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Commento alla Parola domenicale

12 febbraio

VI domenica del Tempo ordinario

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Potremmo dire che con il Vangelo di oggi il Signore ci pone davanti ad un bivio, a due modi diversi di vedere, di leggere e interpretare sia Dio, sia suo Figlio, sia il nostro essere suo popolo.

Il popolo dell’alleanza, l’antico popolo di Israele poneva nel rispetto minuzioso della legge il suo guadagnarsi la salvezza, assicurandosi la protezione di Dio stesso.

Gesù ci dice la necessità di andare al di là, di fare un salto di qualità, di passare dall’essere dei rispettosi esecutori di norme date, all’essere discepoli capaci di comprendere a fondo il senso di quelle stesse norme e addirittura superarle. Sembra una contraddizione, eppure, in fin dei conti è proprio così… Gesù infatti non cancella nulla dell’antica Alleanza di Dio con Israele, ma la porta fino in fondo, fino al suo pieno compimento e pieno compimento della legge è l’amore. Proprio questo amore che Dio ha nei confronti dell’umanità diventa il discrimine per comprendere tutta la legge e diventa in un certo senso quel di più che Gesù chiede a quanti credono in lui, quindi anche a noi.

Il Signore in effetti non ci chiede il rispetto di norme come quelle di ordine pubblico… non sta a vedere nemmeno i cavilli e il modo per dirci di averle rispettate lo stesso perché non abbiamo infranto il dettato esplicito… ad esempio il non uccidere… se lo prendiamo alla lettera forse potremmo quasi toglierlo dai comuni esami di coscienza… ma Gesù ci dice proprio che la dimensione dell’amore che chiede ai suoi discepoli fa sì che l’uccidere si estenda anche a tutti quei comportamenti che in qualche modo squalificano l’altro ai miei occhi o agli occhi di chi c’è intorno a me.

In questo senso Gesù non ci fa sconti rispetto alla legge antica ma ci chiede di rileggerla alla luce della sua Croce e dell’Eucarestia che ogni domenica celebriamo. Lui ha offerto tutto sé stesso per la nostra salvezza. Lui è il compimento autentico di tutta la legge perché si è posto come segno per tutte le genti di un Dio disposto al tutto per tutto per la salvezza dell’umanità. Sì, Gesù è il compimento ed è venuto a dare compimento a quella legge, ad imprimercela nei cuori, a far sì che i nostri cuori battano sempre di più di quell’amore di cui da soli non siamo capaci, ma che chiediamo di attingere da lui per incontrare sempre più fraternamente chi ci passa accanto.

In questa settimana possiamo sentirci e vivere autenticamente da discepoli del Risorto, capaci a nostra volta di mettere nelle nostre azioni il fuoco di quell’amore che Gesù è venuto a portare sulla terra, allora ciò che facciamo avrà il calore della vicinanza di Dio, allora non avremo più bisogno di cavilli ma ci apriremo all’azione della sua grazia.

Di |2017-02-11T10:44:19+01:0012/02/2017|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola domenicale

05 febbraio

V domenica del Tempo ordinario

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Siamo il sale e la luce. Sì, lo siamo in quanto battezzati. Gesù ci dice voi siete e non siate… sembra un gioco di parole, ma dietro c’è la fiducia nella grazia. Se Gesù ci avesse detto siate il sale, siate la luce… sarebbe stato un invito a darsi da fare per diventare tali, sarebbe stato un segno della nostra forza di volontà, del nostro impegno… di quanto siamo bravi.

Invece Gesù utilizza l’indicativo, ci dice che noi lo siamo, non per merito nostro, ma per grazia sua, il battesimo ci rende sale e luce per il mondo. Ci rende capaci di dare sapore e di illuminare l’esistenza… ma per far questo è necessario lasciare che la grazia si possa esprimere, possa venire allo scoperto. Schiacciare l’azione della grazia nella nostra vita, cercare di fare di testa nostra come se il Signore fosse un accessorio più o meno inutile dell’esistenza umana, magari relegato a qualche momento… è un po’ come perdere il sapore. Se il sale perde il sapore non serve più a niente. Se un cristiano perde il sapore, come potrà essere significativo per quanti gli passano accanto?

È bella l’immagine del sale perché mediamente, salvo poche pietanze, è chiamato a scomparire e ad agire dall’interno dei cibi per offrire loro il sapore. Così è per noi cristiani: nella società siamo chiamati a scomparire ma a lasciare il segno con il sapore che possiamo diffondere, non perché portiamo una bandiera, ma offriamo un senso e un significato profondo alle nostre scelte, alla nostra vita.

E il cristiano è la luce del mondo. Qualcosa che, proprio come il sale non serve per sé, ma serve in quanto si rivolge verso altro da sé. Una candela o una lampada non serve per dire quanto è carina la fiammella che produce, non serve per fasi vedere, ma serve nella misura in cui permette di illuminare quanto c’è intorno. Ogni luce che accendiamo ha senso nella misura in cui è orientata a mostrarci la strada, le cose, le persone che sono accanto a noi. Se accendo una luce in una stanza chiusa a chiave e dove non c’è nessuno questa cosa è inutile. La luce ha senso nel momento in cui si offre per il bene di chi le sta intorno.

Anche noi cristiani dobbiamo cercare di essere luce per quanti sono intorno a noi, aiutarli a fare luce sulle vicende della vita, di nuovo una luce che non dipende da noi ma è quella luce di Cristo che ci è stata consegnata il giorno del nostro battesimo.

Chiediamo al Signore di fidarci della gratuità del sale e della luce che non trattengono nulla per sé ma assumono significato proprio in quanto si offrono per chi si avvicina a loro; la gente che si avvicina noi, possa riconoscere in noi la trasparenza del Padre e così renda gloria a Lui.

Di |2017-02-04T14:59:13+01:0005/02/2017|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola domenicale

29 gennaio

IV domenica del Tempo ordinario

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Il brando di Vangelo che abbiamo appena ascoltato, le beatitudini, per 9 volte utilizza il termine beati, gioiosi, rappacificati. La gioia nel cuore è allora al primo posto della giornata di oggi e la prima felicità è proprio quella che sorge dal riconoscersi amato. Quante manifestazioni concrete di amore abbiamo nella nostra giornata, quante persone ci dimostrano che per loro siamo importanti, che rivolgono la loro attenzione e cura verso di noi, qualunque sia la nostra età… non siamo stati creati per stare da soli e la Bibbia lo dichiara subito nelle sue prime pagine: non è bene che l’uomo sia solo… ma se ci donano gioia le manifestazioni umane di affetto e di amore, ancora più gioia ci può venire dal riconoscere che Dio ci ama e si prende cura di noi.

Delle 9 beatitudini, infatti ben 7 hanno un termine proiettato al futuro fino all’apice dell’ultima beatitudine che conclude con l’affermazione rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. È l’invito alla gioia e ad esultare… che esultare oggi lo sperimentiamo e lo possiamo comprendere rispetto ad esempio alla partita di calcio nella quale esulto se faccio goal o se la mia squadra del cuore fa goal oppure si esulta quando le cose sono andate particolarmente bene…  esultare, infatti, vuol dire gioire con una forza tale da non poter più tenere dentro quel sentimento che ha bisogno in qualche modo di venire fuori, di esplodere quasi, di coinvolgere tutto il nostro corpo: non più solo il cuore ma anche la voce, le braccia, le gambe… tutto noi stessi freme e non può stare fermo per la gioia.

Il Signore ci invita ad esultare perché nei cieli ci attende una grande ricompensa. La ricompensa di chi essendosi sentito amato e oggetto di cura da parte del Padre su questa terra, non trova ricompensa migliore che l’incontro faccia a faccia con lui.

Possiamo chiederci quest’oggi quanto siamo capaci di gioia e di beatitudine, per la fede che ci è stata trasmessa. Davvero l’incontro col Signore ci fa esultare di gioia? Ed ancora, quanto siamo capaci di essere testimoni verso i più piccoli di questa gioia, del nostro aver fatto esperienza dell’amore del Padre.

Invochiamo lo Spirito affinché ci riscaldi il cuore e ci renda ancora capaci di gioire dell’incontro con Gesù nella nostra vita di ogni giorno; l’esempio e la testimonianza di don Bosco che oggi abbiamo ricordato e festeggiato in oratorio, ci aiuti ad avere a cuore la crescita non solo umana ma anche nella fede delle giovani generazioni perché anche loro, come noi, possano gioire dell’incontro con il Padre.

Di |2017-01-28T21:18:11+01:0029/01/2017|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola domenicale

22 gennaio

III domenica del Tempo ordinario

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Siamo sulla riva del mare, insieme con Gesù e con gli abitanti di Cafarnao. Lui giunge come la grande luce della profezia di Isaia per illuminare il popolo, per aprire i loro cuori all’accoglienza della Parola di Dio, un’accoglienza nuova, che chiede a ciascuno di essere nuovi dentro, di essere capaci di cogliere la novità che il Signore sta seminando nella nostra storia, per farla nostra e portare frutti buoni, frutti di conversione. Sì perché Gesù non inizia a parlare ai pagani, a coloro che della Bibbia o della fede di Israele non sapevano nulla, al contrario, Gesù parla ai suoi connazionali, a quella gente che sapeva bene cosa chiedeva Dio nell’alleanza fatta con i loro padri, con Abramo prima e con Mosè poi…

Il popolo era consapevole di essere il popolo della promessa, i destinatari dell’azione potente di Dio… eppure a loro le prime parole che rivolge Gesù sono proprio quelle nell’ordine della conversione, di annuncio che il Regno dei cieli è vicino. Questo annuncio risuona anche per noi, oggi, il bisogno di conversione, di riconoscere nel presente, nella nostra vita la novità che Gesù è venuto a portare, la novità di Dio. Siamo chiamati ad interrogarci, a convertirci rispetto ad un modo di vivere che ci chiude in schemi precostituiti… pensiamo al popolo di Israele quante leggi comportamentali e rituali aveva e rispettava alla lettera ogni giorno, eppure Gesù dice loro di convertirsi… quante cose facciamo anche noi, oggi, ed anche a noi chiede conversione… ma è da quando sono bambino che mi viene annunciato il Vangelo, che vado a Messa, che prego, che cerco di rispettare i comandamenti… sì, può essere, eppure sono chiamato a convertirmi, a sentire la vicinanza del Signore alla mia vita e alla mia storia e instaurare con Lui una relazione, un incontro, non l’esecuzione di un compito abitudinario.

Ed è quello che è successo alle 2 coppie di fratelli che hanno ricevuto la chiamata, l’invito di Gesù ad andare dietro a lui: all’invito di Gesù ad andare dietro a lui hanno prontamente risposto lasciando le reti per seguirlo. Non si sono posti il problema della barca, di chi avrebbe portato avanti l’azienda di famiglia, di quale sarebbe stata la meta, di quanti chilometri avrebbero fatto ogni giorno, di quale paga avrebbero ricevuto… hanno colto la voglia di quel Maestro di instaurare una relazione personale con loro.

È quanto Gesù chiede anche a ciascuno di noi quest’oggi: vieni dietro a me. Sì, andiamo dietro a lui, diventiamo suoi discepoli nella nostra vita, lì dove la nostra storia ci ha posti, con quelle attività che siamo chiamati a svolgere ogni giorno, eppure riconoscendo in queste che lui ci sta davanti, che stiamo camminando dietro a lui, allora anche le piccole o grandi scelte di ogni giorno assumeranno un sapore diverso, il sapore della gratuità di chi scopre di far parte di quel disegno di novità che Dio ha pensato per l’umanità intera.

Di |2017-01-21T15:53:29+01:0022/01/2017|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

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15 gennaio

II domenica del Tempo ordinario

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Siamo all’inizio del tempo ordinario e il Vangelo ci apre l’orizzonte proprio su Gesù, sull’Agnello di Dio, come lo preghiamo ad ogni Eucaristia… ci pone di fronte a lui per mezzo del precursore, di Giovanni che pur non conoscendolo, ma per ispirazione divina lo riconosce e lo indica a quanti sono intorno a lui.

È grandiosa l’indicazione che Giovanni vede Gesù venire verso di lui… Gesù gli si fa incontro, il Figlio di Dio non è lì fermo ad aspettare l’arrivo di Giovanni ma gli va incontro. Così possiamo dire è per la grazia di Dio che non solo è lì ad aspettarci ma ci precede, ci viene incontro perché noi ne possiamo fare l’esperienza nella nostra vita.

Ed è proprio così, se ci pensiamo bene, Gesù ci precede sempre con la sua grazia, non aspetta che siamo pronti, che siamo perfetti o che abbiamo in qualche modo capito tutto, lui ci viene incontro lì dove siamo e ci chiede potremmo dire di riconoscerlo nelle strade della nostra vita.

Ma non solo, Giovanni ha riconosciuto Gesù e se ne fa portavoce, lo annuncia espressamente, indicandolo presente. Lui che l’ha visto e riconosciuto aiuta anche altri a fare la stessa esperienza del Messia, dell’Agnello di Dio. Questo potremmo dire è il ruolo di Giovanni, non il mettersi in mostra, in primo piano… non è chiamato a fare la prima donna in uno spettacolino… ma a rimandare ad un altro. Quanta umiltà serve per riuscire a fare questo, eppure come cristiani saremo credibili sempre e solo se saremo capaci nella nostra vita, non a parole ma con i fatti di indicare la presenza del Cristo in mezzo a noi.

Questo potrebbe sembrare un compito specifico di noi sacerdoti, eppure non è così, ogni cristiano, ogni credente, ogni battezzato può, anzi, deve diventare annunciatore del Salvatore con la propria vita. Siamo chiamati a diventare comunità adulta capace di annunciare e testimoniare la gioia di aver incontrato il Signore per poter diventare capaci di mostrarlo anche ai più piccoli, ai giovani, a quanti sono più lontani, capaci di annunciare che Gesù è davvero l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo. Gesù è quell’agnello che non grida non fa valere la forza non schiaccia gli altri ma che si offre per la nostra salvezza… e anche Giovanni è chiamato anzitutto a riconoscerlo e poi ad annunciarlo proprio in questo modo, forse un modo inatteso ma come sempre è inattesa e fantasiosa l’azione di Dio nella storia.

Chiediamo a Dio la grazia di riconoscerlo nella nostra vita, anche là dove è più difficile e la grazia di diventare comunità viva, capace di testimoniare con gioia lo stupore di un incontro che ci ha cambiato la vita.

Di |2017-01-14T14:58:02+01:0015/01/2017|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

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08 gennaio

Festa del Battesimo di Gesù

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Ci siamo appena lasciati dietro le spalle la solennità dell’Epifania, Gesù Bambino adorato dai Magi, ed ecco che la liturgia ci pone davanti a Gesù trentenne, quegli anni di vita nascosta, ordinaria, anni nei quali Gesù ha potuto assaporare la nostra stessa esistenza e crescere come ogni uomo.

Questa domenica potremmo dire che fa un po’ da ponte fra il tempo di Natale e il tempo ordinario, proprio come l’esperienza del battesimo di Gesù ha segnato il passaggio da quella vita nascosta alla sua vita pubblica. Si tratta di un battesimo, il suo, diverso dal nostro, ovviamente.

Gesù viene al Giordano, lo stesso Matteo evidenzia proprio questo passaggio dalla vita nascosta in Galilea alla vita pubblica. Giovanni stava battezzando come segno di conversione, Gesù si accosta perché si adempia ogni giustizia, così dirà al Battista… Gesù vuole unirsi ai peccatori non in quanto peccatore ma per offrire loro la salvezza, come segno di vicinanza, Dio che non solo si è fatto uomo, come abbiamo celebrato negli scorsi giorni, ma addirittura si è posto accanto agli ultimi, ai più bisognosi, ai peccatori.

Ed ecco che l’uscita dall’acqua è segnata da quella teofania, da quei cieli aperti, dai quali scende lo Spirito Santo e la voce del Padre… è la manifestazione della SS. Trinità e il sigillo stesso dell’azione del Figlio, quasi che il Padre in questo modo avesse voluto confermare che ciò che Gesù stava facendo era proprio la realizzazione del disegno d’amore di Dio stesso.

Sì, l’amore è la parola cardine di questa giornata conclusiva del nostro cammino diocesano. Gesù ponendo questo segno, potremmo dire che rende partecipi tutti noi di quel suo essere il Figlio amato. Non vuole tenere per sé la sua condizione di Amato, al contrario il suo desiderio è quello di rendere partecipi tutti noi di questo amore del Padre.

Noi normalmente siamo gelosi delle nostre cose, per cui non vogliamo che altri utilizzino le cose che sono di nostra proprietà, o quanto meno desideriamo che ci venga chiesto prima di utilizzare ciò che è nostro e questa è una questione anche di rispetto reciproco, puramente umano… Gesù non fa così, ciò che è pura prerogativa sua, il suo essere Figlio amato del Padre lo condivide con noi, proprio quello scendere nell’acqua del Giordano insieme ai peccatori ci fa percepire che anche noi, in lui possiamo considerarci figli amati.

Possa quest’anno che si apre davanti a noi, aiutarci a riconoscere proprio questo amore speciale che il Signore rivolge ad ogni uomo, riconoscendoci figli nel figlio.

Di |2017-01-07T13:57:45+01:0008/01/2017|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

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06 gennaio

Solennità dell’Epifania

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Quest’oggi potremmo dire che la liturgia ci invita a stare col naso all’insù. I Magi che vengono dall’oriente si muovono perché hanno guardato il cielo, sono rimasti a contemplare le stelle e da questo hanno colto la necessità di mettersi in cammino e di andare a vedere “colui che è nato”.

Una stella… una luce fioca, riflessa, non invadente… una fra tante… una luce che se contrastata dalle luci presenti sulla terra, non vedi più… è una stella a guidare, non il sole. Il sole non puoi non vederlo, non notarlo, addirittura il sole ti abbaglia. La stella no, e in questo rappresenta proprio il modo di essere venuto nel mondo del Figlio di Dio, in un modo non appariscente, non abbagliante.

Ed ecco che infatti la sua luce può essere oscurata dalle luci terrestri… non sto parlando dell’inquinamento luminoso moderno che non ci permette di vedere se non qualche stella… ma sto parlando di ciò che è successo ai Magi e rischia di succedere anche per ciascuno di noi: giunti a Gerusalemme si sono incontrati-scontrati con la realtà del potere. Il re Erode, questa luce terrestre, ha per un po’ oscurato la luce della stella, o meglio, finché i Magi non hanno saputo distogliere lo sguardo da quella luce che potremmo dire artificiale, i loro occhi non erano più in grado di riconoscere la presenza di quella stella che sempre ha guidato il loro cammino.

Quante luci artificiali anche noi poniamo ogni giorno sulla strada della nostra vita e non ci permettono più di intravedere e seguire la stella del Signore. Sono quelle luci della forza, dell’egoismo, dell’arroganza, del successo, del potere, dell’immagine… queste luci che ci costruiamo noi, o che il mondo ci costruisce intorno illudendoci che rischiarino i nostri passi, non ci permettono più di vedere sopra di noi quella stella che davvero segna il nostro passo.

Ma che meraviglia per i Magi quando lasciato Erode ritrovano la stella, hanno purificato il loro sguardo ed ora sono pronti ad accogliere nuovamente quella luce, ma non solo, la meraviglia di riconoscere che il re che è nato e per il quale hanno fatto il lungo cammino altro non è che un bambino in una casa con sua madre.

Non ci sono angeli questa volta, non c’è il canto del Gloria o un annuncio straordinario, ma solo l’ordinarietà di un bambino, ma proprio lì in quell’ordinario che non abbaglia si manifesta la vera luce che orienta il nostro cammino.

Chiediamo al Signore la grazia di occhi capaci di stupirsi e di provare meraviglia di fronte ad un Dio che si fa uomo, umile bambino, che chiede di distogliere lo sguardo dalle nostre luci per poter vedere la sua luce vera e a quella luce poter orientare i passi di tutta la nostra vita.

Di |2017-01-05T16:10:37+01:0006/01/2017|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola

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01 gennaio

Solennità di Maria Santissima Madre di Dio

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Sono passati 8 giorni dal Natale e la liturgia ci invita nuovamente a fermarci sul brano di Vangelo della Messa dell’aurora del giorno di Natale, salvo l’aggiunta dell’ultimo versetto riguardante la circoncisione di Gesù.

Potremmo dire però che non si tratta della ripetizione di qualcuno che, non avendo fantasia o non avendo molto da dire si trova a ridire la stessa cosa, al contrario, il Vangelo è sempre così ricco da non poterlo racchiudere o esaurire mai e questo perché il Vangelo è vivo, è vita non lettera morta.

Oggi infatti lo leggiamo alla luce della festa di Maria Madre di Dio. È lei, potremmo dire, la figura che ci orienta e ci offre la direzione quest’oggi.

Se la mattina di Natale ci siamo soffermati sulla gioia dei pastori che li smuove ad andare a cercare quel segno annunciato dall’angelo e tornando esprimono la loro gioia diventando testimoni verso il resto del popolo di quell’incontro che hanno fatto; potremmo dire che il volgere lo sguardo alla madre ci suggerisce un ulteriore punto di vista, non opposto, non in contrasto o in contraddizione con quello dei pastori, ma potremmo dire quasi complementare e altrettanto necessario e vitale per il nostro essere cristiani. Si tratta di quel duplice atteggiamento del custodire e meditare nel cuore. Maria ci insegna la gioia più intima, quella di portare dentro, dopo aver portato nel suo grembo per 9 mesi l’autore stesso della vita, dopo averlo dato alla luce, Maria continua a portare dentro di sé, porta gli avvenimenti, le parole che la raggiungono, i sentimenti che sperimenta… ma non come se le passassero sopra, non li accoglie in maniera passiva, ma li custodisce dentro, li trasforma in vita.

Quanto poco tempo regaliamo a noi stessi per poter portare dentro, custodire e meditare nel nostro cuore le cose che succedono intorno a noi, che fatica facciamo a soffermarci sull’azione di Dio nella nostra esistenza… e senza questa dimensione spirituale quanto diventa facile vivere con superficialità ciò che il Signore ci offre.

I pastori e Maria hanno sperimentato la gioia e mentre per i primi questa si è tramutata in annuncio e testimonianza, per Maria ha significato anzitutto portare dentro, assumere in profondità.

Un nuovo anno è appena iniziato, un anno che la grazia del Signore ci pone nuovamente fra le mani, un anno che invochiamo sia all’insegna della pace vera e profonda, quella che comincia proprio da un animo raggiunto e illuminato dalla gioia dell’incontro con Lui, l’autore della vita.

Maria ci aiuti a fare nostro il suo atteggiamento affinché custodendo e meditando possiamo aprirci sempre di più all’azione della sua grazia che parte dall’offrire la gioia e la pace vera al nostro cuore.

Di |2017-01-01T09:17:27+01:0001/01/2017|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

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25 dicembre

Solennità del Santo Natale

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Siamo giunti al Natale, i nostri preparativi del cuore sono terminati, abbiamo camminato lungo tutto l’avvento per arrivare ad incontrare Gesù che vuole trovare casa nel nostro cuore, ed eccoci qui, davanti a lui…

Da un lato, ci sentiamo un po’ come Maria e Giuseppe davanti a quel bambino appena nato, guardiamo con occhi stupiti e meravigliati la grandezza del regalo che Dio ha offerto a tutti gli uomini: il suo stesso Figlio, donato perché ciascuno di noi possa riconoscersi amato da Dio.

Se stupore e meraviglia possono in qualche modo rappresentare i sentimenti di Maria e Giuseppe, davanti al loro bimbo deposto nella mangiatoia, ecco che ad una certa distanza, nel campo, i pastori che stavano custodendo il loro gregge sono stati raggiunti dall’annuncio dell’angelo della gioia della nascita del Salvatore.

A quell’annuncio non possono restare indifferenti e si muovono, si mettono in cammino. Sì, la gioia annunciata dall’angelo non è qualcosa che ci raggiunge in maniera passiva, come se ci fosse calata dall’alto, ci è offerto l’annuncio, ora siamo chiamati a farlo nostro, ad incontrare quel bambino affinché quella gioia davvero contagi la nostra esistenza e ci renda delle persone nuove.

Se ci pensiamo bene, questo è tutto il fondamento della nostra vita, ciò che in fin dei conti ci smuove ogni volta, la ricerca della gioia, di qualcosa che riempia il nostro cuore di questo sentimento così particolare. Gioia, non felicità, perché la gioia è qualcosa di più intimo, qualcosa che nasce dal cuore e lo fa battere forte di emozione. La felicità dura un momento,  la gioia è qualcosa che è chiamato a durare a lungo. E di quella gioia i pastori vogliono essere partecipi. Sì la gioia dell’incontro con Gesù sarà di tutto il popolo, ma anzi, di più, sarà di tutti i popoli, di tutta la storia.

È la stessa gioia che oggi viene proposta anche a noi, la gioia di aver incontrato Gesù, che il suo essersi fatto uomo, aver assunto la nostra stessa carne ci ha offerto la salvezza. Gesù si è fatto uno di noi e nel far questo ci ha portato in un certo senso, un po’ più vicino Dio, ci ha permesso di riconoscere in Dio, non qualcuno da tenere buono altrimenti chissà cosa succede, cosa ti può capitare… invece ci ha dimostrato quanto è grande l’amore di Dio che per noi è disposto a tutto pur di salvarci.

Ecco che l’incontro con quel bimbo, così come lo fu per i pastori non ci lascerà indifferenti, ci farà tornare da persone nuove, persone che lodano Dio per l’evento di cui siamo stati resi partecipi.

Allora, se in questo avvento abbiamo camminato con pazienza, un passo dopo l’altro, riconoscendo con umiltà il nostro bisogno di cambiare, con la speranza di una vita non in solitudine ma vissuta con il Signore e nella fiducia che quanto lui ci chiede è il bene della nostra vita, allora sì il Natale sarà la più autentica fonte della gioia, perché riconosceremo davvero che quel bambino nato nell’umiltà di quella stalla è il Salvatore e l’unico fondamento della nostra gioia, allora sì sarà davvero Natale.

Di |2016-12-23T14:34:49+01:0025/12/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

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18 dicembre

IV domenica del Tempo di Avvento

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Siamo ormai a pochi giorni dal Natale, il nostro cammino di Avvento giunge verso la conclusione e la Parola che abbiamo appena ascoltato ci pone davanti a Giuseppe, quest’uomo giusto, innamorato di Maria, della quale è sposo anche se, secondo le consuetudini del suo tempo, non abitavano ancora insieme.

Giuseppe si trova coinvolto in questa gravidanza straordinaria, ha saputo, probabilmente da Maria ciò che è successo, l’annuncio dell’Angelo e il suo essere incinta non per opera di uomo ma per mezzo dello Spirito Santo che ha agito in lei. Chissà se la fatica maggiore di Giuseppe è stata quella di accogliere ciò che stava succedendo oppure quella di comprendere la sua posizione, il suo ruolo, ciò che lui, sposo di Maria era chiamato a diventare per quel bambino che, biologicamente, non era frutto suo.

Ma ecco che nel suo arrovellarsi per cercare di districare la matassa e fare un po’ di discernimento della situazione, nella sua solitudine, non viene abbandonato. Potremmo dire che la sua solitudine è riempita di una presenza che non ti abbandona mai e di quella presenza, di quella parola che gli viene rivolta è chiamato a fidarsi, non a comprenderla… ma a riporre fiducia.

Fidarsi ciecamente, non vuol dire essere sprovveduti, non vuol dire lasciarsi sopraffare dall’euforia del momento, chiudere gli occhi davanti alle situazioni o ai problemi, fidarsi vuol dire riconoscere di poter riporre la propria vita e la propria esistenza nelle mani di Colui che questa stessa vita ce l’ha regalata, nell’unico che non tradisce mai, anche se a volte utilizza strade che ci sembrano tortuose o incomprensibili.

Giuseppe comprende che nella storia di Gesù ci sarà un posto anche per lui, che lui ne sarà il padre, non biologico, non spirituale, eppure sarà padre perché chiamato a prendersene cura, a dargli una casa, a farlo crescere, potremmo dire a far assaggiare al Figlio di Dio il sapore dell’esistenza umana. E a questo viene chiamato lui, un umile carpentiere, sposo di una giovane ragazza, entrambi di provincia… non viene chiamato il sommo sacerdote o uno dei dottori del tempio… le strade che il Signore sceglie sono strane, sono sempre inedite, la fantasia di Dio per la nostra salvezza è proprio grande. E Giuseppe si fida, accoglie con fiducia l’invito dell’Angelo e prende con sé la sua sposa.

Anche noi, siamo chiamati ad aver fiducia nelle strade che il Signore ci invita a percorrere, con la pazienza dei piccoli passi, con l’umiltà del riconoscere di non essere il tutto, con la speranza che in fondo al cammino c’è lui, e allora, come Giuseppe ci accorgeremo che anche la solitudine è sempre abitata e facendoci aiutare da un cantautore contemporaneo potremo dire anche noi che “io lo so che non sono solo anche quando sono solo”.

Di |2016-12-17T10:51:55+01:0018/12/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale
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