Archivio News

Home/Archivio News/

Commento alla Parola domenicale

10 aprile

Leggi le letture di questa domenica

Dopo la duplice manifestazione di Gesù che ci è stata raccontata settimana scorsa, i discepoli sembrano aver perso nuovamente la speranza, sembrano aver dimenticato già la resurrezione e i tre anni trascorsi in ascolto del Maestro, al punto da voler tornare alla loro vita precedente, un po’ un voltar pagina, quasi che quel periodo di tempo fosse stato una specie di intervallo tra due momenti della loro vita… certo un periodo suggestivo, emozionante… una voce che conquista, dei gesti che affascinano… ma ora che tutto è finito si torna a fare quanto si è lasciato sulla riva di quel lago… si torna a pescare, certo magari con un po’ di nostalgia ma comunque bisogna essere concreti e riconoscere che il maestro è morto, è stato fatto tacere, per di più che aiuto sono stati capaci di dargli quei suoi amici? Chi l’ha tradito (e ormai si è tolto la vita), chi l’ha rinnegato, chi è fuggito… probabilmente una buona dose di senso di colpa appesantisce l’animo di questi discepoli che tornano al loro vecchio impiego: la pesca.

Peccato che quella notte di fatica non porti proprio a nulla, il lago non restituisce nulla da mangiare, al punto da far fare loro quella figuraccia di fronte a quel viandante sulla riva: 7 pescatori, dopo una notte intera di lavoro… e neanche un pesce da poter mangiare? Ma che pescatori sono?

Sono certamente pescatori fiduciosi, che hanno imparato in quei tre anni a fidarsi della Parola che veniva loro rivolta e… all’invito a gettare ancora una volta la rete rispondono fiduciosi eseguendo la richiesta… e la rete questa volta si riempie al punto da non riuscire più a tirarla su.

E il discepolo amato riconosce che quel viandante sulla riva in realtà è nuovamente il Signore che si fa loro vicino lì dove sono. Chissà se quelle reti gettate in un certo senso sono il segno che il cuore arriva prima della testa: i discepoli non l’hanno riconosciuto ma hanno obbedito a quell’invito di un estraneo…

Ma Gesù ha già preparato da mangiare, sì lui viene a donarci il suo cibo, a nutrire la nostra vita, però in un certo senso non vuole fare tutto da solo, ha bisogno della nostra partecipazione, della nostra responsabilità e impegno, non possiamo sottrarci dal fare tutto quanto è nelle nostre possibilità aspettando che faccia lui al nostro posto, noi siamo chiamati a metterci tutto quanto possiamo, il nostro sforzo a buttare quelle reti, la nostra fiducia sulla parola, poi lui fa il resto dando un di più ai nostri sforzi.

Al termine della cena, poi fa – potremmo dire – l’ennesimo miracolo di guarigione… sì guarisce il cuore dei discepoli da quel senso di colpa e di frustrazione per essere stati lontani dal maestro nel momento della sofferenza. La triplice domanda a Pietro e la riconferma di quel “seguimi” pronunciato al momento della chiamata, sono il segno che la fiducia non si è spenta e che il cammino non è concluso ma ora si apre veramente, nel riconoscimento di quel di più che lui offre ai nostri sforzi.

Questa guarigione darà la forza ai discepoli di annunciare quanto abbiamo ascoltato nella prima lettura quando Pietro dice la necessità di obbedire a Dio invece che agli uomini… è la forza di questa guarigione a permettergli di parlare così riconoscendo che questa è pura grazia di Dio e non forza umana.

Il Signore ci aiuti a riconoscere nella nostra vita il di più che viene ad offrirci e risani i nostri cuori dai sensi di colpa o dai risentimenti che portiamo dentro, perché un cuore libero è un cuore capace di accogliere la forza stessa di Dio.

Di |2016-04-10T08:16:06+02:0010/04/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola domenicale

03 aprile

Leggi le letture di questa domenica

Sentiamoci anche noi, questa sera, come il gruppo dei discepoli. Sono passati 8 giorni dalla Pasqua e siamo qui riuniti, forse noi non siamo qui per timore di qualcuno… anzi magari al contrario qualcuno rischia di lasciarsi suggestionare dai fatti della cronaca e dal tam tam mediatico e si sente sorgere il timore e la paura non tanto di stare fuori, come per i discepoli, ma la paura di stare dentro queste mura…

Comunque siamo qui riuniti e Gesù anche questa sera torna, si presenta in mezzo a noi. Anche noi come i discepoli riceviamo il dono della pace, quella pace che scorre abbondante verso di noi, per risanarci dall’interno, per rappacificare anzitutto noi stessi, i nostri affetti, i nostri pensieri… un uomo o una donna in pace con sé stessi saranno più facilmente in pace anche con quanti hanno intorno, sono la base per costruire una pace più ad ampio raggio, una pace capace di raggiungere il mondo intero.

E dopo averci offerto la pace, Gesù si presenta a noi come è veramente e come siamo chiamati a riconoscerlo: il Crocifisso-Risorto. Quei segni che Tommaso chiede e che Gesù mostra in entrambe le apparizioni, sono proprio – in un certo senso – la nuova carta d’identità di Gesù. Non si può più guardare il maestro e non vedere in lui la passione, morte e risurrezione.

Con quel semplice gesto, Gesù ha affermato che la passione non è stata una semplice messa in scena, Gesù portando le piaghe nel suo corpo glorioso ci dimostra quanto è costato amarci fino alla fine, fino al dono della sua vita per noi. Non si può quindi guardare la risurrezione di Gesù scordandoci della sua passione e morte. Gesù è il Risorto anzitutto perché è il Crocifisso, perché non si è tirato indietro ma è rimasto fedele fino alla fine non scendendo da quella croce. Che cosa straordinaria. Dio si è lasciato segnare dalla storia dell’umanità. Dio non possiamo più sentirlo lontano dalla nostra storia dalla nostra esistenza, dalla nostra vita perché di quella storia ha impresso le piaghe nel suo corpo.

Chiediamo anche noi la grazia al Signore di riconoscerlo nel suo essersi offerto a noi fino in fondo e nel suo aver in questo modo sconfitto la morte e averci aperto le porte della vita eterna. Come Tommaso, anche noi pronunciamo quella bellissima professione di fede: “Mio Signore e mio Dio”. Magari mentalmente nel momento in cui alzerò il pane e il calice durante la consacrazione, lì avremo modo di riconoscere che il Signore Gesù si è offerto fino in fondo per noi e in questo modo ha sconfitto la morte e si dona a noi come l’autentico pane della vita, cibo del cammino.

Di |2016-04-04T15:30:47+02:0004/04/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola domenicale

27 marzo

S. Pasqua

Leggi le letture di questa domenica

Il Vangelo che abbiamo appena ascoltato ci mette di fronte ad un fatto inaudito, inatteso e insperato, qualcosa che fatica a farsi spazio nel cuore della povera Maddalena e pure degli stessi discepoli: la tomba è aperta e vuota.

La prima constatazione, molto razionale e ferma a quanto gli occhi possono vedere è il fatto proprio che quel corpo deposto esanime dalla croce nel tardo pomeriggio del venerdì e lì deposto con ogni cura, ora non c’è più. Il primo pensiero è quello che quella soluzione provvisoria a causa della festa imminente sia già stata risolta e che qualcuno abbia preso il corpo e l’abbia messo in un altro sepolcro.

E allora va, cerca i discepoli, si confida con loro, consegna loro questa triste constatazione, “non sappiamo dove l’hanno posto”, quel frammento di ricordi, di sentimenti, che rappresenta il corpo dell’amato maestro, non c’è, non si potrà andare a rendergli omaggio, tornare a quella tomba per sentirlo ancora un po’ vicino…

Sentita l’affermazione i due discepoli partono subito, corrono al giardino, al sepolcro per cercare di comprendere meglio il senso di quei vaneggiamenti della Maddalena… ma quella corsa non è tanto la corsa fisica di chi ha fretta perché bisogna fermare colui che ha trafugato il corpo, è la corsa della fede, non hanno ancora compreso la Scrittura, eppure – mi vien da dire – nel loro cuore c’è già il seme della Parola gettata da Gesù nei suoi 3 anni di predicazione, è la corsa della ricerca del cristiano, di quell’attesa, quell’anelito verso il Signore della nostra vita.

Che bello, quanta gioia, che meraviglia varcare la soglia di quel sepolcro e lasciare che quel vuoto, che quei teli e il sudario abbandonati nel luogo della morte, aprano il cuore alla grandezza della fede. Vide e credette. Vede una tomba vuota, vede un’assenza lì dove, invece, sarebbe stato lecito attendersi la presenza di un corpo senza vita.

Anche noi ci lasciamo toccare quest’oggi, primo giorno della settimana, che per noi cristiani prende senso proprio da questo grande evento della risurrezione. Lasciamo che quella tomba vuota tocchi il nostro cuore. Non ci viene raccontata nessuna apparizione, il Signore non c’è nel racconto appena ascoltato, eppure la sua Parola e la Scrittura illuminano questo evento, e allora ciò che è inaudito, inatteso e insperato – per riprendere i termini citati all’inizio – ecco che diviene quel grande annuncio che da 2000 anni noi cristiani stiamo gridando al mondo intero che il Signore della vita era morto; ma ora, vivo, trionfa. Sì, ne siamo certi: Cristo è davvero risorto. Chiediamo al Signore che riscaldi il nostro cuore, e ci faccia entrare con tutto noi stessi in questo grande mistero nel quale crediamo.

Buona Pasqua nel Signore a tutti

Di |2016-03-27T08:13:40+02:0027/03/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola domenicale

13 marzo

Leggi le letture di questa domenica

Con il brano di Vangelo appena ascoltato ci troviamo nuovamente di fronte ad un tentativo da parte degli scribi e dei farisei di tendere una trappola, un tranello a Gesù, lo afferma l’evangelista stesso, quando subito dopo la loro enunciazione dell’accusa scrive: Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. La povera donna è stata resa oggetto di disputa, potremmo dire che in fin dei conti, agli accusatori non importava così tanto ciò che la donna aveva commesso, tanto meno verificarne la veridicità. A loro fa comodo la scusa per incastrare il Maestro.

Gesù però non è sprovveduto e subito riconosce che la questione è tutta una scusa per accusare lui e non lei, che rimane una vittima delle brame di quegli uomini.

Sembra in questo riecheggiare un altro fatto simile nella bibbia, la storia di Susanna, accusata ingiustamente da due anziani dello stesso peccato, per la loro bramosia e salvata dal giovane Daniele che non crede alla testimonianza dei due anziani.

Nel caso evangelico le brame degli accusatori non sono nei confronti della donna, ma potremmo dire che si rivolgono verso Gesù. Il Maestro si china per terra e si mette a scrivere, lo farà per ben due volte, il dito di Dio scrive ancora, come scrisse nell’A.T. le tavole della Legge, ora scrive per la salvezza di quella donna.

Gesù non esprime nessun giudizio nei confronti della donna, rivolge invece il suo sguardo e la sua parola anzitutto verso gli accusatori e li invita a smettere di puntare il dito, la pietra, verso il loro prossimo, ma a guardarsi un po’ dentro riconoscendo la necessità per ciascuno di incontrare la misericordia del Padre.

Ed è bello il fatto che si china una seconda volta, dopo questa provocazione: a Gesù non interessa accusare, nemmeno stare a guardare la faccia sconfitta dei suoi avversari o il loro andarsene con la coda fra le gambe… guardarli ulteriormente avrebbe significato accusarli apertamente, invece Gesù vuole liberare, non accusare o opprimere con il peso del peccato gli uomini. Credo che sia bello, che come settimana scorsa il Padre è uscito due volte dalla casa andando incontro ad entrambi i figli, così oggi Gesù offre la libertà a tutti: alla donna, che viene liberata dal giudizio altrui e dal suo peccato perché nemmeno Gesù la condanna, pur dicendole di non peccare più; allo stesso tempo libera anche quegli uomini dal loro farsi giudici del prossimo, dal sentirsi a posto. Il Signore ci faccia percepire il gusto della libertà, che non è fare ciò che voglio come abbiamo colto settimana scorsa dal figlio che se n’è andato di casa, ma è accogliere sulla nostra vita quella parola di Gesù che ci invita alla conversione, a non peccare più, non lasciandoci schiacciare dall’oppressione delle nostre colpe ma riconoscendo che lui ci dona la forza di rialzarci e ci invita a non peccare più, a non ricadere sotto la schiavitù del peccato.

Di |2016-03-14T14:38:13+01:0014/03/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola domenicale

06 marzo

Leggi le letture di questa domenica

Siamo di fronte ad una delle parabole più conosciute del Vangelo, il Padre Misericordioso, o il Figliol prodigo, a seconda di quale dei personaggi si vuole considerare…

Stupisce sempre il comportamento del Padre, un amore grandissimo per suo figlio, un amore che accoglie anche il lasciarlo partire per un paese lontano… chissà quanta sofferenza ha provato quel papà… al punto da essere lì ad aspettarlo… ce lo immaginiamo alla finestra a scrutare l’orizzonte, a guardare infondo alla strada, con la speranza che prima o poi possa fare capolino il figlio. Un amore così grande da essere disposto a soffrire per il distacco, eppure un amore così grande proprio perché è un amore che lascia liberi…

Nessuno però dei due figli aveva scoperto e percepito su di sé il sapore di quella libertà… il più piccolo, quello che se ne va di casa, ha percepito la libertà come l’andarsene di casa, lo sbattere quasi la porta, il fare “quello che c’ho voglia” che chissà quante volte abbiamo sentito o magari abbiamo pronunciato noi stessi… il secondo si sentiva al pari di uno dei servi di quella casa, non un figlio libero, solo che non aveva mai avuto il coraggio di chiedersi cosa fosse la libertà, in che modo l’abitare quella casa poteva voler dire farlo da vero figlio, libero, libero di amare il Padre e di lasciarsi amare dal Padre.

Ecco che l’amore apre alla libertà. Il figlio che ritorna scopre cosa sia veramente e fino in fondo la libertà… non di certo quella che aveva cercato lontano sperperando tutto il denaro che il padre gli aveva consegnato… la libertà di essere nuovamente accolto in quella casa, pienamente reintegrato da vero figlio, a tutti gli effetti (anello al dito, vestito bello, festa per il ritorno…).

L’altro fratello non capisce, si lascia prendere dalla rabbia o magari un po’ anche dall’invidia per quel figlio che è tornato e viene accolto con una grande festa che non era mai stata fatta per lui…

Quante volte anche noi ci illudiamo che la nostra libertà risieda nel fare quello che vogliamo, invece Gesù ci insegna che la libertà più grande l’abbiamo dall’amare, che è proprio la parola che guida questa settimana. AMARE vuol dire essere persone autentiche, libere, capaci di accogliere gli altri così come sono, accogliere che l’altro abbia anche strade diverse, accogliere se ritorna. Amare non vuol dire mettere un guinzaglio, legare a sé soffocando l’altro, amare è fare posto all’altro nella nostra vita, un posto che lo fa sentire a casa, amato, riconosciuto per quello che è veramente. Gesù e il Padre fanno questo per noi, attendono che noi torniamo per accoglierci nel loro abbraccio, per farci sentire veramente a casa con loro.

Chiediamo al Signore in questa settimana di saper accogliere il suo invito ad amare, non perché siamo particolarmente bravi, ma perché sentendoci amati noi per primi sentiamo il bisogno di restituire questo amore a quanti abbiamo accanto.

Di |2016-03-06T15:12:12+01:0006/03/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola domenicale

28 febbraio

Leggi le letture di questa domenica

Quante volte capita anche a noi, magari, di fare un po’ lo stesso ragionamento di quei farisei che si presentano a Gesù chiedendo in un certo senso che male possono aver fatto di particolare quelle persone colpite in maniera così forte da eventi tragici o inspiegabili…

Ci spiazza sempre la risposta che Gesù offre: “credete che fossero più peccatori o più colpevoli”… il nostro modo di ragionare ci pone sempre in una dinamica di causa-effetto, di ricerca di qualche motivazione che giustifichi un avvenimento di tale portata. Gesù afferma che quanto è successo non è da interpretare né come castigo, né come conseguenza meritata di qualcosa che quelle persone possono aver fatto.

È un po’ come quando ci capita di sentire o, magari, di dire noi stessi: “che male ho fatto perché mi capiti questo…” la direzione del pensiero è la stessa: il Signore mi sta castigando per qualcosa che posso aver fatto, per un peccato, una cattiva azione…?

Gesù ci ammonisce e ci invita invece a considerare la necessità della conversione per realizzare una vita capace veramente di portare frutti e frutti buoni.

Non come quel fico che sfrutta il terreno ma è incapace di dare frutto. Quante volte la nostra vita spirituale è un po’ come quel fico: incapace di dare frutto, sterile o meglio… egoista, una vita che cerca di trattenere tutto per sé, senza aprirsi a generare nulla, incapace di donarsi… sì perché, in fondo, il frutto per una pianta ha queste due caratteristiche: quello di essere qualcosa di generato e capace a sua volta di generare una nuova pianta e il fatto di essere fondamentalmente un dono in quanto viene consumato da quanti lo gustano. Una pianta non trattiene i suoi frutti, altrimenti marciscono e diventano inutili.

Peccato che il fico della parabola di frutti non ne produce proprio. Ma il contadino non si arrende e propone al padrone del terreno di attendere ancora un anno affinché possa prendersene cura in maniera particolare. COLTIVARE è, allora, il verbo che caratterizza il tema di questa settimana. Sì perché in fin dei conti la nostra anima, il nostro spirito, la nostra vita spirituale ha bisogno di essere coltivata, non può essere lasciata allo stato “selvatico”, come un albero non curato, ha bisogno che le zappiamo intorno, che le diamo del concime, insomma che ci prendiamo cura anche di questo aspetto della nostra esistenza.

E il prenderci cura non è per paura di quelle conseguenze di cui accennavo all’inizio, ma un prendersi cura perché se non si producono frutti si diventa una pianta sterile, incapace di donarsi agli altri. Il tempo, l’occasione ci viene offerta, la possibilità per quel fico è prorogata per un anno, il Signore si aspetta frutti veri di conversione, di vicinanza a lui, si aspetta che ci prendiamo cura della nostra anima, della relazione tra di noi e con lui. Giocare con lui confidando che tanto quella pianta non verrà tagliata ma c’è sempre tempo potrebbe essere molto pericoloso. Ce lo dice anche la lettera ai Galati: “Non ci si può prendere gioco di Dio. Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato”. Prendiamo sul serio questo tempo che abbiamo ancora davanti a noi e viviamolo con spirito di autentica donazione agli altri e al Signore, allora i frutti ci saranno e, col Suo aiuto, saranno davvero frutti buoni e succosi.

Di |2016-02-28T13:55:42+01:0028/02/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola domenicale

21 febbraio

Leggi le letture di questa domenica

Saliamo anche noi sul monte con Gesù, quanta emozione avranno provato quei tre discepoli ad essere stati scelti dal Maestro per trascorrere una giornata di preghiera con lui. Si sono incamminati, hanno salito le pendici del monte Tabor, giunti in cima ecco che Gesù si pone in preghiera, mentre i suoi tre compagni di viaggio si addormentano.

Questa situazione di sonno, di oppressione, se ad un primo momento ci scandalizza perché ci fa dire: ma come fai a dormire di fronte ad un avvenimento tanto bello, di fronte al manifestarsi della gloria del Cristo! Gesù ti sceglie per stare con Lui, per condividere con Lui quel momento di paradiso qui sulla terra, ti mostra che al di là della sua passione e morte, lo attende la gloria… e tu ti addormenti.

Stiamo attenti però a non cadere in facili scandali, stiamo attenti a non puntare il dito, quante volte potremmo dire che anche il nostro spirito, il nostro cuore è addormentato di fronte al Signore, quante volte Dio manifesta cose meravigliose nella nostra vita e noi languiamo in un sonno profondo senza che queste cose minimamente ci sfiorino…

Quanta fatica facciamo, spesso, a cogliere la presenza attiva di Dio nelle nostre giornate, a riconoscere la grandezza del dono dell’Eucaristia, di quel nutrimento che è il suo Corpo e il suo Sangue, la sua Parola che si spezza per noi e ancora dopo 2000 anni ha qualcosa da dire anche a noi, alla nostra vita…

Allora forse è proprio giusto il verbo che il nostro cammino di quaresima ci indica per questa settimana: RISVEGLIARE.

Sì, anche noi come i tre discepoli abbiamo bisogno di risvegliarci, riprenderci da quel torpore nel quale la nostra vita, la nostra routine ci ha fatti cadere ed aprire gli occhi davanti alle meraviglie operate da Dio nella nostra storia… non parlo della storia dell’umanità, ma di quella più vicina, nella mia storia, nella tua storia… se apriamo bene gli occhi del cuore, infatti, possiamo vedere e riconoscere che Dio non è rimasto con le mani in mano, ma ci ha manifestato concretamente il suo amore e la sua vicinanza.

Non corriamo anche noi però il rischio di fare come Pietro, di dire cose senza sapere ciò che diciamo, fermiamoci a contemplare l’azione di Dio tenendo sempre le orecchie aperte, pronte ad accogliere la sua parola. È bellissimo infatti l’annuncio che il Padre fa udire dai cieli: “Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!”. Sì Gesù va ascoltato proprio perché è la Parola eterna e vera del Padre stesso, è il Verbo (come l’evangelista Giovanni ci ha sottolineato la mattina di Natale) e come ogni verbo, ogni parola è pronunciata perché sia ascoltata, accolta, interiorizzata e fatta propria nella vita. Chiediamo al Signore la grazia in questa settimana e nel proseguimento del nostro cammino verso la Pasqua, di fare spazio nella nostra vita all’ascolto della sua Parola e risvegli il nostro cuore a riconoscere la sua azione nella nostra storia.

Di |2016-02-21T10:13:45+01:0021/02/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola domenicale

14 febbraio

Leggi le letture di questa domenica

Come ogni anno, in questa prima domenica di quaresima ci viene presentato Gesù che, nel deserto viene tentato da Satana. Quei quaranta giorni ci ricordano molto da vicino i 40 anni del popolo di Israele trascorsi nel deserto per passare dall’Egitto alla Terra Promessa. Anni di tentazioni, anni di purificazione per raggiungere un’autentica libertà dell’anima, la libertà dall’Egitto che andava al di là della pura libertà fisica di non essere più tenuti schiavi da parte del Faraone, ma una libertà ben più profonda, quella di chi riconosce la propria dignità e l’amore che Dio ha per ogni uomo.

Gesù nel deserto ci ricorda questo: quanto è grande la dignità di noi uomini… al punto da poter andare al di là delle cose, di quei beni senza i quali ci sembra a volte mancarci la terra sotto i piedi, quelle cose che a volte identifichiamo con la nostra stessa vita, con la nostra esistenza…

Gesù va nel deserto, il luogo dove si sperimenta l’assenza, la precarietà, la sobrietà… è lì che scopri la grandezza del tuo essere uomo e donna, nel venir meno di tutte le illusioni materiali che, quasi come dei miraggi, ti tengono ancorato al loro possesso… potremmo dire quasi schiavizzandoti perché ti stringono in una morsa spietata, nella quale si invertono i ruoli: mentre tu credi di possedere le cose, in realtà sono loro a possedere te perché non riesci più nemmeno ad immaginare e ipotizzare la tua vita senza certe cose, certi beni divenuti ormai di prima necessità…

Proprio davanti a questa Parola di Dio, il nostro cammino diocesano di quaresima ci propone un verbo che immediatamente siamo soliti collegare al cibo, ma forse non è il caso di dargli questa esclusiva: DIGIUNARE.

In senso stretto, appunto, digiunare vuol dire non mangiare, è ciò che Gesù a fatto nel deserto per quei 40 giorni. Ma digiunare è quanto siamo chiamati a fare anche noi, non evitando di mangiare per tutta la quaresima, ma ponendo qualche gesto significativo che ci faccia riconoscere nuovamente la nostra dignità di uomini e donne capaci di essere superiori alle cose che abbiamo.

Inoltre questo verbo è connesso alle due opere di misericordia corporale dare da mangiare agli affamati e da bere agli assetati. Il nostro digiuno non sia fine a sé stesso, ma questo digiuno ci apra gli occhi nei confronti di quanti sono in situazioni di disagio o di bisogno, ci permetta di incontrare il loro sguardo, di comprendere un po’ più da vicino la loro situazione, di sentirli un po’ più fratelli. Questo cammino di quaresima ci aiuti ad avvicinarci a noi stessi, ricavandoci dei tempi per coltivare la nostra interiorità, ci avvicini al Signore riconoscendolo come colui che ha vinto le tentazioni e ci aiuta nel nostro cammino quotidiano… e ci avvicini a quanti incrociamo nella nostra vita riconoscendoli sempre più come nostri fratelli.

Di |2016-02-14T08:25:45+01:0014/02/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola domenicale

31 gennaio

Leggi le letture di questa domenica

Prosegue quest’oggi il brano di vangelo di domenica scorsa, Gesù è ancora lì, nella sinagoga di Nazareth, tutta la gente, i suoi compaesani, sono lì intorno a lui che lo ascoltano, hanno certamente della curiosità nei suoi confronti… eppure quando Gesù dice di essere il compimento della profezia di Isaia che abbiamo ascoltato domenica scorsa, le cose sembrano non funzionare più così bene, sembra incepparsi la relazione, la disponibilità all’ascolto…

Possiamo quasi percepirlo quel brusio… il classico chiacchiericcio quando uno la spara un po’ troppo grossa, quando uno sta esagerando… e i suoi compaesani fanno proprio questo… iniziano a dire in un certo senso: ma chi si crede di essere questo qui, come si permette di ritenersi lui il messia… lo conosciamo bene… è il figlio di Giuseppe, sembra un po’ quello che succedeva anche nei nostri paesi e forse anche qui nel nostro quartiere nel cuore della città, quando ancora ci si conosceva tutti… sì è quella persona, ti ricordi quello che ha fatto, e suo padre è quello che faceva il tal lavoro…

Fatto sta che questo brusio, facendo aprire le bocche provoca anche la chiusura delle orecchie e del cuore. Il brusio, la chiacchiera per utilizzare un termine caro a papa Francesco per indicare un male diffuso nelle comunità, non permette di accogliere agli abitanti di Nazareth l’annuncio che Gesù sta facendo loro di un qualcosa di straordinario come il concretizzarsi di quella profezia, allo stesso modo, il nostro brusio interiore non ci permette di accogliere e fare spazio a quanto la Parola di Dio quest’oggi ci vuole dire. Solo nel silenzio del cuore la parola di Dio può manifestarsi e mostrarci la meravigliosa grandezza dell’annuncio che porta con sé.

Ma Gesù non sembra assecondare i suoi compaesani, anzi al contrario sembra quasi volerli provocare, calca la mano dicendosi un profeta e non uno qualunque ma uno al pari di Elia e Eliseo. Un profeta chiamato a guardare non solo al popolo di Israele ma ad avere uno sguardo capace di andare più in là per accogliere anche altri che del popolo non fanno parte perché nessun profeta è ben accetto in patria, ma il profeta porterà il suo annuncio là dove ci saranno cuori aperti e disponibili ad ascoltare la sua parola, il suo invito.

Quanto siamo imprevedibili noi esseri umani, di fronte ad una parola tanto bella e carica di speranza la risposta quale è stata? Lo sdegno da parte di tutti e il cercare di eliminare Gesù, invece di accogliere l’annuncio nuovo che li stava raggiungendo come una grazia inattesa, si chiudono e preferiscono restare al sicuro nelle loro certezze terra terra. Non scandalizziamoci e non sdegniamoci, ma quante volte anche noi siamo lontani dal lasciarci orientare dal Signore alla speranza, al riconoscere quell’anno di grazia di cui abbiamo udito settimana scorsa l’annuncio, a riconoscere in Gesù il segno dell’amore del Padre.

Gesù si pone in cammino, la sua missione è di portare a tutti quell’annuncio, andiamo dietro a lui, fidiamoci di lui, ascoltiamo la buona novella che rivolge alla nostra vita qui ed oggi… scopriremo che le nostre giornate acquisteranno veramente sapore, quello vero, quello che solo lui ci può dare.

Di |2016-01-30T20:43:56+01:0031/01/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola domenicale

24 gennaio

Leggi le letture di questa domenica

Inizia con questa domenica del tempo ordinario la lettura continuata del vangelo di Luca che caratterizzerà questo anno e la liturgia, come a volerci far entrare subito nelle intenzioni dell’evangelista ci propone il prologo del suo vangelo, nel quale ci viene confermato che quanto ascoltiamo, che gli insegnamenti sui quali basiamo la nostra fede, non sono delle storielle campate per aria, non sono le favolette per i bambini, le storie della buona notte, si tratta invece di un resoconto ordinato di quanto i testimoni oculari del cammino del Signore Gesù hanno trasmesso in prima persona. Luca parte da lì, da quei racconti certi, dalla testimonianza diretta di coloro che hanno seguito Gesù, che da lui si sono lasciati affascinare e trasformare la vita, l’esistenza e a sua volta propone a noi questa testimonianza perché anche noi possiamo lasciarci conquistare dal Signore Gesù e abbandonarci in lui, lasciare che sia lui a orientare la nostra esistenza verso il Padre.

Se questo, allora, possiamo dire che è l’intento di Luca, ecco che trova subito concretezza nel proseguimento del brano. Certo nel Vangelo abbiamo operato un salto tra la prima e la seconda parte in quanto dai primi versetti del primo capitolo siamo subito passati con il racconto nella sinagoga al capitolo 4°. In mezzo c’è tutta l’infanzia di Gesù, la predicazione del Battista e le tentazioni nel deserto.

Gesù nella sinagoga, ci esplicita a  sua volta il senso della sua incarnazione, della sua presenza lì, in mezzo al popolo di Israele, e lo fa prendendo a prestito le parole del profeta Isaia, con quel grandioso annuncio di un anno di grazia del Signore. L’annuncio della presenza nel mondo dell’inviato di Dio, del suo unto, del Messia che porta questo lieto messaggio. Un messaggio di liberazione, di guarigione, di restituzione della dignità.

È il brano dell’attesa messianica, uno dei brani che dicevano la speranza del popolo di Israele di vedersi nuovamente libero da tutte le forme di schiavitù. Gesù, dopo aver letto il brano, siede. Assume l’atteggiamento dei maestri, si siede e la gente attende una sua parola, un suo commento. La curiosità, la voglia di comprendere cosa quel loro compaesano legge tra le righe di quell’antica profezia, e… sbalorditivo, Gesù afferma che oggi questa Scrittura si è compiuta. Oggi si sta manifestando la presenza di questo unto del Signore che porterà la libertà al popolo.

Riconosciamo in Gesù colui che viene a liberare ciascuno di noi, fidiamoci della sua parola, una parola capace di liberarci dalle catene del male e dell’egoismo nelle quali ognuno di noi, tanto o poco è avvinghiato. Riconosciamo in Gesù, l’inviato del Padre per mostrarci e dimostrarci quanto questo Signore ama l’umanità, a che punto è disposto ad arrivare a nostro favore. Mettiamoci anche noi in ascolto della sua parola, riconosciamola come una parola vera e forte, che di generazione in generazione si mantiene solida perché non è un annuncio di uomini ma ha dentro di sé la forza e la solidità stessa di Dio.

Di |2016-01-30T20:44:12+01:0024/01/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale
Torna in cima