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Commento alla Parola domenicale

29 maggio

Solennità del Corpo e Sangue di Gesù

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Quest’oggi ci poniamo anche noi in mezzo a quella folla che segue il Maestro dove la conduce, lo ascoltiamo, siamo venuti qui per stare con lui.

Colpisce molto cogliere quella folla che non sembra sentire il tempo che passa, non sembra rendersi conto che si sta facendo tardi, ormai la giornata è passata. Gli unici ad essersene accorti sembrano essere i dodici che invitano Gesù a “chiudere il discorso”, a salutare la folla e lasciarla andare a cercare cibo e alloggio per la notte. Forse dicendo questo, stanno anche cercando di far sì che anche per loro e non solo per la folla ci possa essere un momento di ristoro, di tranquillità insieme con il Maestro.

Gesù però non ci sta, non accoglie questa richiesta molto umana, invece rilancia ai Dodici la necessità di stare accanto fino in fondo a quella folla così bisognosa di cura (non solo fisica, ma soprattutto spirituale: della sua Parola) e chiede che si mettano in campo offrendo quanto hanno a disposizione. La richiesta sembra assurda e come tale, probabilmente, l’avremmo presa anche noi se fossimo stati al posto dei Dodici: com’è possibile sfamare 5000 persone con il poco cibo rimasto che, forse, non sarebbe bastato nemmeno a loro…

Ma Gesù fa bastare quel cibo, a lui basta che noi ci apriamo con disponibilità alla condivisione, non ci chiede di avere tutto ma di mettere a disposizione tutto ciò che siamo e abbiamo, quanto è nelle nostre possibilità o capacità non deve rimanere solo per noi, altrimenti davvero sembra come il cibo dei 12 mai sufficiente, se invece lo offri, ti offri, ti poni con fiducia nelle mani del Signore, allora anche il poco pane che sei tu, può diventare qualcosa che sfama la folla, perché è Lui a fare il resto.

E questo pane basta, non solo, ne avanza pure, ben 12 ceste…

Questo pane è l’Eucarestia che ogni giorno la Chiesa offre su tutti gli altari del mondo, perché Gesù sfami ancora la fame dell’umanità sfinita.

È quanto stiamo celebrando ora e quanto ogni domenica celebriamo insieme: Gesù che si offre in quel pezzetto di pane che è tutta la sua vita, tutto sé stesso, ci riempie di sé perché pian piano possiamo essere sempre più simili a lui… infatti mentre normalmente noi assimiliamo il cibo, cioè mangiando il cibo noi lo rendiamo parte del nostro corpo, con l’Eucarestia avviene il contrario: è Gesù che ci assimila a Lui, che entrando in noi ci rende sempre più simili a Lui e parte del suo corpo, che è la Chiesa.

Affidiamoci a Lui, lasciamoci nutrire fino in fondo dal suo Corpo per essere disponibili ad offrirci a nostra volta per quanti incontriamo accanto a noi.

Di |2016-05-29T19:53:57+02:0029/05/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola domenicale

22 maggio

Solennità della SS. Trinità

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Quest’oggi celebriamo il grande mistero della relazione che unisce il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Si tratta di un mistero che portiamo ogni giorno nei nostri cuori e nelle nostre vite: è quanto pronunciamo ogni volta che ci disponiamo alla preghiera facendo il segno di croce. Quel segno tracciato sulla nostra pelle indica proprio il nostro volerci agganciare in qualche modo a quella relazione così forte e indissolubile.

Abbiamo ascoltato nel Vangelo quanto è forte il legame tra il Padre e il Figlio e quanto è altrettanto forte quello tra i primi due e lo Spirito Santo.

La Trinità ci provoca a riflettere sul nostro modo di amare e di vivere l’incontro con chi abbiamo accanto. Le tre persone della Trinità infatti sono unite nell’amore, ma non schiacciate e soffocate, ci mostrano che l’amore è liberante, non nel senso del fare come se l’altro non ci fosse, ma nel senso agostiniano dell’ “ama e fa ciò che vuoi”, nell’amore verso l’altro, se è amore vero e non invischiamento, non qualcosa di appiccicoso… allora ogni azione compiuta sarà nella direzione di un bene dell’altro, perché l’altro sarà il fondamento della nostra azione. Proprio come abbiamo ascoltato avviene nella Trinità, dove quanto è del Padre è anche del Figlio e lo Spirito viene a dirci tutto quanto avrà udito dal Padre e dal Figlio.

Il Signore ci dia la forza e la grazia di affidarci al suo Spirito di verità perché ci dia la forza di portare il peso della verità, quella vera, quella profonda, non l’assenza delle bugie, ma come sottolineava Heidegger recuperando il senso originario di questa parola, come eliminazione dell’oscuramento, come svelamento di ciò che era nascosto, è lo svelamento di Dio stesso.

Quest’oggi abbiamo già ricordato che per la nostra diocesi ricorre la memoria del beato Luigi Maria Palazzolo, il fondatore delle Suore delle Poverelle. Lui ha saputo fare della sua vita un rendimento di lode e un affidamento totale alla Trinità.

Ha vissuto il suo ministero di sacerdote proprio come un modo di accostarsi agli altri e soprattutto ai poveri e tra questi a quei poveri che non venivano raggiunti da altre forme di aiuto o di sostegno già presenti in città. Il suo stare accanto a loro è stato proprio un vivere pienamente, fino in fondo questo amore libero e liberante, un amore gratuito che si dona fino alla fine per quanti sono nel bisogno.

Si è abbandonato all’aiuto dello Spirito, a quella verità proprio confidando con fiducia, ogni giorno, nel sostegno della provvidenza, riconoscendo che non siamo soli su questa terra ma siamo sostenuti e accompagnati sempre dalla vicinanza di Dio.

Chiediamo anche noi, questa sera, di saperci abbandonare con fiducia in Dio, affinché la sua presenza nella nostra vita sia una presenza libera di portare frutto, anche attraverso le nostre povere azioni.

Di |2016-05-22T13:14:53+02:0022/05/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola domenicale

15 maggio

Solennità di Pentecoste

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Settimana scorsa abbiamo contemplato Gesù che, trascorsi 40 giorni, saluta i suoi discepoli ed è salito al cielo, non per lasciarci soli, ma per essere al nostro fianco in un modo nuovo, diverso…

Ed ecco che oggi, infatti, celebriamo il grande mistero della Pentecoste, della discesa dello Spirito Santo sui discepoli, la promessa di Gesù è stata mantenuta: ha pregato il Padre ed egli ha inviato un altro Paràclito.

Ma la promessa non è finita, lo Spirito non è che scende per vagare senza meta, come chi passeggia senza avere una direzione o una destinazione… lo Spirito scende per prendere dimora nei nostri cuori, nelle nostre vite, scende per rimanere con noi per sempre.

La condizione però è quella che dentro di noi ci sia dello “spazio” perché lì lo Spirito possa prendere casa, e questo spazio si genera dall’amare e dall’osservare la parola che Gesù ci ha consegnato. Questo non deve sembrarci un ricatto: se osservi la mia parola, allora avrai la compagnia dello Spirito Santo, al contrario, è il segno della voglia da parte di entrambi, di Dio per primo e poi da parte mia, di ciascuno di noi, di entrare in relazione di amore con il Signore, di amarlo, di riconoscerlo come il centro della nostra vita, come il senso delle nostre azioni.

Lo Spirito con i suoi 7 doni (sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà, timor di Dio), illumini la nostra vita da battezzati, non ci faccia mai sentire soli, ma sempre guidati e accompagnati dalla vicinanza del Signore, una vicinanza certo discreta, a volte difficile da percepire nel trambusto e nella velocità delle nostre giornate, eppure una vicinanza che segna, che ci cambia se lo lasciamo agire.

Potremmo dire che lo Spirito Santo, per le nostre vite non è come la ciliegina sulla torta, non è un di più, qualcosa che sì ti dà una gioia, ma anche se non ci fosse tu hai già tutta la torta e questa ti basta… no, lo Spirito Santo, per utilizzare la stessa immagine degli atti degli apostoli, è il fuoco, è quel calore che cuoce la torta, che la rende buona, appetitosa, che ci permette di poterla gustare.

Possiamo pensare così anche per la nostra vita: lo Spirito non è un di più in mezzo alle tante cose che già abbiamo o facciamo, una cosa di cui se c’è ci fa piacere ma potremmo benissimo farne a meno perché sappiamo cavarcela da soli, no lo Spirito è ciò che rende buona la nostra vita, è proprio l’azione dello Spirito a renderci capaci di vivere quanto il Signore Gesù ci ha consegnato con il suo Vangelo.

Chiediamo il dono dello Spirito Santo, che venga e faccia cuocere la pasta cruda della nostra vita e ci renda persone buone, che hanno incontrato nel Signore il senso della loro vita.

Di |2016-05-15T09:42:13+02:0015/05/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola domenicale

01 maggio

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Se uno mi ama, osserverà…

Quest’oggi il Signore ci mette di fronte a questo cambio radicale: l’ascolto e l’osservare la parola che lui ci rivolge, non è questione di impegno, di forza di volontà o di rispetto dell’alleanza come intendevano gli ebrei, ascoltare ed osservare la parola sono il frutto dell’amore.

Proprio come ogni persona è disponibile ad accogliere nella sua vita e fare propria la parola di colui o colei che ama in quanto riconosce che quella parola è pronunciata proprio per amore, allo stesso modo siamo chiamati a fare con la parola stessa di Dio. Non ascoltiamo e rispettiamo quanto Gesù ci dice per paura o per tradizione o per convenienza, invece la parola di Dio può far breccia nel nostro cuore, nelle nostre abitudini, nella nostra vita di credenti solo se è sostenuta e alimentata dall’amore per il Signore.

Che bella la promessa che Gesù fa seguire a questo e che abbiamo appena ascoltato: noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Il Signore vuol fare casa con noi, con la nostra vita, vuole vivere nel nostro cuore, non essere un estraneo che incontriamo qualche volta, vuole essere uno di casa, condividere la nostra esistenza, non come un intruso invadente, ma come l’amato.

Gesù inoltre promette l’invio dello Spirito Santo che ci insegnerà ogni cosa e ci ricorderà le parole dette da Gesù stesso. Certo che quei discepoli avevano ancora bisogno di un aiuto forte per comprendere la portata di quelle parole sentite lungo ben tre anni di cammino col maestro, comprendere i suoi gesti, i suoi silenzi, i suoi sguardi…

Ma anche noi, ancora oggi, non possiamo ritenerci esonerati dal bisogno di una vicinanza forte dello Spirito che ci aiuti a comprendere le parole del Maestro, a sentirle vicine alla nostra vita, a sentirci legati a quella parola, non come una catena che imprigiona ma come una cima di un’imbarcazione. La corda che consente di ormeggiare, di rimanere allacciati in maniera sicura alla terra ferma, a quel porto sospirato senza rischiare di lasciarsi andare alla deriva in balìa delle onde. Lo Spirito Santo lo possiamo pensare un po’ come questa corda che ci tiene legati al Signore, con un buon nodo da marinaio, bello sicuro. Ma un nodo lo posso mantenere ben saldo oppure, pian piano, lasciarlo andare, allentarlo poco per volta distaccandomi da quell’amore da quella parola buona che viene rivolta sulla mia esistenza e allora pian piano diventa meno sicuro, finché lo sciolgo, mi stacco dall’ormeggio e divento preda delle onde e del mare. Il Signore ci aiuti a sentire il suo amore per noi e la sua Parola come un attracco sicuro, come un legame di bontà e un vincolo di amore secondo la parola del profeta Osea. Se la sapremo riconoscere così avremo dentro di noi anche la serenità del bimbo che riconosce l’abbraccio del padre e della madre come espressione di amore e non come una gabbia che imprigiona. Questo è il modo in cui Dio ci vuole incontrare e salvare.

Di |2016-05-01T14:21:25+02:0001/05/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola domenicale

24 aprile

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Quest’oggi siamo tornati nel cenacolo, al momento dell’ultima cena, Giuda è appena uscito per andare a tradire, a consegnare il Maestro alle autorità e Gesù parla agli altri suoi discepoli, consegna loro le sue ultime parole, i suoi ultimi insegnamenti, il suo testamento potremmo dire…

Anzitutto Gesù non recrimina, non si mette ad accusare o a giudicare il traditore, invece considera quel momento come proprio quello della glorificazione, della manifestazione al mondo intero del senso della sua incarnazione, del suo essersi fatto uomo per la nostra salvezza, ci mostra fino a che punto si spinge l’amore di Dio per l’umanità: fino alla croce; ed è proprio lì, nel tradimento, nell’ingiusta accusa, nella morte dell’innocente che si manifesta la gloria di Dio.

Possiamo quindi dire che la glorificazione di Dio si ha nella massima espressione del suo amore per noi, nel momento nel quale ci ha dimostrato la misura del suo amore. Ci ha detto che quel “come io ho amato voi” non è un amore a poco prezzo, un amore facile, l’amore di simpatia… si tratta invece di un amore che è costato la vita, un amore che è arrivato fino in fondo, fino al massimo, fino alla vita…

E questa è la misura e la forma dell’amore che chiede anche a ognuno di noi, non un amore semplicemente di vicinanza per qualcosa che ci accomuna, perché abbiamo le stesse passioni o siamo in sintonia gli uni con gli altri… non è nemmeno l’amore di facciata… quell’amore fatto di convenevoli, di maniere garbate ma fredde e distaccate, di sorrisetti impersonali di chi fa finta di voler bene all’altro. Non è questo l’amore che deve caratterizzare i discepoli del Maestro morto per amore… lui non ha fatto finta, non è morto solo per quelli che se lo meritavano… Gesù ci chiede di amare “con passione”, disposti anche a soffrire per le persone che abbiamo intorno, per il loro bene, per la loro crescita.

Questo è l’amore che Gesù ci ha mostrato in tutta la sua esistenza… non un amore diplomatico di chi tace le cose scomode così da non avere storie con nessuno, questo non è amore ma è essere indifferenti agli altri, è salvaguardare la propria faccia, il proprio quieto vivere affinché nessuno abbia a disturbarci.

Amare gli altri vuol dire implicarsi nella loro storia, sporcarsi le mani per loro e con loro, avere anche il coraggio di dire quando le cose non vanno o non sono nella direzione del bene.

Il Signore ci dia la grazia di amare i nostri fratelli così, come lui ci ha mostrato, sentendoceli come una parte insostituibile della nostra esistenza, riconoscendo che lui ce li ha posti accanto. Ci aiuti a comprendere in ogni situazione cosa vuol dire amare il nostro fratello, quali sono i comportamenti che vanno nella direzione dell’amore e quali sono quelli dell’indifferenza, del cuore chiuso, della distanza… il Crocifisso Risorto ci mostri ancora una volta la via per essere veramente e fino in fondo Comunità che si riunisce nel suo nome, nel nome di lui che è l’Amore, quello vero, quello con la A maiuscola.

Di |2016-04-24T09:51:28+02:0024/04/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola domenicale

17 aprile

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Il vangelo di oggi quanta tenerezza ci trasmette: il Signore Gesù ci chiama sue pecore… pecore, non pecoroni…

Anzitutto la tenerezza ci arriva dal fatto che la pecora è un animale non pericoloso, un animale docile… ma non solo questo, non siamo pecore qualunque, confondibili con altre, ma ci definisce SUE pecore… vuol dire che Lui ci tiene a noi, ci vuole bene, vuole il nostro bene, proprio come il pastore che vuole il bene per le proprie pecore, cerca per loro il pascolo buono e non pericoloso, cerca per loro l’acqua, offre loro un luogo di rifugio in caso di pioggia o comunque al riparo dagli animali feroci.

Mi colpisce anche un’altra caratteristica che Gesù sottolinea delle sue pecore: ascoltano la sua voce. Questa è la prima caratteristica che Gesù chiede alle sue pecore: avere un orecchio sintonizzato sulla sua voce, capace di riconoscerla in mezzo alle mille altre che il mondo ci butta nelle orecchie… la sua è una voce particolare, non urla, non è un frastuono, ma è la voce di chi ti ama, di chi ti vuole tenere accanto a sé, perché solo lì c’è la possibilità di una vita vera e piena.

La seconda caratteristica ha il sapore di una reciprocità: io le conosco… ascolto perché sono conosciuto, la voce mi cerca, mi raggiunge proprio perché sono conosciuto dal pastore fino in fondo. È una novità quella che ci viene posta davanti: un Dio che si interessa dell’umanità, ma non dell’umanità in generale ma al nostro Dio, al nostro pastore, al Signore Gesù interessa ciascuno di noi in maniera particolare, ogni pecora come tale è diversa dalle altre ed è amata da Lui. Il suo amore per noi non è un amore generico ma un amore concreto per me, per te…

E l’effetto di questo amore, di questa relazione reciproca è la sequela: esse mi seguono.

La pecora che si riconosce amata sente anche la necessità di seguire il suo pastore, percepisce che solo il pastore è in grado di condurla verso un luogo buono, verso la felicità, verso la salvezza.

Sì perché nessuno strapperà noi, sue pecore, dalla sua mano… e la sua non è una mano qualunque, è la mano onnipotente di Dio… infatti Gesù sottolinea ancora di più la protezione, quando afferma che lui e il Padre sono la stessa cosa, vuol dire che la sua mano e quella del Padre sono la stessa mano che ci prende, ci protegge, ci custodisce, proprio come il papà che tiene per mano il suo bambino e la forza del suo amore fa sì che nessuno possa strapparglielo dalla mano, così il Signore ci tiene nella sua mano, la forza del suo Amore ci tiene ancorati a lui e al sicuro.

Di |2016-04-18T18:43:22+02:0018/04/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola domenicale

10 aprile

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Dopo la duplice manifestazione di Gesù che ci è stata raccontata settimana scorsa, i discepoli sembrano aver perso nuovamente la speranza, sembrano aver dimenticato già la resurrezione e i tre anni trascorsi in ascolto del Maestro, al punto da voler tornare alla loro vita precedente, un po’ un voltar pagina, quasi che quel periodo di tempo fosse stato una specie di intervallo tra due momenti della loro vita… certo un periodo suggestivo, emozionante… una voce che conquista, dei gesti che affascinano… ma ora che tutto è finito si torna a fare quanto si è lasciato sulla riva di quel lago… si torna a pescare, certo magari con un po’ di nostalgia ma comunque bisogna essere concreti e riconoscere che il maestro è morto, è stato fatto tacere, per di più che aiuto sono stati capaci di dargli quei suoi amici? Chi l’ha tradito (e ormai si è tolto la vita), chi l’ha rinnegato, chi è fuggito… probabilmente una buona dose di senso di colpa appesantisce l’animo di questi discepoli che tornano al loro vecchio impiego: la pesca.

Peccato che quella notte di fatica non porti proprio a nulla, il lago non restituisce nulla da mangiare, al punto da far fare loro quella figuraccia di fronte a quel viandante sulla riva: 7 pescatori, dopo una notte intera di lavoro… e neanche un pesce da poter mangiare? Ma che pescatori sono?

Sono certamente pescatori fiduciosi, che hanno imparato in quei tre anni a fidarsi della Parola che veniva loro rivolta e… all’invito a gettare ancora una volta la rete rispondono fiduciosi eseguendo la richiesta… e la rete questa volta si riempie al punto da non riuscire più a tirarla su.

E il discepolo amato riconosce che quel viandante sulla riva in realtà è nuovamente il Signore che si fa loro vicino lì dove sono. Chissà se quelle reti gettate in un certo senso sono il segno che il cuore arriva prima della testa: i discepoli non l’hanno riconosciuto ma hanno obbedito a quell’invito di un estraneo…

Ma Gesù ha già preparato da mangiare, sì lui viene a donarci il suo cibo, a nutrire la nostra vita, però in un certo senso non vuole fare tutto da solo, ha bisogno della nostra partecipazione, della nostra responsabilità e impegno, non possiamo sottrarci dal fare tutto quanto è nelle nostre possibilità aspettando che faccia lui al nostro posto, noi siamo chiamati a metterci tutto quanto possiamo, il nostro sforzo a buttare quelle reti, la nostra fiducia sulla parola, poi lui fa il resto dando un di più ai nostri sforzi.

Al termine della cena, poi fa – potremmo dire – l’ennesimo miracolo di guarigione… sì guarisce il cuore dei discepoli da quel senso di colpa e di frustrazione per essere stati lontani dal maestro nel momento della sofferenza. La triplice domanda a Pietro e la riconferma di quel “seguimi” pronunciato al momento della chiamata, sono il segno che la fiducia non si è spenta e che il cammino non è concluso ma ora si apre veramente, nel riconoscimento di quel di più che lui offre ai nostri sforzi.

Questa guarigione darà la forza ai discepoli di annunciare quanto abbiamo ascoltato nella prima lettura quando Pietro dice la necessità di obbedire a Dio invece che agli uomini… è la forza di questa guarigione a permettergli di parlare così riconoscendo che questa è pura grazia di Dio e non forza umana.

Il Signore ci aiuti a riconoscere nella nostra vita il di più che viene ad offrirci e risani i nostri cuori dai sensi di colpa o dai risentimenti che portiamo dentro, perché un cuore libero è un cuore capace di accogliere la forza stessa di Dio.

Di |2016-04-10T08:16:06+02:0010/04/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola domenicale

03 aprile

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Sentiamoci anche noi, questa sera, come il gruppo dei discepoli. Sono passati 8 giorni dalla Pasqua e siamo qui riuniti, forse noi non siamo qui per timore di qualcuno… anzi magari al contrario qualcuno rischia di lasciarsi suggestionare dai fatti della cronaca e dal tam tam mediatico e si sente sorgere il timore e la paura non tanto di stare fuori, come per i discepoli, ma la paura di stare dentro queste mura…

Comunque siamo qui riuniti e Gesù anche questa sera torna, si presenta in mezzo a noi. Anche noi come i discepoli riceviamo il dono della pace, quella pace che scorre abbondante verso di noi, per risanarci dall’interno, per rappacificare anzitutto noi stessi, i nostri affetti, i nostri pensieri… un uomo o una donna in pace con sé stessi saranno più facilmente in pace anche con quanti hanno intorno, sono la base per costruire una pace più ad ampio raggio, una pace capace di raggiungere il mondo intero.

E dopo averci offerto la pace, Gesù si presenta a noi come è veramente e come siamo chiamati a riconoscerlo: il Crocifisso-Risorto. Quei segni che Tommaso chiede e che Gesù mostra in entrambe le apparizioni, sono proprio – in un certo senso – la nuova carta d’identità di Gesù. Non si può più guardare il maestro e non vedere in lui la passione, morte e risurrezione.

Con quel semplice gesto, Gesù ha affermato che la passione non è stata una semplice messa in scena, Gesù portando le piaghe nel suo corpo glorioso ci dimostra quanto è costato amarci fino alla fine, fino al dono della sua vita per noi. Non si può quindi guardare la risurrezione di Gesù scordandoci della sua passione e morte. Gesù è il Risorto anzitutto perché è il Crocifisso, perché non si è tirato indietro ma è rimasto fedele fino alla fine non scendendo da quella croce. Che cosa straordinaria. Dio si è lasciato segnare dalla storia dell’umanità. Dio non possiamo più sentirlo lontano dalla nostra storia dalla nostra esistenza, dalla nostra vita perché di quella storia ha impresso le piaghe nel suo corpo.

Chiediamo anche noi la grazia al Signore di riconoscerlo nel suo essersi offerto a noi fino in fondo e nel suo aver in questo modo sconfitto la morte e averci aperto le porte della vita eterna. Come Tommaso, anche noi pronunciamo quella bellissima professione di fede: “Mio Signore e mio Dio”. Magari mentalmente nel momento in cui alzerò il pane e il calice durante la consacrazione, lì avremo modo di riconoscere che il Signore Gesù si è offerto fino in fondo per noi e in questo modo ha sconfitto la morte e si dona a noi come l’autentico pane della vita, cibo del cammino.

Di |2016-04-04T15:30:47+02:0004/04/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

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27 marzo

S. Pasqua

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Il Vangelo che abbiamo appena ascoltato ci mette di fronte ad un fatto inaudito, inatteso e insperato, qualcosa che fatica a farsi spazio nel cuore della povera Maddalena e pure degli stessi discepoli: la tomba è aperta e vuota.

La prima constatazione, molto razionale e ferma a quanto gli occhi possono vedere è il fatto proprio che quel corpo deposto esanime dalla croce nel tardo pomeriggio del venerdì e lì deposto con ogni cura, ora non c’è più. Il primo pensiero è quello che quella soluzione provvisoria a causa della festa imminente sia già stata risolta e che qualcuno abbia preso il corpo e l’abbia messo in un altro sepolcro.

E allora va, cerca i discepoli, si confida con loro, consegna loro questa triste constatazione, “non sappiamo dove l’hanno posto”, quel frammento di ricordi, di sentimenti, che rappresenta il corpo dell’amato maestro, non c’è, non si potrà andare a rendergli omaggio, tornare a quella tomba per sentirlo ancora un po’ vicino…

Sentita l’affermazione i due discepoli partono subito, corrono al giardino, al sepolcro per cercare di comprendere meglio il senso di quei vaneggiamenti della Maddalena… ma quella corsa non è tanto la corsa fisica di chi ha fretta perché bisogna fermare colui che ha trafugato il corpo, è la corsa della fede, non hanno ancora compreso la Scrittura, eppure – mi vien da dire – nel loro cuore c’è già il seme della Parola gettata da Gesù nei suoi 3 anni di predicazione, è la corsa della ricerca del cristiano, di quell’attesa, quell’anelito verso il Signore della nostra vita.

Che bello, quanta gioia, che meraviglia varcare la soglia di quel sepolcro e lasciare che quel vuoto, che quei teli e il sudario abbandonati nel luogo della morte, aprano il cuore alla grandezza della fede. Vide e credette. Vede una tomba vuota, vede un’assenza lì dove, invece, sarebbe stato lecito attendersi la presenza di un corpo senza vita.

Anche noi ci lasciamo toccare quest’oggi, primo giorno della settimana, che per noi cristiani prende senso proprio da questo grande evento della risurrezione. Lasciamo che quella tomba vuota tocchi il nostro cuore. Non ci viene raccontata nessuna apparizione, il Signore non c’è nel racconto appena ascoltato, eppure la sua Parola e la Scrittura illuminano questo evento, e allora ciò che è inaudito, inatteso e insperato – per riprendere i termini citati all’inizio – ecco che diviene quel grande annuncio che da 2000 anni noi cristiani stiamo gridando al mondo intero che il Signore della vita era morto; ma ora, vivo, trionfa. Sì, ne siamo certi: Cristo è davvero risorto. Chiediamo al Signore che riscaldi il nostro cuore, e ci faccia entrare con tutto noi stessi in questo grande mistero nel quale crediamo.

Buona Pasqua nel Signore a tutti

Di |2016-03-27T08:13:40+02:0027/03/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola domenicale

13 marzo

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Con il brano di Vangelo appena ascoltato ci troviamo nuovamente di fronte ad un tentativo da parte degli scribi e dei farisei di tendere una trappola, un tranello a Gesù, lo afferma l’evangelista stesso, quando subito dopo la loro enunciazione dell’accusa scrive: Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. La povera donna è stata resa oggetto di disputa, potremmo dire che in fin dei conti, agli accusatori non importava così tanto ciò che la donna aveva commesso, tanto meno verificarne la veridicità. A loro fa comodo la scusa per incastrare il Maestro.

Gesù però non è sprovveduto e subito riconosce che la questione è tutta una scusa per accusare lui e non lei, che rimane una vittima delle brame di quegli uomini.

Sembra in questo riecheggiare un altro fatto simile nella bibbia, la storia di Susanna, accusata ingiustamente da due anziani dello stesso peccato, per la loro bramosia e salvata dal giovane Daniele che non crede alla testimonianza dei due anziani.

Nel caso evangelico le brame degli accusatori non sono nei confronti della donna, ma potremmo dire che si rivolgono verso Gesù. Il Maestro si china per terra e si mette a scrivere, lo farà per ben due volte, il dito di Dio scrive ancora, come scrisse nell’A.T. le tavole della Legge, ora scrive per la salvezza di quella donna.

Gesù non esprime nessun giudizio nei confronti della donna, rivolge invece il suo sguardo e la sua parola anzitutto verso gli accusatori e li invita a smettere di puntare il dito, la pietra, verso il loro prossimo, ma a guardarsi un po’ dentro riconoscendo la necessità per ciascuno di incontrare la misericordia del Padre.

Ed è bello il fatto che si china una seconda volta, dopo questa provocazione: a Gesù non interessa accusare, nemmeno stare a guardare la faccia sconfitta dei suoi avversari o il loro andarsene con la coda fra le gambe… guardarli ulteriormente avrebbe significato accusarli apertamente, invece Gesù vuole liberare, non accusare o opprimere con il peso del peccato gli uomini. Credo che sia bello, che come settimana scorsa il Padre è uscito due volte dalla casa andando incontro ad entrambi i figli, così oggi Gesù offre la libertà a tutti: alla donna, che viene liberata dal giudizio altrui e dal suo peccato perché nemmeno Gesù la condanna, pur dicendole di non peccare più; allo stesso tempo libera anche quegli uomini dal loro farsi giudici del prossimo, dal sentirsi a posto. Il Signore ci faccia percepire il gusto della libertà, che non è fare ciò che voglio come abbiamo colto settimana scorsa dal figlio che se n’è andato di casa, ma è accogliere sulla nostra vita quella parola di Gesù che ci invita alla conversione, a non peccare più, non lasciandoci schiacciare dall’oppressione delle nostre colpe ma riconoscendo che lui ci dona la forza di rialzarci e ci invita a non peccare più, a non ricadere sotto la schiavitù del peccato.

Di |2016-03-14T14:38:13+01:0014/03/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale
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