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Commento alla Parola domenicale

26 giugno

XIII domenica del Tempo Ordinario

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Il brano di Vangelo che la liturgia ci ha proposto quest’oggi ci pone dietro a Gesù che si sta mettendo in cammino verso Gerusalemme, verso il dono totale della sua vita per noi. Proprio in questo contesto ci vengono delineate alcune caratteristiche proprie del discepolo, del cristiano, di chi vuole seguire il Maestro.

Anzitutto Gesù non prende per il collo nessuno. Gesù non obbliga a seguirlo, ad accoglierlo, a riconoscerlo come il Figlio di Dio. I due discepoli Giacomo e Giovanni, in questo, molto zelanti, avevano frainteso il loro incarico di messaggeri, al punto di prospettare la distruzione di quel villaggio che rifiutava l’incontro col Maestro. Ma Gesù accoglie il rifiuto, così come accoglierà quello ben più grave e risolutivo che lo attende a Gerusalemme. Gesù, quindi, anzitutto non obbliga ma invita lasciandoci liberi.

Inoltre il discepolo che riconosce la possibilità di mettersi alla sequela di Gesù è chiamato a lasciare e qui Gesù ci pone di fronte ad un’escalation… lasciare il nido… non tanto o non solo la casa, il luogo dove poggi il capo la sera per riposare… ma sono le sicurezze sulle quali fondiamo la nostra esistenza, tutte quelle certezze, tutte quelle cose che ci rassicurano che ci fanno stare tranquilli, che in un certo senso sono proprio come un nido o una tana per gli animali: il rifugio protetto e rassicurante… in quante cose cerchiamo rifugio ogni giorno… Gesù invece ci dice che il vero rifugio è lui, che dobbiamo abbandonarci con fiducia perché lui sarà il riparo sicuro…

Non solo, Gesù calca la mano, quando sembra impedire il funerale del padre a quello che ha chiamato a seguirlo. Gesù non è un cinico insensibile che non permette di vivere il dolore del lutto, tutt’altro, questo invito è il segno che vivere la gioia dell’annuncio della scoperta del regno di Dio viene prima di ogni altra cosa… va’ e annuncia…

Allo stesso modo il congedarsi, il salutare quelli di casa… non è la sfacciataggine di fuggire di casa senza salutare, la maleducazione… ma ancora è il segno della necessità di tradurre nella vita l’esperienza di grazia che si sta vivendo, allora non guardarti indietro, guarda avanti nella tua vita, se ti guardi indietro rischi la nostalgia, rischi di vivere in un passato che non ritorna… tieni con te il passato, con riconoscenza per quanto ti ha insegnato, per quanto hai vissuto, ma non puoi rimanere voltato indietro altrimenti perderai la direzione di quell’aratro, nella nostra vita quanto è importante imparare sì da ciò che abbiamo fatto e vissuto ma anche sapercene distaccare con molta libertà, senza gli illusori sospiri di quanto erano belli i tempi passati…

Il Signore ci offre la libertà, libertà da noi stessi, dal riconoscimento degli altri, libertà dalle illusioni del passato… chiediamogli di saper accogliere questo invito per liberarci dalle catene che spesso ci bloccano e non ci permettono di seguirlo con gioia e fiducia.

Di |2016-06-25T15:43:56+02:0026/06/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola domenicale

19 giugno

XII domenica del Tempo Ordinario

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Siamo all’inizio dell’estate ed eccoci davanti a Gesù che si trova in un luogo solitario a pregare. È un’immagine molto bella e significativa: lui, il Figlio di Dio, sente il bisogno di fermarsi, di uscire dal frastuono della vita di ogni giorno, perfino di smettere di predicare, annunciare, fare miracoli per un po’… per mettersi in sintonia con il Padre. Un tempo e un luogo indefiniti per sottolineare che ogni momento e ogni luogo possono aiutarci a tornare al Padre, a volgere ancora verso di lui la nostra preghiera. Rallentiamo pure tutte le nostre attività che ci soffocano, ci riempiono la giornata e proviamo a consegnarci a Lui nella preghiera, porre nelle sue mani, con fiducia quanto stiamo facendo, ci accorgeremo che la nostra vita assume un sapore diverso e gli impegni saranno meno schiaccianti.

Ma dopo la preghiera Gesù pone quella doppia domanda ai suoi discepoli: le folle… ma voi… chi dite che io sia? Non è il sondaggio di opinione, ma Gesù vuole portare i suoi discepoli a comprendere meglio ciò che sta facendo, li vuole aiutare a riconoscerlo sì come il Cristo, ma non un cristo condottiero, liberatore dall’oppressione politica dell’impero romano, un cristo, un messia che non è aggrappato alla propria vita ed esistenza, ma che, al contrario, potremmo dire è aggrappato alla croce. Il Figlio di Dio non lo puoi comprendere né riconoscere se non a partire da quella croce che gli verrà posta sulle spalle ma che non vuole portare da solo, ma al contrario chiede ad ogni discepolo e, quindi anche a ciascuno di noi di prendere ogni giorno per andare dietro a lui.

Il nostro cammino da discepoli del Signore, non avviene se non portando la croce ogni giorno. Il che non vuol dire che Gesù ha il gusto per la sofferenza, non è un masochista che si diverte a soffrire e a far soffrire; la croce fa parte della nostra vita, così come ha segnato la vita di Gesù. Si può accogliere o subire, si può accettare o cercare di scappare di far finta di non vedere o sentire… ma questo non è essere discepoli. Perché il discepolo è chi ha imparato dal Maestro a donare la propria vita per gli altri, proprio come Gesù ha fatto dall’alto della croce.

Donare sé stessi non vuol dire solo arrivare ai grandi gesti di martirio per la fede o per salvare altri, sono anche quelle piccole opere di attenzione agli altri, di servizio gratuito verso la propria famiglia o la comunità… tutte le volte nelle quali metto a disposizione la mia vita, con tutti i pregi, i doni e i difetti che porto con me, in quel momento sto perdendo la mia vita perché non la trattengo come qualcosa di mio ma la metto a disposizione degli altri.

Il Signore ci aiuti a consegnare la nostra vita a lui nella preghiera e ai nostri fratelli nel servizio.

Di |2016-06-19T09:05:23+02:0019/06/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola domenicale

12 giugno

XI domenica del Tempo Ordinario

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Che strano invito a tavola, quello che ha ricevuto Gesù… Simone, un fariseo lo accoglie in casa. Diversi aspetti possono sembrarci strani: anzitutto un fariseo che invita quel maestro tanto discusso… cosa avrà cercato in Gesù… inoltre l’invito sì c’è stato ed è stato accolto, ma dal racconto che fa Gesù stesso Simone non è stato troppo ospitale, anzi, si può dire che è stato piuttosto freddo nel ricevere in casa il Maestro di Nazareth, infatti non ha fatto nessuno dei gesti di ospitalità previsti dalla cultura e tradizione degli ebrei. Chissà, magari Simone non si aspettava una risposta positiva al suo invito a tavola, sapendo che Gesù normalmente sta con i peccatori.

Ma Gesù dà una possibilità a tutti, la sua opera di salvezza è per ogni uomo che gli apre la porta (secondo l’immagine dell’apocalisse: “Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me.”). Gesù non è uno che chiude, ma uno che apre nuove possibilità, il Signore dona a tutti la possibilità di stare con Lui, di amarlo, di convertirsi di tutto cuore per entrare in relazione con Lui.

Non dobbiamo lasciarci sfuggire l’occasione.

E di certo quella donna peccatrice non se l’è lasciata sfuggire. Si è intrufolata a quel banchetto e ha fatto quanto Simone aveva tralasciato, ma non come un rito puramente esteriore di accoglienza, di rispetto e di buoni costumi, bensì con una dose di umiltà e di amore enormi.

Una donna che ha nel cuore la voglia di amare ma non aveva trovato la via giusta, trova il quel gesto il modo di far traboccare dal suo cuore tutto l’amore che rimaneva represso, schiacciato dentro il suo cuore.

Ed ecco che Gesù, nuovamente, non chiude ma apre, sì apre a quella donna la porta del perdono e della misericordia. Quella porta che Simone si è visto aprire ma ha deciso di non varcare. Quanto amore traspare nel brano odierno. Dobbiamo stare attenti però a non cercare – da bravi uomini di scienza quali siamo noi moderni – un rapporto di causa effetto: domande del tipo è stato l’amore della donna a causare il perdono o il perdono a riabilitare l’amore…

L’Amore con la A maiuscola di Dio si è incontrato con l’amore ferito e schiacciato di quella donna e ne è sgorgato il perdono. La donna si è vista accolta, ha colto che la porta dell’incontro col Maestro era aperta e ha fatto il passo di entrare. Ne è nata una vita nuova, un cuore capace di amare veramente, di offrirsi non come oggetto ma come dono.

Simone è rimasto sulla soglia a guardare, ritenendo di non aver bisogno di quell’incontro di salvezza, di bastare a se stesso con le sue pratiche con i suoi crediti da vantare verso Dio stesso. Ma come abbiamo ascoltato da S. Paolo non sono le opere che facciamo a salvarci ma il nostro abbandonarci nelle braccia di Dio affidandoci alla sua misericordia che ci ha salvati attraverso la croce di Cristo.

Il Signore liberi il nostro cuore dall’ansia di prestazioni “religiose” per aprirci ad un incontro autentico con la sua grazia, la quale ci aprirà la via per una vita di autentica donazione.

Di |2016-06-12T09:36:58+02:0012/06/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

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05 giugno

X domenica del Tempo Ordinario

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All’ingresso della città di Nain possiamo assistere a questo doppio corteo di folla: il primo quello di coloro che seguono Gesù, il Maestro e poi l’altro, quello funebre di tutti coloro che si stringevano attorno al dolore di quella madre, vedova, che si è vista strappare l’unico figlio dalla morte.

Quanto sono diversi questi due bagni di folla. Uno entra in città, l’altro esce verso il luogo della sepoltura. Uno fa festa, l’altro è pieno di mestizia e dolore per quel ragazzo morto troppo presto. Uno il corteo dell’autore della vita, l’altro il corteo della morte.

Luca sembra proprio volercele evidenziare queste due folle che si incontrano, si trovano faccia a faccia. E in questo incontro ecco emergere il cuore, l’affetto e la compassione di Gesù. Abbiamo appena celebrato l’altro ieri la solennità del Sacro cuore di Gesù, forse è passata un po’ in sordina non essendo giornata di festa civile e, quindi, di feria dal lavoro… e oggi eccoci di fronte a questo cuore traboccante di compassione per quella madre rimasta sola. È davvero bello scorgere che anche Gesù è carico di sentimenti e di sentimenti buoni per l’umanità, per ciascuno di noi. Quante volte diciamo Dio ci vuole bene, Gesù ci ha amati fino a morire per noi… ma riusciamo a soffermarci a dire Gesù, Dio mi vuole bene, il Signore mi ama, il Signore si prende cura di me, vedendo come nella mia storia la sua è una presenza di amore, di cura e di compassione?

Quanta tenerezza in questo avvicinarsi del Signore, anzitutto parla a quella madre: non piangere, si accosta a lei, al suo dolore, vi entra proprio dentro in quel dolore, non ci passa sopra ma lo fa suo, lo prende con sé, infatti poi si dirige verso il ragazzo, tocca la bara e parla a quel corpo esanime. La vita vince sulla morte, il signore della vita riporta all’esistenza quel ragazzo e lo restituisce alla madre.

Il Signore con la sua parola ci raggiunge ovunque siamo, anche quando ci sembra di essere talmente lontani da lui da essere come morti, lui c’è si fa accanto al nostro dolore, alle nostre fatiche, al nostro peccato e ci fa risollevare, ci ridona una possibilità.

E i due cortei possiamo dire che diventano uno solo perché la morte è stata vinta. Ora tutti glorificano Dio. Ecco la forza della fede: Dio ha visitato il suo popolo… è la forza della parola profetica, non un guaritore che richiama verso di sé i plausi per il bene, per il prodigio fatto, ma il segno stesso della vicinanza di Dio.

Il Signore ci aiuti a riconoscere nella nostra vita i segni della sua presenza di amore e di cura, rafforzi la nostra fede per avvertire che ancora oggi Dio visita il suo popolo che siamo noi.

Di |2016-06-05T19:43:14+02:0005/06/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

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29 maggio

Solennità del Corpo e Sangue di Gesù

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Quest’oggi ci poniamo anche noi in mezzo a quella folla che segue il Maestro dove la conduce, lo ascoltiamo, siamo venuti qui per stare con lui.

Colpisce molto cogliere quella folla che non sembra sentire il tempo che passa, non sembra rendersi conto che si sta facendo tardi, ormai la giornata è passata. Gli unici ad essersene accorti sembrano essere i dodici che invitano Gesù a “chiudere il discorso”, a salutare la folla e lasciarla andare a cercare cibo e alloggio per la notte. Forse dicendo questo, stanno anche cercando di far sì che anche per loro e non solo per la folla ci possa essere un momento di ristoro, di tranquillità insieme con il Maestro.

Gesù però non ci sta, non accoglie questa richiesta molto umana, invece rilancia ai Dodici la necessità di stare accanto fino in fondo a quella folla così bisognosa di cura (non solo fisica, ma soprattutto spirituale: della sua Parola) e chiede che si mettano in campo offrendo quanto hanno a disposizione. La richiesta sembra assurda e come tale, probabilmente, l’avremmo presa anche noi se fossimo stati al posto dei Dodici: com’è possibile sfamare 5000 persone con il poco cibo rimasto che, forse, non sarebbe bastato nemmeno a loro…

Ma Gesù fa bastare quel cibo, a lui basta che noi ci apriamo con disponibilità alla condivisione, non ci chiede di avere tutto ma di mettere a disposizione tutto ciò che siamo e abbiamo, quanto è nelle nostre possibilità o capacità non deve rimanere solo per noi, altrimenti davvero sembra come il cibo dei 12 mai sufficiente, se invece lo offri, ti offri, ti poni con fiducia nelle mani del Signore, allora anche il poco pane che sei tu, può diventare qualcosa che sfama la folla, perché è Lui a fare il resto.

E questo pane basta, non solo, ne avanza pure, ben 12 ceste…

Questo pane è l’Eucarestia che ogni giorno la Chiesa offre su tutti gli altari del mondo, perché Gesù sfami ancora la fame dell’umanità sfinita.

È quanto stiamo celebrando ora e quanto ogni domenica celebriamo insieme: Gesù che si offre in quel pezzetto di pane che è tutta la sua vita, tutto sé stesso, ci riempie di sé perché pian piano possiamo essere sempre più simili a lui… infatti mentre normalmente noi assimiliamo il cibo, cioè mangiando il cibo noi lo rendiamo parte del nostro corpo, con l’Eucarestia avviene il contrario: è Gesù che ci assimila a Lui, che entrando in noi ci rende sempre più simili a Lui e parte del suo corpo, che è la Chiesa.

Affidiamoci a Lui, lasciamoci nutrire fino in fondo dal suo Corpo per essere disponibili ad offrirci a nostra volta per quanti incontriamo accanto a noi.

Di |2016-05-29T19:53:57+02:0029/05/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola domenicale

22 maggio

Solennità della SS. Trinità

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Quest’oggi celebriamo il grande mistero della relazione che unisce il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Si tratta di un mistero che portiamo ogni giorno nei nostri cuori e nelle nostre vite: è quanto pronunciamo ogni volta che ci disponiamo alla preghiera facendo il segno di croce. Quel segno tracciato sulla nostra pelle indica proprio il nostro volerci agganciare in qualche modo a quella relazione così forte e indissolubile.

Abbiamo ascoltato nel Vangelo quanto è forte il legame tra il Padre e il Figlio e quanto è altrettanto forte quello tra i primi due e lo Spirito Santo.

La Trinità ci provoca a riflettere sul nostro modo di amare e di vivere l’incontro con chi abbiamo accanto. Le tre persone della Trinità infatti sono unite nell’amore, ma non schiacciate e soffocate, ci mostrano che l’amore è liberante, non nel senso del fare come se l’altro non ci fosse, ma nel senso agostiniano dell’ “ama e fa ciò che vuoi”, nell’amore verso l’altro, se è amore vero e non invischiamento, non qualcosa di appiccicoso… allora ogni azione compiuta sarà nella direzione di un bene dell’altro, perché l’altro sarà il fondamento della nostra azione. Proprio come abbiamo ascoltato avviene nella Trinità, dove quanto è del Padre è anche del Figlio e lo Spirito viene a dirci tutto quanto avrà udito dal Padre e dal Figlio.

Il Signore ci dia la forza e la grazia di affidarci al suo Spirito di verità perché ci dia la forza di portare il peso della verità, quella vera, quella profonda, non l’assenza delle bugie, ma come sottolineava Heidegger recuperando il senso originario di questa parola, come eliminazione dell’oscuramento, come svelamento di ciò che era nascosto, è lo svelamento di Dio stesso.

Quest’oggi abbiamo già ricordato che per la nostra diocesi ricorre la memoria del beato Luigi Maria Palazzolo, il fondatore delle Suore delle Poverelle. Lui ha saputo fare della sua vita un rendimento di lode e un affidamento totale alla Trinità.

Ha vissuto il suo ministero di sacerdote proprio come un modo di accostarsi agli altri e soprattutto ai poveri e tra questi a quei poveri che non venivano raggiunti da altre forme di aiuto o di sostegno già presenti in città. Il suo stare accanto a loro è stato proprio un vivere pienamente, fino in fondo questo amore libero e liberante, un amore gratuito che si dona fino alla fine per quanti sono nel bisogno.

Si è abbandonato all’aiuto dello Spirito, a quella verità proprio confidando con fiducia, ogni giorno, nel sostegno della provvidenza, riconoscendo che non siamo soli su questa terra ma siamo sostenuti e accompagnati sempre dalla vicinanza di Dio.

Chiediamo anche noi, questa sera, di saperci abbandonare con fiducia in Dio, affinché la sua presenza nella nostra vita sia una presenza libera di portare frutto, anche attraverso le nostre povere azioni.

Di |2016-05-22T13:14:53+02:0022/05/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola domenicale

15 maggio

Solennità di Pentecoste

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Settimana scorsa abbiamo contemplato Gesù che, trascorsi 40 giorni, saluta i suoi discepoli ed è salito al cielo, non per lasciarci soli, ma per essere al nostro fianco in un modo nuovo, diverso…

Ed ecco che oggi, infatti, celebriamo il grande mistero della Pentecoste, della discesa dello Spirito Santo sui discepoli, la promessa di Gesù è stata mantenuta: ha pregato il Padre ed egli ha inviato un altro Paràclito.

Ma la promessa non è finita, lo Spirito non è che scende per vagare senza meta, come chi passeggia senza avere una direzione o una destinazione… lo Spirito scende per prendere dimora nei nostri cuori, nelle nostre vite, scende per rimanere con noi per sempre.

La condizione però è quella che dentro di noi ci sia dello “spazio” perché lì lo Spirito possa prendere casa, e questo spazio si genera dall’amare e dall’osservare la parola che Gesù ci ha consegnato. Questo non deve sembrarci un ricatto: se osservi la mia parola, allora avrai la compagnia dello Spirito Santo, al contrario, è il segno della voglia da parte di entrambi, di Dio per primo e poi da parte mia, di ciascuno di noi, di entrare in relazione di amore con il Signore, di amarlo, di riconoscerlo come il centro della nostra vita, come il senso delle nostre azioni.

Lo Spirito con i suoi 7 doni (sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà, timor di Dio), illumini la nostra vita da battezzati, non ci faccia mai sentire soli, ma sempre guidati e accompagnati dalla vicinanza del Signore, una vicinanza certo discreta, a volte difficile da percepire nel trambusto e nella velocità delle nostre giornate, eppure una vicinanza che segna, che ci cambia se lo lasciamo agire.

Potremmo dire che lo Spirito Santo, per le nostre vite non è come la ciliegina sulla torta, non è un di più, qualcosa che sì ti dà una gioia, ma anche se non ci fosse tu hai già tutta la torta e questa ti basta… no, lo Spirito Santo, per utilizzare la stessa immagine degli atti degli apostoli, è il fuoco, è quel calore che cuoce la torta, che la rende buona, appetitosa, che ci permette di poterla gustare.

Possiamo pensare così anche per la nostra vita: lo Spirito non è un di più in mezzo alle tante cose che già abbiamo o facciamo, una cosa di cui se c’è ci fa piacere ma potremmo benissimo farne a meno perché sappiamo cavarcela da soli, no lo Spirito è ciò che rende buona la nostra vita, è proprio l’azione dello Spirito a renderci capaci di vivere quanto il Signore Gesù ci ha consegnato con il suo Vangelo.

Chiediamo il dono dello Spirito Santo, che venga e faccia cuocere la pasta cruda della nostra vita e ci renda persone buone, che hanno incontrato nel Signore il senso della loro vita.

Di |2016-05-15T09:42:13+02:0015/05/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola domenicale

01 maggio

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Se uno mi ama, osserverà…

Quest’oggi il Signore ci mette di fronte a questo cambio radicale: l’ascolto e l’osservare la parola che lui ci rivolge, non è questione di impegno, di forza di volontà o di rispetto dell’alleanza come intendevano gli ebrei, ascoltare ed osservare la parola sono il frutto dell’amore.

Proprio come ogni persona è disponibile ad accogliere nella sua vita e fare propria la parola di colui o colei che ama in quanto riconosce che quella parola è pronunciata proprio per amore, allo stesso modo siamo chiamati a fare con la parola stessa di Dio. Non ascoltiamo e rispettiamo quanto Gesù ci dice per paura o per tradizione o per convenienza, invece la parola di Dio può far breccia nel nostro cuore, nelle nostre abitudini, nella nostra vita di credenti solo se è sostenuta e alimentata dall’amore per il Signore.

Che bella la promessa che Gesù fa seguire a questo e che abbiamo appena ascoltato: noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Il Signore vuol fare casa con noi, con la nostra vita, vuole vivere nel nostro cuore, non essere un estraneo che incontriamo qualche volta, vuole essere uno di casa, condividere la nostra esistenza, non come un intruso invadente, ma come l’amato.

Gesù inoltre promette l’invio dello Spirito Santo che ci insegnerà ogni cosa e ci ricorderà le parole dette da Gesù stesso. Certo che quei discepoli avevano ancora bisogno di un aiuto forte per comprendere la portata di quelle parole sentite lungo ben tre anni di cammino col maestro, comprendere i suoi gesti, i suoi silenzi, i suoi sguardi…

Ma anche noi, ancora oggi, non possiamo ritenerci esonerati dal bisogno di una vicinanza forte dello Spirito che ci aiuti a comprendere le parole del Maestro, a sentirle vicine alla nostra vita, a sentirci legati a quella parola, non come una catena che imprigiona ma come una cima di un’imbarcazione. La corda che consente di ormeggiare, di rimanere allacciati in maniera sicura alla terra ferma, a quel porto sospirato senza rischiare di lasciarsi andare alla deriva in balìa delle onde. Lo Spirito Santo lo possiamo pensare un po’ come questa corda che ci tiene legati al Signore, con un buon nodo da marinaio, bello sicuro. Ma un nodo lo posso mantenere ben saldo oppure, pian piano, lasciarlo andare, allentarlo poco per volta distaccandomi da quell’amore da quella parola buona che viene rivolta sulla mia esistenza e allora pian piano diventa meno sicuro, finché lo sciolgo, mi stacco dall’ormeggio e divento preda delle onde e del mare. Il Signore ci aiuti a sentire il suo amore per noi e la sua Parola come un attracco sicuro, come un legame di bontà e un vincolo di amore secondo la parola del profeta Osea. Se la sapremo riconoscere così avremo dentro di noi anche la serenità del bimbo che riconosce l’abbraccio del padre e della madre come espressione di amore e non come una gabbia che imprigiona. Questo è il modo in cui Dio ci vuole incontrare e salvare.

Di |2016-05-01T14:21:25+02:0001/05/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

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24 aprile

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Quest’oggi siamo tornati nel cenacolo, al momento dell’ultima cena, Giuda è appena uscito per andare a tradire, a consegnare il Maestro alle autorità e Gesù parla agli altri suoi discepoli, consegna loro le sue ultime parole, i suoi ultimi insegnamenti, il suo testamento potremmo dire…

Anzitutto Gesù non recrimina, non si mette ad accusare o a giudicare il traditore, invece considera quel momento come proprio quello della glorificazione, della manifestazione al mondo intero del senso della sua incarnazione, del suo essersi fatto uomo per la nostra salvezza, ci mostra fino a che punto si spinge l’amore di Dio per l’umanità: fino alla croce; ed è proprio lì, nel tradimento, nell’ingiusta accusa, nella morte dell’innocente che si manifesta la gloria di Dio.

Possiamo quindi dire che la glorificazione di Dio si ha nella massima espressione del suo amore per noi, nel momento nel quale ci ha dimostrato la misura del suo amore. Ci ha detto che quel “come io ho amato voi” non è un amore a poco prezzo, un amore facile, l’amore di simpatia… si tratta invece di un amore che è costato la vita, un amore che è arrivato fino in fondo, fino al massimo, fino alla vita…

E questa è la misura e la forma dell’amore che chiede anche a ognuno di noi, non un amore semplicemente di vicinanza per qualcosa che ci accomuna, perché abbiamo le stesse passioni o siamo in sintonia gli uni con gli altri… non è nemmeno l’amore di facciata… quell’amore fatto di convenevoli, di maniere garbate ma fredde e distaccate, di sorrisetti impersonali di chi fa finta di voler bene all’altro. Non è questo l’amore che deve caratterizzare i discepoli del Maestro morto per amore… lui non ha fatto finta, non è morto solo per quelli che se lo meritavano… Gesù ci chiede di amare “con passione”, disposti anche a soffrire per le persone che abbiamo intorno, per il loro bene, per la loro crescita.

Questo è l’amore che Gesù ci ha mostrato in tutta la sua esistenza… non un amore diplomatico di chi tace le cose scomode così da non avere storie con nessuno, questo non è amore ma è essere indifferenti agli altri, è salvaguardare la propria faccia, il proprio quieto vivere affinché nessuno abbia a disturbarci.

Amare gli altri vuol dire implicarsi nella loro storia, sporcarsi le mani per loro e con loro, avere anche il coraggio di dire quando le cose non vanno o non sono nella direzione del bene.

Il Signore ci dia la grazia di amare i nostri fratelli così, come lui ci ha mostrato, sentendoceli come una parte insostituibile della nostra esistenza, riconoscendo che lui ce li ha posti accanto. Ci aiuti a comprendere in ogni situazione cosa vuol dire amare il nostro fratello, quali sono i comportamenti che vanno nella direzione dell’amore e quali sono quelli dell’indifferenza, del cuore chiuso, della distanza… il Crocifisso Risorto ci mostri ancora una volta la via per essere veramente e fino in fondo Comunità che si riunisce nel suo nome, nel nome di lui che è l’Amore, quello vero, quello con la A maiuscola.

Di |2016-04-24T09:51:28+02:0024/04/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola domenicale

17 aprile

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Il vangelo di oggi quanta tenerezza ci trasmette: il Signore Gesù ci chiama sue pecore… pecore, non pecoroni…

Anzitutto la tenerezza ci arriva dal fatto che la pecora è un animale non pericoloso, un animale docile… ma non solo questo, non siamo pecore qualunque, confondibili con altre, ma ci definisce SUE pecore… vuol dire che Lui ci tiene a noi, ci vuole bene, vuole il nostro bene, proprio come il pastore che vuole il bene per le proprie pecore, cerca per loro il pascolo buono e non pericoloso, cerca per loro l’acqua, offre loro un luogo di rifugio in caso di pioggia o comunque al riparo dagli animali feroci.

Mi colpisce anche un’altra caratteristica che Gesù sottolinea delle sue pecore: ascoltano la sua voce. Questa è la prima caratteristica che Gesù chiede alle sue pecore: avere un orecchio sintonizzato sulla sua voce, capace di riconoscerla in mezzo alle mille altre che il mondo ci butta nelle orecchie… la sua è una voce particolare, non urla, non è un frastuono, ma è la voce di chi ti ama, di chi ti vuole tenere accanto a sé, perché solo lì c’è la possibilità di una vita vera e piena.

La seconda caratteristica ha il sapore di una reciprocità: io le conosco… ascolto perché sono conosciuto, la voce mi cerca, mi raggiunge proprio perché sono conosciuto dal pastore fino in fondo. È una novità quella che ci viene posta davanti: un Dio che si interessa dell’umanità, ma non dell’umanità in generale ma al nostro Dio, al nostro pastore, al Signore Gesù interessa ciascuno di noi in maniera particolare, ogni pecora come tale è diversa dalle altre ed è amata da Lui. Il suo amore per noi non è un amore generico ma un amore concreto per me, per te…

E l’effetto di questo amore, di questa relazione reciproca è la sequela: esse mi seguono.

La pecora che si riconosce amata sente anche la necessità di seguire il suo pastore, percepisce che solo il pastore è in grado di condurla verso un luogo buono, verso la felicità, verso la salvezza.

Sì perché nessuno strapperà noi, sue pecore, dalla sua mano… e la sua non è una mano qualunque, è la mano onnipotente di Dio… infatti Gesù sottolinea ancora di più la protezione, quando afferma che lui e il Padre sono la stessa cosa, vuol dire che la sua mano e quella del Padre sono la stessa mano che ci prende, ci protegge, ci custodisce, proprio come il papà che tiene per mano il suo bambino e la forza del suo amore fa sì che nessuno possa strapparglielo dalla mano, così il Signore ci tiene nella sua mano, la forza del suo Amore ci tiene ancorati a lui e al sicuro.

Di |2016-04-18T18:43:22+02:0018/04/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale
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