il cielo sconvolto da quell’ordine che da milioni di anni lo caratterizza, questo non vuol dire che il mondo venga abbandonato al suo destino, ma il mondo vedrà il ritorno del Signore proprio per radunare quanti hanno creduto e sperato in lui. Dio non ci lascia soli, questa è la certezza che ci accompagna con questo brano.

Allora, forse, non è tanto questione di chiedersi… quando avverrà questo… perché questo solo il Padre, nella sua pazienza e misericordia lo sa. È invece importante mantenere viva l’attesa, un’attesa non avvolta della paura di cosa avverrà, ma un’attesa carica della gioia e della speranza di quel ritorno che ci riporta fra le braccia del Padre, che non ci lascia soli che ci avvolge della sua misericordia.

Potremmo dire allora che non ci importa tanto comprendere quale sarà la fine della nostra vita, ma sperimentare e gustare qual è il fine della nostra esistenza e del mondo intero… e questo fine è proprio l’incontro con il Padre, l’abbandonarci fiduciosi nel suo amore.

Vi lascio un immagine che mi è venuta questa settimana e che ai ragazzi più grandi della catechesi ho consegnato nella preghiera di venerdì: è quella dell’arcobaleno.

L’arcobaleno, in sé, non ha una sua utilità, serve? Forse no, quanti nemmeno si accorgono della sua presenza. Ma di questo bel fenomeno che caratterizza il nostro cielo al termine di un temporale, qual è la cosa di cui facciamo tesoro: la fine o il fine? Se stiamo a cercarne la fine… non saremo mai soddisfatti perché la fine di un arcobaleno, in un certo senso non esiste, non si può delimitare… invece dell’arcobaleno ci si gusta il fine, la possibilità di contemplarlo, di godere di qualcosa di bello, affascinante, anche rassicurante del fatto che il temporale è passato… oggi noi magari questo non lo percepiamo più in maniera così forte ma nel passato il temporale era qualcosa di insidioso e l’arcobaleno donava la gioia che la calma era tornata, il ritorno del sole. Così sia la nostra esistenza, non una vita in cerca o in attesa della sua fine, ma una vita che riconosce in Dio, nel ritorno al Padre il suo fine, allora anche gli sconvolgimenti più crudi e atroci non ci faranno distogliere lo sguardo da Colui che mai cessa di amarci.

 

Di |2015-11-15T08:56:09+01:0015/11/2015|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale
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