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Commento alla Parola domenicale

06 novembre

XXXII domenica del Tempo Ordinario

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Quest’oggi ci troviamo di fronte ad una delle sette ebraiche, quella dei sadducei, che come sottolinea Luca era caratterizzata, fra le altre cose, dal non credere nella risurrezione. Si rivolgono a Gesù per cercare di metterlo in ridicolo, per dimostrare che loro hanno ragione a non credere che ci sia una vita dopo la morte e allora provano a mettere in scena la storia di quella donna che non riesce ad avere figli da nessuno dei suoi 7 mariti.

Certo che se si parte dalla prospettiva che la vita futura altro non sia che il prolungamento migliorato di quella presente, si cade nel ridicolo, si vede come impossibile la risurrezione. Gesù infatti non cade nel tranello né di rispondere direttamente alla loro domanda, né di descrivere come sarà la vita futura.

Potremmo dire che Gesù non risponde alla domanda “come sarà?” bensì offre una riflessione su Colui che ci assicura la vita eterna, potremmo quindi dire che non risponde al “come” ma al “con chi?”.

Gesù ci assicura che la morte non pone la parola fine sulla nostra esistenza, non c’è il nulla dopo la morte, non c’è nemmeno una realtà che in qualche modo scimmiotta quella attuale… anche se noi a volte abbiamo un po’ bisogno di rappresentarcela così perché non siamo in grado di descriverla in modo diverso. La vita eterna, la risurrezione implica la condizione di chi può contemplare eternamente il volto del Padre, quel volto che Gesù ci ha reso visibile con la sua stessa esistenza, quel volto amorevole e misericordioso che ci accoglie proprio perché Dio non è dei morti ma dei viventi.

Questa domenica, inserita egregiamente nel periodo nel quale abbiamo celebrato i Santi e i morti, ci aiuta ulteriormente ad aprire i nostri occhi all’orizzonte della speranza, quella speranza che non illude e non delude ma quella speranza che ci proietta sulla gioia di sentirci accolti da un Padre che ha cura di noi, che non smette di amare nemmeno dopo la morte, anzi per il quale la morte è quel passaggio che ci permetterà di vivere pienamente con lui.

Allora forse non sarà tanto questione di avere delle montagne sulle quali poter andare… o di avere moglie o marito ma la nostra esistenza si innesterà in Dio stesso.

Paolo conclude la seconda lettura di oggi dicendo che il Signore guidi i vostri cuori all’amore di Dio e alla pazienza di Cristo, sì ci guidi a questo a quell’amore di Dio che non finiremo mai di sperimentare e di accogliere fino in fondo fino al giorno in cui saremo riuniti tutti con lui, allora sì quell’amore porterà frutti pieni in ciascuno di noi.

Di |2016-11-05T15:17:45+01:0006/11/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola domenicale

30 ottobre

XXXI domenica del Tempo Ordinario

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Che agitazione si respira per le strade di Gerico… il Maestro è arrivato, sta attraversando la città. Tutti accorrono, tutti lo vogliono vedere, incontrare, ascoltare la sua parola… magari avere la prova diretta di qualche miracolo compiuto…

Buoni e cattivi, praticanti e peccatori, tutti si ammassano lungo le strade, non si può mancare a questo evento. In mezzo a tutti, o meglio, dietro a tutti ecco un ometto piccolino che gli altri scansano, che nessuno lascia passare anzi che cercano di tenersi alla larga. Si tratta del capo dei pubblicani, dell’esattore delle imposte complice degli usurpatori romani e che vive nella ricchezza a scapito dei suoi fratelli ebrei.

Ma lui non si arrende. Non sappiamo bene cosa lo spinga a voler incontrare Gesù, quali attese riempiono il suo cuore da quel passaggio, ma lui è lì e per nulla al mondo si lascerà sfuggire l’evento. Ha quasi il sapore della macchietta il vederlo salire, arrampicarsi su quella pianta per poter guardare dall’alto Gesù. Tra l’altro, da quella posizione nessuno potrà notarlo, sarà lì tranquillo, può vedere tutto senza essere visto… perché chi mai si prenderà la briga di alzare gli occhi in mezzo alle foglie di quella pianta?

Ma… potremmo dire… colpo di scena… qualcuno gli occhi li alza… il Maestro, così circondato di persone che gli si accalcano addosso, alza il suo sguardo e incrocia quello di Zaccheo. Che emozione, Gesù si è accorto di lui… non solo, ma gli rivolge anche la sua parola, lo chiama e… lo chiama per nome! Chissà quanto gli batteva forte il cuore in quel momento.

Vorrei soffermarmi su quello sguardo avvolgente del Maestro, lo sguardo di Dio sulla mia esistenza è uno sguardo che sempre mi porta ad uscire da me stesso, dal mio arroccarmi sulla mia pianta sicura, dalla quale posso guardare tutto e tutti e magari anche permettermi di giudicare da fuori… sono quelle barriere, quelle false sicurezze delle quali ci circondiamo per difenderci da chi ci sta intorno e, magari… anche dal Signore stesso.

Ma il Signore volge lo sguardo su ciascuno di noi, se noi cerchiamo di incrociare il suo. Che bello, mi pare quasi la trasposizione del Vangelo di settimana scorsa, la parabola dei due uomini che salgono al tempio a pregare, uno vede solo sé stesso e non incontra Dio, invece il peccatore incrocia lo sguardo misericordioso di Dio e si apre all’azione della sua grazia che si rivolge proprio verso di lui.

Così è per Zaccheo, da lassù incrocia lo sguardo benevolo e misericordioso di Gesù e lascia che lui gli cambi il cuore e la vita, al punto di dare la metà dei beni ai poveri e rimediare verso quanti aveva frodato.

Anche noi, oggi, sentiamoci avvolti dallo sguardo di Gesù, accettiamo di porre gli occhi del nostro cuore nei suoi occhi, lasciamo che lui venga nella nostra vita, ospitiamolo nella casa del nostro cuore e lui ci offrirà una vita diversa, un modo nuovo di sentirci uomini e donne fino in fondo perché la sua grazia allargherà il nostro cuore e la nostra vita rendendoli sempre più simili a Lui.

Di |2016-10-30T09:55:02+01:0030/10/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

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09 ottobre

XXVIII domenica del Tempo Ordinario

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Siamo in cammino verso Gerusalemme e Gesù incontra un gruppo di lebbrosi che lo supplicano di essere guariti: “Gesù, maestro, abbi pietà di noi!”. A prima vista il Maestro sembra mantenere le distanze, disinteressarsi della loro situazione, sembra quasi chiamarsi fuori e rinviare il problema a qualcun altro… Andate dai sacerdoti… spettava infatti a loro il definire lo stato di malattia o di guarigione rispetto a questa malattia.
Ma Gesù non è stato indifferente, la guarigione avviene lungo la via, lungo quella strada che i 10 percorrono con fiducia in nome del maestro… che senso avrebbe avuto andare infatti dai sacerdoti se la lebbra non fosse stata guarita? La loro fiducia, la loro fede permette che il miracolo avvenga, ma mentre 9 sono obbedienti al maestro, ecco che uno disobbedisce e vistosi guarito fa dietro front e decide di ritornare da Gesù per esprimere la sua riconoscenza.
Mi piace l’ambivalenza di questo termine: esprime riconoscenza nel senso che esprime il suo grazie al maestro per la guarigione, ma non solo esprime il suo aver riconosciuto che è opera misteriosa eppure straordinaria di Gesù il suo stato di guarigione.
E Gesù potremmo dire che loda la disobbedienza… il lebbroso è andato contro la legge tornando da Gesù e anche contro le indicazioni che il Maestro stesso aveva dato ai 10 malati.
È straordinaria la sottolineatura che Luca ancora una volta ci offre: il samaritano guarito anzitutto loda Dio a gran voce per il dono della sua guarigione, poi ringrazia Gesù.
Quanti doni ci offre Dio all’interno della nostra vita, quante volte, come quei 10 veniamo guariti o ci riconosciamo di essere stati oggetto di cura da parte di Dio… diciamo lungo la strada, lungo il cammino di ogni giorno, magari non durante la preghiera, ma in un altro momento e magari nemmeno con il dono che chiedevamo… ad esempio la guarigione nostra o di un nostro caro, ma magari con il dono di saper portare il peso della nostra situazione… i tempi e i modi dell’azione del Signore non corrispondono spesso alle nostre attese e si manifestano nell’ordinarietà della strada che percorriamo.
Ogni domenica torniamo alla sua mensa, qui a celebrare l’Eucarestia attorno al suo altare proprio per esprimere il nostro rendimento di grazie, la nostra lode al Signore per i benefici ricevuti nella nostra vita. Sia questo lo stile delle nostre celebrazioni: una lode e una riconoscenza a Dio per le meraviglie operate in ciascuno di noi.

Di |2016-10-09T09:12:58+02:0009/10/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

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02 ottobre

XXVII domenica del Tempo Ordinario

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Quanto siamo portati a misurare noi uomini, a valutare, soppesare, giudicare… non solo gli altri o ciò che avviene intorno a noi, ma perfino noi stessi. La domanda posta dagli apostoli fa intravedere proprio questo, la necessità della misurazione per cui sentendosi mancanti si trovano a chiedere al Maestro che accresca la loro fede…

Peccato che la fede non è come la farina, non può andare né a peso né a quantità o volume… al punto che Gesù risponde dicendo che basterebbe una fede piccolissima per fare cose grandissime… stiamo però attenti ancora una volta all’uso delle immagini che fa Gesù… perché credo che nessuno di noi abbia mai detto ad una pianta di sradicarsi… o sia mai riuscito a farlo qualora ci avesse provato… ma non per questo forse, dobbiamo abbatterci dicendo di non aver fede.

La fede significa abbandono in Dio, riconoscere che non sono io ma è Lui a guidare ed orientare la mia vita. Quando riesco ad accogliere ed accettare questo, quando non voglio essere pilota e navigatore, mappa, bussola e meta della mia vita… allora riesco a lasciare posto perché la grazia di Dio possa agire in me facendo anche cose grandi, facendomi vivere esperienze che non mi sarei aspettato, aprendo il mio cuore alla gratitudine e alla gratuità di chi si riconosce donato e non “dovuto” al mondo.

E così ecco entrare in gioco la seconda parabola. Dio non è il nostro padrone che cinicamente chiede al servo stanco di lavorare ancora per lui che se ne sta in panciolle a godere della sua ricchezza; l’immagine ci rimanda invece alla dedizione di quel servo che si offre interamente per il suo Signore. Si tratta di quella gratitudine e gratuità di cui accennavo prima. Il servo, il cristiano pone tutta la sua esistenza nelle mani e nella misericordia del Signore il quale non spadroneggia su di noi, ma ci avvolge di amore.

Ponga il Signore nel nostro cuore la mansuetudine, la docilità, la gratitudine di chi riconosce di aver posto il senso della sua esistenza in mani sicure, di chi comprende che il Signore non tradisce, non ti abbandona, ma ti assicura ciò di cui hai bisogno.

Quanta libertà serve per pronunciare quella frase finale: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”. Ci libera da noi stessi e dai condizionamenti che abbiamo intorno, ci aiuta a riconoscere che il di più viene fatto non da noi, dal nostro impegno, dai nostri programmi, ma è la grazia di Dio che dona compimento alla nostra esistenza e diviene mèta della nostra vita purché le permettiamo di essere bussola della nostra esistenza.

Di |2016-10-02T13:08:59+02:0002/10/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

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25 settembre

XXVI domenica del Tempo Ordinario

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Quest’oggi il Vangelo ci ha proposto una parabola, non un racconto reale… Gesù utilizza delle immagini che ci aiutano a capire, non fermiamoci però alle immagini stesse, altrimenti il rischio è di confondere l’inferno con un vulcano o una sauna… ma non fermiamoci nemmeno alla semplice regola del contrappasso dantesco per cui nell’aldilà avrai l’opposto di quanto hai avuto o vissuto su questa terra…

Per prima cosa credo che tutti abbiamo notato come il ricco non ha nome, mentre il povero si chiama Lazzaro. L’assenza del nome del ricco ci aiuta a metterci nei suoi panni, a riconoscerci in lui quando anche noi mettiamo davanti agli altri oppure davanti al Signore o al senso della nostra vita le ricchezze, quasi che siano le ricchezze a renderci interessanti… a darci valore… invece noi valiamo proprio perché siamo dono di Dio e non per le ricchezze che possiamo in qualche modo esserci conquistati su questa terra… siamo molto più importanti noi come persone rispetto alle cose che abbiamo o alla posizione che ricopriamo… eppure questo spesso è riconoscibile solo da coloro che non hanno molte cose e comprendono che il dono più grande è proprio la loro stessa vita.

Inoltre ci stupisce l’indifferenza del ricco nei confronti di Lazzaro che siede alla sua porta… sembra quasi non vederlo, accecato da quei soldi, da quei banchetti e feste che sono diventati ormai il tutto della sua vita… i cani si accorgono di Lazzaro, il ricco no!

Ed ecco che entrambi muoiono ma l’esito della morte è diverso per i due: colui che si è sempre affidato alla sua ricchezza, che ha creduto di essere autosufficiente, di bastare a sé stesso senza bisogno di un Altro, di Dio… ecco che si ritrova potremmo dire con una zavorra nelle tasche e scende… negli inferi, lontano dal volto di quel Dio del quale non ha mai voluto incrociare lo sguardo. Invece Lazzaro, che ha vissuto della provvidenza, che si è affidato al Signore, ecco che viene portato in Paradiso. Possiamo dire che la scelta fatta nel corso della vita ha bloccato le mani persino a Dio… chi non ha voluto stare con lui non verrà obbligato a farlo per l’eternità… misericordia allora non vuol dire colpo di spugna sull’esistenza in questa vita… il Signore non ci prende per il collo a volergli bene, ma basta una briciola di amore per lui che tutto cambia, basta ascoltare quanto Lui ci offre nella sua Parola e nel suo Figlio risorto per noi ed ecco che il suo cuore si scioglie, la sua misericordia trova lo spazio di agire. Il Signore non ci trovi con il cuore freddo e indifferente verso quanti ci passano accanto ma ci aiuti ad aprire gli occhi su di loro e a riconoscerci tutti figli suoi, bisognosi del suo abbraccio di Padre.

Di |2016-09-24T14:04:17+02:0025/09/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

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18 settembre

XXV domenica del Tempo Ordinario

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Proprio in questa domenica nella quale la Chiesa italiana si pone accanto alle popolazioni terremotate esprimendo la propria solidarietà concreta attraverso la colletta nazionale: una raccolta di denaro da destinare a quanti hanno perso tutto perché possano in qualche modo ripartire… proprio oggi, il Vangelo ci parla di ricchezza, di utilizzo dei beni di questo mondo.

Per prima cosa la parabola iniziale non ci vuole insegnare come truffare in questo mondo… ma si tratta di un paragone per assurdo… cioè come i disonesti nel mondo riescono ad essere scaltri nel ricercare una via di salvezza e la imboccano con molto coraggio, così anche noi cristiani siamo invitati a riconoscere la via di salvezza che abbiamo davanti e che consiste proprio nella fedeltà al Signore… sì, siamo in qualche modo trovati mancanti, disonesti… abbiamo molto peccato, eppure il Signore ci offre la via di salvezza: fidarci di lui, consegnarci ancora una volta a lui e al suo amore misericordioso…

Ecco che Gesù ci invita non a diventare disonesti… perché la disonestà non ripaga nemmeno quando credi di averla fatta franca… puoi essere rimosso dal tuo incarico, da quella sedia che tanto ti sei imbottito sotto in ogni momento… attento sempre a non far diventare un incarico che hai o un servizio che svolgi o un dono che ti è fatto… un diritto da brandire di fronte agli altri… perché prima o poi ti verrà chiesto conto se hai fatto di quel posto, di quell’incarico un’occasione di salvezza tua e degli altri o un’occasione per spadroneggiare.

Così, allora, è per il denaro, per la ricchezza in generale… se diventa il fine della nostra esistenza, l’idolo per il quale compiamo ogni nostra azione, questo ci allontana dal Signore, come quell’amministratore allontanato dal suo padrone perché il cuore era disonesto, attaccato appunto al denaro… se invece i beni che abbiamo li sappiamo condividere con gli altri, renderli strumento per incontrarci, per relazionarci, per volerci bene e aiutarci, allora questi beni ci apriranno le porte delle dimore eterne, ci apriranno la porta del paradiso…

Non potete servire Dio e la ricchezza è l’annuncio finale fatto da Gesù: se la ricchezza diventa un idolo da servire, allora ci allontana dal Signore e dalla possibilità della salvezza, se invece ci apriamo alla comunione e condivisione con gli altri, questa ricchezza diventa un aiuto che ci è messo a disposizione in questa vita per preparare il nostro cuore a fare spazio al vero Signore della nostra esistenza.

Di |2016-09-18T13:06:58+02:0018/09/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

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11 settembre

XXIV domenica del Tempo Ordinario

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Quanta gioia in cielo… tutte le parabole raccontate da Gesù nel Vangelo di oggi, sembrano andare in questa direzione: quella della gioia per il ritrovamento o il ritorno del peccatore.

Gesù seduto a mangiare con i peccatori è proprio il segno concreto di quella ricerca che il pastore fa, di quel ribaltare la casa come quella donna che non trova più la sua moneta, il segno dell’attesa trepidante del padre che confida nel ritorno del figlio che se n’è andato di casa, che se n’è andato lontano da lui…

È proprio l’esperienza del peccato, quella che ci fa perdere, ci fa allontanare pensando e illudendoci di aver in mano noi la ricetta giusta per la nostra vita, di sapere cosa è meglio per noi… come la pecora che lascia il gregge, che ha rivolto il suo sguardo verso altro che non fosse il pastore, non si è fidata di lui e si è dispersa nel deserto, così per quella moneta nascosta nelle fenditure di un pavimento sconnesso come poteva essere quello di una casa dell’epoca di Gesù…

O come il figlio che non riconosce più il padre e chiedere di avere l’eredità prima della morte del genitore per cercare il senso della propria esistenza da un’altra parte, lontano dalla casa che si è presa cura di lui…

La tentazione dell’allontanamento da Dio, della ricerca di altro, di una libertà che ha più il sapore della rivendicazione di un personalismo che non la piena realizzazione di sé.

Ma Dio non ci abbandona, rimane dalla nostra parte, ci viene a cercare se ci siamo smarriti, ci attende fiducioso se abbiamo deciso di andarcene…

Ha mandato in mezzo a noi suo figlio proprio come segno di questa ricerca di quanti si sono persi sulle strade del peccato, ha annunciato a tutti gli uomini che l’essersi smarriti o allontanati da lui non è un per sempre, ma lui è misericordioso, il suo cuore è inquieto finché non torniamo a lui e quando questo avviene? Allora c’è festa… fa festa il pastore, fa festa la donna, fa festa il padre…

L’unico a non voler far festa è il fratello maggiore, il quale più che figlio si sente servo e cova nel suo cuore un risentimento grande nei confronti del padre, sono proprio quei farisei che mormorano contro Gesù e il suo atteggiamento misericordioso e accogliente.

Il Signore metta nel nostro cuore la sua stessa gioia per ogni volta che ritorniamo a Lui, che riconosciamo solo in Lui la guida sicura per il nostro cammino, chiediamogli quindi la grazia di essere misericordiosi con noi stessi, il che non vuol dire vivere nel lassismo, ma riconoscere che cambiare si può e che ritornare al Padre significa incontrare il suo abbraccio amoroso. Ma non solo, chiediamogli la grazia anche di saper essere misericordiosi verso i nostri fratelli, entrando a fare festa per il loro ritorno.

Di |2016-09-11T09:44:38+02:0011/09/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

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04 settembre

XXIII domenica del Tempo Ordinario

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Quest’oggi Gesù ci sembra particolarmente esigente, per ben tre volte sottolinea la frase “non può essere mio discepolo”… sì, ci sta portando a riconoscere le condizioni per poterlo seguire, per far sì che il camminare dietro a lui sia autentico discepolato e non solo una scampagnata… e questo lo possiamo comprendere dall’incipit del brano, quando Luca ci sottolinea che una folla numerosa andava con Gesù… non basta, allora, andare dietro al Maestro per poter essere considerato discepolo, è necessario chiarirsi, purificare le proprie intenzioni, comprendere dov’è orientato lo sguardo del proprio cuore…

Sì la prima condizione è proprio questa, quella di riconoscere qual è la relazione costitutiva della nostra esistenza, qual è quell’incontro che sta sopra tutti gli altri e orienta tutti gli altri, anche quegli affetti più vicini chiedono di essere guidati e considerati alla luce dell’incontro vero col Maestro.

Non solo, andare dietro a Gesù non può essere il modo per metterci il cuore in pace, così sono tranquillo, ho qualcuno che mi protegge, magari mi fa anche un miracoletto lì dove mi fa più comodo… la sequela del Maestra passa dal fare ciò che ha fatto lui stesso, cioè prendere la croce, accettare anche la sofferenza o meglio il dono totale di sé, la croce per Gesù ha significato andare fino in fondo, non fermarsi ma perseguire la nostra salvezza a tutti i costi… al costo della sua stessa vita, così per noi… una sequela fatta di comodità, di ciò che mi aggrada, di cose che mi appagano in qualche modo, non possiamo considerarla autentico discepolato… utilizzo un esempio dall’esperienza della sagra di questi giorni: l’essere discepoli di Gesù non è come venire a cena alla sagra dove uno guarda il menu, sceglie le pietanze che preferisce e mangia, con Gesù devi prendere tutto, sia ciò che è dolce sia ciò che ha maggiormente il sapore della croce… non si può richiedere una fede self service

In questa direzione si può interpretare anche la prima delle parabole pronunciate da Gesù… a quell’uomo che vuol costruire viene chiesto di porre tutto il suo impegno, convinzione e tutto ciò che ha nella costruzione di quella torre e di non fare la banderuola che si ferma alla prima fatica o difficoltà… dobbiamo investire tutto per Gesù potremmo dire, orientare tutta la tua esistenza per il maestro, allora  sì usciremo dall’essere semplicemente una folla che va con lui ma diventeremo autenticamente discepoli che hanno fatto del Maestro la bussola della propria esistenza, proprio come Alessandro che ha offerto anche la sua vita terrena per testimoniare Cristo.

Di |2016-09-03T11:24:04+02:0004/09/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

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28 agosto

XXII domenica del Tempo Ordinario

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Siamo anche noi fra quegli invitati che ascoltano le parole di Gesù durante quel pranzo. Un pranzo importante perché era quello del giorno di sabato e per la presenza di un rabbi della levatura di Gesù.

Il pasto è l’occasione propizia anche per annunciare lo stile del discepolo, per annunciare la conversione al Vangelo. Anzitutto Gesù invita all’umiltà, quella vera, quella che non è ostentata perché la si noti, ma l’umiltà di riconoscere che l’unico a poter assegnare i posti è colui che ha invitato, l’ospite non ha diritto potremmo dire a fare le graduatorie, a conoscere il rapporto che l’invitante ha con il resto degli invitati… solo al Signore spetta conoscere questo, come è facile rischiare di fare degli scivoloni non rendendoci magari nemmeno conto di fare delle classifiche, delle graduatorie…

Ma ancora, l’invitato è chiamato ad occupare l’ultimo posto, con la più grande serenità, con la gratitudine grande di aver ricevuto l’invito e, diversamente di altre parabole che ben conosciamo, di aver accolto l’invito a partecipare a quel pranzo. Già l’essere lì perché chi ha organizzato il banchetto ti ha voluto vicino a lui, ti ha scelto tra i suoi invitati, deve essere motivo di gioia e riconoscenza, che bisogno hai di guardare gli altri dove sono seduti, tu ci sei, un posto per te c’è, il Signore ti ha voluto alla sua mensa.

Ancora, l’invito è ad occupare quell’ultimo posto non per una carenza di autostima, non come chi dice mi metto qui perché non so fare nulla, perché voglio stare a distanza… e nemmeno però con il cruccio di non essere più avanti o con l’attesa che davvero il Signore venga a dirti quel vieni più avanti… che vita triste sarebbe… come rovinarsi il banchetto.

Quanta libertà ci trasmette Gesù con l’insegnamento di oggi, libertà dagli sguardi altrui e dal tenere sotto il nostro sguardo gli altri, libertà dal fare di ogni cosa un’occasione di mettersi in mostra… e ce lo sottolinea con la seconda parte del suo insegnamento, quando ci chiede di ribaltare le parti e di diventare a nostra volta capaci di invito e accoglienza nei confronti degli altri, un invito che non deve essere misurato su un contraccambio, su un ritorno personale che il mio gesto la mia azione può in qualche modo restituirmi o come immagine o come contraccambio dell’altro o come riconoscenza da parte della comunità o di quanti mi stanno accanto, questa non è un’azione né libera né tanto meno gratuita e quanto è brutto incontrare persone che vivono la loro esistenza tutta misurata sul contraccambio, sul ritorno personale… il rischio di risentimento, che la loro percezione sia di essere perennemente a credito, che gli altri non facciano mai abbastanza rispetto a quanto fanno loro è lì a rovinare anche l’opera più bella e più alta che possono aver compiuto… facendo percepire odore di marcio, di morte dietro quel gesto.

Chiediamo al Signore la libertà e la gratuità, allora sì i nostri gesti avranno con sé il profumo del bene, quello vero, saranno come il profumo dei fiori di S. Alessandro che stiamo benedicendo in questi giorni.

Di |2016-08-27T16:19:50+02:0028/08/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

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21 agosto

XXI domenica del Tempo Ordinario

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Che strana domanda quella posta da quel tale non identificato dall’evangelista Luca… Sono pochi quelli che si salvano?

È strana e addirittura potremmo dire “sospetta” per almeno un paio di motivi, anzitutto il cercare di fare delle statistiche in merito alla salvezza quasi che la statistica ci possa aiutare in qualche modo a tenere il cuore in pace… se si salvano in tanti vuol dire che non c’è bisogno del mio impegno, d’altra parte se non c’è molto posto cosa mi impegno a fare? Sarò certamente fra gli esclusi e quindi tanto vale che faccia quello che ho voglia…

E questa direzione è proprio quella del secondo sospetto: il fatto che quel tizio non parte dall’idea che siano in molti a salvarsi, ma che siano in pochi… un Dio che è bacchettone, rigido, che apre le porte solo alla crème a quei pochi appunto che ce l’hanno fatta…

Quanto può essere fuorviante la nostra idea di Dio… e Gesù non sta al gioco di quel personaggio e cambia completamente la prospettiva: non è questione di quanto posto ci sia nel Regno di Dio, non deve essere quello l’oggetto del nostro interesse, invece dobbiamo guardare all’accesso al Regno, a quella porta, una porta stretta attraverso la quale non è facile passare, ma soprattutto non è facile passare in massa… il Regno non è questione di mode, di seguire la massa, di fanno tutti così… nel Regno l’accesso è singolo.

Come è difficile pensare di passare attraverso una porta stretta in un gruppo… ne abbiamo fatto esperienza a Cracovia… lì dove le vie di uscita dal Campus Misericordiae si facevano più strette ecco che si formavano imbuti enormi con massa di gente che si accalcava… la porta stretta la passi personalmente, è una scelta personale che non puoi delegare, non ci passi perché passano tutti, ma ci passi perché hai fatto una scelta e una scelta ben precisa. È un po’ come il check in all’aeroporto non è che passano tutti, passi se hai la carta d’imbarco e i documenti in regola…

Ma non solo, la porta stretta è anche l’immagine della porta attraverso la quale non solo entri personalmente ma entri non portando nient’altro che te stesso e la tua storia, allora scusate se mi servo ancora di un’immagine di porta… questa volta è la porta girevole, in questo genere di porta si entra uno per volta e, normalmente con oggetti di piccole dimensioni, fai fatica a passare con un borsone o una valigia… così è per il Regno di Dio non avremo valigie da portare dentro, potremo entrare se saremo liberi da carichi inutili e pesanti… allora non sarà più questione di quanti posti ci sono sull’aereo ma io ho preparato i documenti necessari per l’imbarco? Chiediamo al Signore che ci aiuti a scegliere lui e il suo regno, così da essere pronti, liberi da noi stessi e dalle cose che ci circondano per essere anche noi fra quelli che verranno dai 4 angoli della terra per sedere a mensa nel Regno di Dio.

Di |2016-08-21T13:26:15+02:0021/08/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale
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