Commento alla Parola domenicale
10 aprile
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Dopo la duplice manifestazione di Gesù che ci è stata raccontata settimana scorsa, i discepoli sembrano aver perso nuovamente la speranza, sembrano aver dimenticato già la resurrezione e i tre anni trascorsi in ascolto del Maestro, al punto da voler tornare alla loro vita precedente, un po’ un voltar pagina, quasi che quel periodo di tempo fosse stato una specie di intervallo tra due momenti della loro vita… certo un periodo suggestivo, emozionante… una voce che conquista, dei gesti che affascinano… ma ora che tutto è finito si torna a fare quanto si è lasciato sulla riva di quel lago… si torna a pescare, certo magari con un po’ di nostalgia ma comunque bisogna essere concreti e riconoscere che il maestro è morto, è stato fatto tacere, per di più che aiuto sono stati capaci di dargli quei suoi amici? Chi l’ha tradito (e ormai si è tolto la vita), chi l’ha rinnegato, chi è fuggito… probabilmente una buona dose di senso di colpa appesantisce l’animo di questi discepoli che tornano al loro vecchio impiego: la pesca.
Peccato che quella notte di fatica non porti proprio a nulla, il lago non restituisce nulla da mangiare, al punto da far fare loro quella figuraccia di fronte a quel viandante sulla riva: 7 pescatori, dopo una notte intera di lavoro… e neanche un pesce da poter mangiare? Ma che pescatori sono?
Sono certamente pescatori fiduciosi, che hanno imparato in quei tre anni a fidarsi della Parola che veniva loro rivolta e… all’invito a gettare ancora una volta la rete rispondono fiduciosi eseguendo la richiesta… e la rete questa volta si riempie al punto da non riuscire più a tirarla su.
E il discepolo amato riconosce che quel viandante sulla riva in realtà è nuovamente il Signore che si fa loro vicino lì dove sono. Chissà se quelle reti gettate in un certo senso sono il segno che il cuore arriva prima della testa: i discepoli non l’hanno riconosciuto ma hanno obbedito a quell’invito di un estraneo…
Ma Gesù ha già preparato da mangiare, sì lui viene a donarci il suo cibo, a nutrire la nostra vita, però in un certo senso non vuole fare tutto da solo, ha bisogno della nostra partecipazione, della nostra responsabilità e impegno, non possiamo sottrarci dal fare tutto quanto è nelle nostre possibilità aspettando che faccia lui al nostro posto, noi siamo chiamati a metterci tutto quanto possiamo, il nostro sforzo a buttare quelle reti, la nostra fiducia sulla parola, poi lui fa il resto dando un di più ai nostri sforzi.
Al termine della cena, poi fa – potremmo dire – l’ennesimo miracolo di guarigione… sì guarisce il cuore dei discepoli da quel senso di colpa e di frustrazione per essere stati lontani dal maestro nel momento della sofferenza. La triplice domanda a Pietro e la riconferma di quel “seguimi” pronunciato al momento della chiamata, sono il segno che la fiducia non si è spenta e che il cammino non è concluso ma ora si apre veramente, nel riconoscimento di quel di più che lui offre ai nostri sforzi.
Questa guarigione darà la forza ai discepoli di annunciare quanto abbiamo ascoltato nella prima lettura quando Pietro dice la necessità di obbedire a Dio invece che agli uomini… è la forza di questa guarigione a permettergli di parlare così riconoscendo che questa è pura grazia di Dio e non forza umana.
Il Signore ci aiuti a riconoscere nella nostra vita il di più che viene ad offrirci e risani i nostri cuori dai sensi di colpa o dai risentimenti che portiamo dentro, perché un cuore libero è un cuore capace di accogliere la forza stessa di Dio.