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Commento alla Parola domenicale

15 gennaio

II domenica del Tempo ordinario

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Siamo all’inizio del tempo ordinario e il Vangelo ci apre l’orizzonte proprio su Gesù, sull’Agnello di Dio, come lo preghiamo ad ogni Eucaristia… ci pone di fronte a lui per mezzo del precursore, di Giovanni che pur non conoscendolo, ma per ispirazione divina lo riconosce e lo indica a quanti sono intorno a lui.

È grandiosa l’indicazione che Giovanni vede Gesù venire verso di lui… Gesù gli si fa incontro, il Figlio di Dio non è lì fermo ad aspettare l’arrivo di Giovanni ma gli va incontro. Così possiamo dire è per la grazia di Dio che non solo è lì ad aspettarci ma ci precede, ci viene incontro perché noi ne possiamo fare l’esperienza nella nostra vita.

Ed è proprio così, se ci pensiamo bene, Gesù ci precede sempre con la sua grazia, non aspetta che siamo pronti, che siamo perfetti o che abbiamo in qualche modo capito tutto, lui ci viene incontro lì dove siamo e ci chiede potremmo dire di riconoscerlo nelle strade della nostra vita.

Ma non solo, Giovanni ha riconosciuto Gesù e se ne fa portavoce, lo annuncia espressamente, indicandolo presente. Lui che l’ha visto e riconosciuto aiuta anche altri a fare la stessa esperienza del Messia, dell’Agnello di Dio. Questo potremmo dire è il ruolo di Giovanni, non il mettersi in mostra, in primo piano… non è chiamato a fare la prima donna in uno spettacolino… ma a rimandare ad un altro. Quanta umiltà serve per riuscire a fare questo, eppure come cristiani saremo credibili sempre e solo se saremo capaci nella nostra vita, non a parole ma con i fatti di indicare la presenza del Cristo in mezzo a noi.

Questo potrebbe sembrare un compito specifico di noi sacerdoti, eppure non è così, ogni cristiano, ogni credente, ogni battezzato può, anzi, deve diventare annunciatore del Salvatore con la propria vita. Siamo chiamati a diventare comunità adulta capace di annunciare e testimoniare la gioia di aver incontrato il Signore per poter diventare capaci di mostrarlo anche ai più piccoli, ai giovani, a quanti sono più lontani, capaci di annunciare che Gesù è davvero l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo. Gesù è quell’agnello che non grida non fa valere la forza non schiaccia gli altri ma che si offre per la nostra salvezza… e anche Giovanni è chiamato anzitutto a riconoscerlo e poi ad annunciarlo proprio in questo modo, forse un modo inatteso ma come sempre è inattesa e fantasiosa l’azione di Dio nella storia.

Chiediamo a Dio la grazia di riconoscerlo nella nostra vita, anche là dove è più difficile e la grazia di diventare comunità viva, capace di testimoniare con gioia lo stupore di un incontro che ci ha cambiato la vita.

Di |2017-01-14T14:58:02+01:0015/01/2017|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola domenicale

08 gennaio

Festa del Battesimo di Gesù

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Ci siamo appena lasciati dietro le spalle la solennità dell’Epifania, Gesù Bambino adorato dai Magi, ed ecco che la liturgia ci pone davanti a Gesù trentenne, quegli anni di vita nascosta, ordinaria, anni nei quali Gesù ha potuto assaporare la nostra stessa esistenza e crescere come ogni uomo.

Questa domenica potremmo dire che fa un po’ da ponte fra il tempo di Natale e il tempo ordinario, proprio come l’esperienza del battesimo di Gesù ha segnato il passaggio da quella vita nascosta alla sua vita pubblica. Si tratta di un battesimo, il suo, diverso dal nostro, ovviamente.

Gesù viene al Giordano, lo stesso Matteo evidenzia proprio questo passaggio dalla vita nascosta in Galilea alla vita pubblica. Giovanni stava battezzando come segno di conversione, Gesù si accosta perché si adempia ogni giustizia, così dirà al Battista… Gesù vuole unirsi ai peccatori non in quanto peccatore ma per offrire loro la salvezza, come segno di vicinanza, Dio che non solo si è fatto uomo, come abbiamo celebrato negli scorsi giorni, ma addirittura si è posto accanto agli ultimi, ai più bisognosi, ai peccatori.

Ed ecco che l’uscita dall’acqua è segnata da quella teofania, da quei cieli aperti, dai quali scende lo Spirito Santo e la voce del Padre… è la manifestazione della SS. Trinità e il sigillo stesso dell’azione del Figlio, quasi che il Padre in questo modo avesse voluto confermare che ciò che Gesù stava facendo era proprio la realizzazione del disegno d’amore di Dio stesso.

Sì, l’amore è la parola cardine di questa giornata conclusiva del nostro cammino diocesano. Gesù ponendo questo segno, potremmo dire che rende partecipi tutti noi di quel suo essere il Figlio amato. Non vuole tenere per sé la sua condizione di Amato, al contrario il suo desiderio è quello di rendere partecipi tutti noi di questo amore del Padre.

Noi normalmente siamo gelosi delle nostre cose, per cui non vogliamo che altri utilizzino le cose che sono di nostra proprietà, o quanto meno desideriamo che ci venga chiesto prima di utilizzare ciò che è nostro e questa è una questione anche di rispetto reciproco, puramente umano… Gesù non fa così, ciò che è pura prerogativa sua, il suo essere Figlio amato del Padre lo condivide con noi, proprio quello scendere nell’acqua del Giordano insieme ai peccatori ci fa percepire che anche noi, in lui possiamo considerarci figli amati.

Possa quest’anno che si apre davanti a noi, aiutarci a riconoscere proprio questo amore speciale che il Signore rivolge ad ogni uomo, riconoscendoci figli nel figlio.

Di |2017-01-07T13:57:45+01:0008/01/2017|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

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06 gennaio

Solennità dell’Epifania

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Quest’oggi potremmo dire che la liturgia ci invita a stare col naso all’insù. I Magi che vengono dall’oriente si muovono perché hanno guardato il cielo, sono rimasti a contemplare le stelle e da questo hanno colto la necessità di mettersi in cammino e di andare a vedere “colui che è nato”.

Una stella… una luce fioca, riflessa, non invadente… una fra tante… una luce che se contrastata dalle luci presenti sulla terra, non vedi più… è una stella a guidare, non il sole. Il sole non puoi non vederlo, non notarlo, addirittura il sole ti abbaglia. La stella no, e in questo rappresenta proprio il modo di essere venuto nel mondo del Figlio di Dio, in un modo non appariscente, non abbagliante.

Ed ecco che infatti la sua luce può essere oscurata dalle luci terrestri… non sto parlando dell’inquinamento luminoso moderno che non ci permette di vedere se non qualche stella… ma sto parlando di ciò che è successo ai Magi e rischia di succedere anche per ciascuno di noi: giunti a Gerusalemme si sono incontrati-scontrati con la realtà del potere. Il re Erode, questa luce terrestre, ha per un po’ oscurato la luce della stella, o meglio, finché i Magi non hanno saputo distogliere lo sguardo da quella luce che potremmo dire artificiale, i loro occhi non erano più in grado di riconoscere la presenza di quella stella che sempre ha guidato il loro cammino.

Quante luci artificiali anche noi poniamo ogni giorno sulla strada della nostra vita e non ci permettono più di intravedere e seguire la stella del Signore. Sono quelle luci della forza, dell’egoismo, dell’arroganza, del successo, del potere, dell’immagine… queste luci che ci costruiamo noi, o che il mondo ci costruisce intorno illudendoci che rischiarino i nostri passi, non ci permettono più di vedere sopra di noi quella stella che davvero segna il nostro passo.

Ma che meraviglia per i Magi quando lasciato Erode ritrovano la stella, hanno purificato il loro sguardo ed ora sono pronti ad accogliere nuovamente quella luce, ma non solo, la meraviglia di riconoscere che il re che è nato e per il quale hanno fatto il lungo cammino altro non è che un bambino in una casa con sua madre.

Non ci sono angeli questa volta, non c’è il canto del Gloria o un annuncio straordinario, ma solo l’ordinarietà di un bambino, ma proprio lì in quell’ordinario che non abbaglia si manifesta la vera luce che orienta il nostro cammino.

Chiediamo al Signore la grazia di occhi capaci di stupirsi e di provare meraviglia di fronte ad un Dio che si fa uomo, umile bambino, che chiede di distogliere lo sguardo dalle nostre luci per poter vedere la sua luce vera e a quella luce poter orientare i passi di tutta la nostra vita.

Di |2017-01-05T16:10:37+01:0006/01/2017|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola

Commento alla Parola domenicale

01 gennaio

Solennità di Maria Santissima Madre di Dio

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Sono passati 8 giorni dal Natale e la liturgia ci invita nuovamente a fermarci sul brano di Vangelo della Messa dell’aurora del giorno di Natale, salvo l’aggiunta dell’ultimo versetto riguardante la circoncisione di Gesù.

Potremmo dire però che non si tratta della ripetizione di qualcuno che, non avendo fantasia o non avendo molto da dire si trova a ridire la stessa cosa, al contrario, il Vangelo è sempre così ricco da non poterlo racchiudere o esaurire mai e questo perché il Vangelo è vivo, è vita non lettera morta.

Oggi infatti lo leggiamo alla luce della festa di Maria Madre di Dio. È lei, potremmo dire, la figura che ci orienta e ci offre la direzione quest’oggi.

Se la mattina di Natale ci siamo soffermati sulla gioia dei pastori che li smuove ad andare a cercare quel segno annunciato dall’angelo e tornando esprimono la loro gioia diventando testimoni verso il resto del popolo di quell’incontro che hanno fatto; potremmo dire che il volgere lo sguardo alla madre ci suggerisce un ulteriore punto di vista, non opposto, non in contrasto o in contraddizione con quello dei pastori, ma potremmo dire quasi complementare e altrettanto necessario e vitale per il nostro essere cristiani. Si tratta di quel duplice atteggiamento del custodire e meditare nel cuore. Maria ci insegna la gioia più intima, quella di portare dentro, dopo aver portato nel suo grembo per 9 mesi l’autore stesso della vita, dopo averlo dato alla luce, Maria continua a portare dentro di sé, porta gli avvenimenti, le parole che la raggiungono, i sentimenti che sperimenta… ma non come se le passassero sopra, non li accoglie in maniera passiva, ma li custodisce dentro, li trasforma in vita.

Quanto poco tempo regaliamo a noi stessi per poter portare dentro, custodire e meditare nel nostro cuore le cose che succedono intorno a noi, che fatica facciamo a soffermarci sull’azione di Dio nella nostra esistenza… e senza questa dimensione spirituale quanto diventa facile vivere con superficialità ciò che il Signore ci offre.

I pastori e Maria hanno sperimentato la gioia e mentre per i primi questa si è tramutata in annuncio e testimonianza, per Maria ha significato anzitutto portare dentro, assumere in profondità.

Un nuovo anno è appena iniziato, un anno che la grazia del Signore ci pone nuovamente fra le mani, un anno che invochiamo sia all’insegna della pace vera e profonda, quella che comincia proprio da un animo raggiunto e illuminato dalla gioia dell’incontro con Lui, l’autore della vita.

Maria ci aiuti a fare nostro il suo atteggiamento affinché custodendo e meditando possiamo aprirci sempre di più all’azione della sua grazia che parte dall’offrire la gioia e la pace vera al nostro cuore.

Di |2017-01-01T09:17:27+01:0001/01/2017|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

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25 dicembre

Solennità del Santo Natale

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Siamo giunti al Natale, i nostri preparativi del cuore sono terminati, abbiamo camminato lungo tutto l’avvento per arrivare ad incontrare Gesù che vuole trovare casa nel nostro cuore, ed eccoci qui, davanti a lui…

Da un lato, ci sentiamo un po’ come Maria e Giuseppe davanti a quel bambino appena nato, guardiamo con occhi stupiti e meravigliati la grandezza del regalo che Dio ha offerto a tutti gli uomini: il suo stesso Figlio, donato perché ciascuno di noi possa riconoscersi amato da Dio.

Se stupore e meraviglia possono in qualche modo rappresentare i sentimenti di Maria e Giuseppe, davanti al loro bimbo deposto nella mangiatoia, ecco che ad una certa distanza, nel campo, i pastori che stavano custodendo il loro gregge sono stati raggiunti dall’annuncio dell’angelo della gioia della nascita del Salvatore.

A quell’annuncio non possono restare indifferenti e si muovono, si mettono in cammino. Sì, la gioia annunciata dall’angelo non è qualcosa che ci raggiunge in maniera passiva, come se ci fosse calata dall’alto, ci è offerto l’annuncio, ora siamo chiamati a farlo nostro, ad incontrare quel bambino affinché quella gioia davvero contagi la nostra esistenza e ci renda delle persone nuove.

Se ci pensiamo bene, questo è tutto il fondamento della nostra vita, ciò che in fin dei conti ci smuove ogni volta, la ricerca della gioia, di qualcosa che riempia il nostro cuore di questo sentimento così particolare. Gioia, non felicità, perché la gioia è qualcosa di più intimo, qualcosa che nasce dal cuore e lo fa battere forte di emozione. La felicità dura un momento,  la gioia è qualcosa che è chiamato a durare a lungo. E di quella gioia i pastori vogliono essere partecipi. Sì la gioia dell’incontro con Gesù sarà di tutto il popolo, ma anzi, di più, sarà di tutti i popoli, di tutta la storia.

È la stessa gioia che oggi viene proposta anche a noi, la gioia di aver incontrato Gesù, che il suo essersi fatto uomo, aver assunto la nostra stessa carne ci ha offerto la salvezza. Gesù si è fatto uno di noi e nel far questo ci ha portato in un certo senso, un po’ più vicino Dio, ci ha permesso di riconoscere in Dio, non qualcuno da tenere buono altrimenti chissà cosa succede, cosa ti può capitare… invece ci ha dimostrato quanto è grande l’amore di Dio che per noi è disposto a tutto pur di salvarci.

Ecco che l’incontro con quel bimbo, così come lo fu per i pastori non ci lascerà indifferenti, ci farà tornare da persone nuove, persone che lodano Dio per l’evento di cui siamo stati resi partecipi.

Allora, se in questo avvento abbiamo camminato con pazienza, un passo dopo l’altro, riconoscendo con umiltà il nostro bisogno di cambiare, con la speranza di una vita non in solitudine ma vissuta con il Signore e nella fiducia che quanto lui ci chiede è il bene della nostra vita, allora sì il Natale sarà la più autentica fonte della gioia, perché riconosceremo davvero che quel bambino nato nell’umiltà di quella stalla è il Salvatore e l’unico fondamento della nostra gioia, allora sì sarà davvero Natale.

Di |2016-12-23T14:34:49+01:0025/12/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

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18 dicembre

IV domenica del Tempo di Avvento

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Siamo ormai a pochi giorni dal Natale, il nostro cammino di Avvento giunge verso la conclusione e la Parola che abbiamo appena ascoltato ci pone davanti a Giuseppe, quest’uomo giusto, innamorato di Maria, della quale è sposo anche se, secondo le consuetudini del suo tempo, non abitavano ancora insieme.

Giuseppe si trova coinvolto in questa gravidanza straordinaria, ha saputo, probabilmente da Maria ciò che è successo, l’annuncio dell’Angelo e il suo essere incinta non per opera di uomo ma per mezzo dello Spirito Santo che ha agito in lei. Chissà se la fatica maggiore di Giuseppe è stata quella di accogliere ciò che stava succedendo oppure quella di comprendere la sua posizione, il suo ruolo, ciò che lui, sposo di Maria era chiamato a diventare per quel bambino che, biologicamente, non era frutto suo.

Ma ecco che nel suo arrovellarsi per cercare di districare la matassa e fare un po’ di discernimento della situazione, nella sua solitudine, non viene abbandonato. Potremmo dire che la sua solitudine è riempita di una presenza che non ti abbandona mai e di quella presenza, di quella parola che gli viene rivolta è chiamato a fidarsi, non a comprenderla… ma a riporre fiducia.

Fidarsi ciecamente, non vuol dire essere sprovveduti, non vuol dire lasciarsi sopraffare dall’euforia del momento, chiudere gli occhi davanti alle situazioni o ai problemi, fidarsi vuol dire riconoscere di poter riporre la propria vita e la propria esistenza nelle mani di Colui che questa stessa vita ce l’ha regalata, nell’unico che non tradisce mai, anche se a volte utilizza strade che ci sembrano tortuose o incomprensibili.

Giuseppe comprende che nella storia di Gesù ci sarà un posto anche per lui, che lui ne sarà il padre, non biologico, non spirituale, eppure sarà padre perché chiamato a prendersene cura, a dargli una casa, a farlo crescere, potremmo dire a far assaggiare al Figlio di Dio il sapore dell’esistenza umana. E a questo viene chiamato lui, un umile carpentiere, sposo di una giovane ragazza, entrambi di provincia… non viene chiamato il sommo sacerdote o uno dei dottori del tempio… le strade che il Signore sceglie sono strane, sono sempre inedite, la fantasia di Dio per la nostra salvezza è proprio grande. E Giuseppe si fida, accoglie con fiducia l’invito dell’Angelo e prende con sé la sua sposa.

Anche noi, siamo chiamati ad aver fiducia nelle strade che il Signore ci invita a percorrere, con la pazienza dei piccoli passi, con l’umiltà del riconoscere di non essere il tutto, con la speranza che in fondo al cammino c’è lui, e allora, come Giuseppe ci accorgeremo che anche la solitudine è sempre abitata e facendoci aiutare da un cantautore contemporaneo potremo dire anche noi che “io lo so che non sono solo anche quando sono solo”.

Di |2016-12-17T10:51:55+01:0018/12/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

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11 dicembre

III domenica del Tempo di Avvento

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Sei tu colui che deve venire… è la domanda che riecheggia quest’oggi… Giovanni il Battista, il precursore, dalla prigione nella quale è trattenuto a causa della sua predicazione, manda i discepoli ad incontrare il Maestro con quella provocazione nel cuore, con l’interrogativo di chi è cosciente di non possedere la verità, di non sapere già tutto, di non aver già concluso il suo cammino di fede, ma di essere lungo il cammino.

Giovanni intravede la luce che Gesù è venuto a portare e invia i suoi discepoli perché anche loro sperimentino la grazia di avere un cuore aperto per accogliere il Messia, così come è stato annunciato dai profeti eppure anche tanto diverso dalle attese del suo tempo… li invia non con una risposta in tasca ma con una domanda. Se anche noi avessimo il coraggio di tenere in tasca degli interrogativi profondi e non solo delle risposte già pronte…

Ed ecco allora il tema della speranza che ci viene proposto per la settimana che si apre. Sperare è l’azione propria di chi confida in altro fuori di lui, di chi non ha già la certezza in mano. Se so già non ho più bisogno di sperare, se l’evento è certo al limite spererò che vada a buon fine, ma non ho bisogno di sperare nell’evento stesso. Noi non speriamo che venga il Natale, in quanto lo scorrere dei giorni lo farà giungere, salvo che giunga la fine del mondo… al limite speriamo di arrivarci oppure speriamo di viverlo serenamente in famiglia come occasione di incontro e di rinforzo dei legami con le persone più care, potremo sperare di arrivare al Natale con il cuore pronto…

Sperare, aprirsi con fiducia al domani, conservare il cuore paziente ed umile… non sono atteggiamenti messi da parte col passare delle settimane, ma siamo in un crescendo perché senza la pazienza del costruire e l’umiltà di riconoscerci bisognosi, non saremo capaci nemmeno di custodire nel cuore le domande e la speranza del domani.

Quanto è triste il cuore di chi non è più capace di sperare… il cuore che non spera è un cuore che dispera… non lasciamoci rubare la speranza. Quante volte gli eventi tristi oppure quegli eventi interminabili che non hanno mai una soluzione ci rendono difficile confidare ancora che qualcosa di buono possa succedere, possa scardinare delle situazioni incancrenite o, a volte, la ruggine del passare dei giorni e dei mesi come rende difficile tenere il cuore nella speranza…

Chiediamo al Signore che lubrifichi i nostri cuori, li faccia rivitalizzare con la sua speranza, lui sia la luce sul nostro cammino, una luce che non si affievolisce, una domanda che tiene perennemente vivi e capaci di attesa, di speranza.

Di |2016-12-10T10:43:47+01:0011/12/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

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04 dicembre

II domenica del Tempo di Avvento

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Siamo nel deserto, in ascolto di Giovanni il Battista che ci raggiunge con il suo invito deciso e decisivo alla conversione. Non basta essere uditori, non è sufficiente sentire per poter dire di aver fatto nostro questo invito, l’azione che ci viene richiesta è quella dell’ascoltare, del fare nostro, interiorizzandolo, ciò che il profeta ha annunciato. Ma non è facile. Per ascoltare veramente è necessario riconoscere che colui che parla ha qualcosa di importante per me, per la mia vita, da annunciarmi. In altre parole è necessario che io riconosca di non bastare a me stesso ma di aver bisogno di quanti camminano accanto a me. Questa è la chiave che apre il nostro cuore all’ascolto vero, a quell’ascolto che si traduce poi in conversione, in capacità di produrre frutti buoni.

Se settimana scorsa abbiamo sperimentato il tema della pazienza del fare ogni giorno il piccolo passo possibile, questa settimana siamo invitati a non fare quel passo da soli ma a metterci in discussione per scoprire intorno a noi una comunità di fratelli che camminano insieme, magari con velocità diverse (chi più spedito, chi più lento), ma tutti insieme, verso l’unica meta che è il Signore.

L’umiltà è quell’atteggiamento che ci fa riconoscere di non essere noi i detentori di quella meta, la percepiamo, ne sentiamo il valore e l’importanza per la nostra vita, ma non la possediamo, non è qualcosa di nostro. Verso quella meta ci possiamo incamminare solo se riconosciamo il nostro bisogno di convertirci, di cambiare, il nostro bisogno di Lui. Potremmo dire che la meta, in qualche modo ci attira a sé, se noi accogliamo liberamente di lasciarci attrarre.

Umiltà allora non è rinuncia alla libertà, a favore di qualcun altro, ma mettere la mia libertà nelle mani di Colui che è più grande di me, di chi mi ha regalato questa vita e mi ha offerto la salvezza.

L’umiltà non è nemmeno mancanza di autostima, non è umile la persona che non riconosce il suo valore e la sua possibilità di seminare il bene nei solchi della sua esistenza, quella è una persona malata, che ha bisogno di trovare sostegno per scorgere le ricchezze delle quali il Signore ha colmato anche la sua vita, come quella di ogni persona. Umiltà è riconoscere di non essere il tutto, riconoscere di aver bisogno, riconoscere con gioia che il Signore viene, non per castigare ma per visitare il suo popolo. Riconoscere il nostro essere creati per la lode di Dio, gioire della sua presenza nella nostra vita.

Sì perché l’umiltà viaggia a braccetto con la gioia del cuore. La tristezza non è degli umili. Il Signore colmi la nostra vita di umiltà per poter camminare incontro a lui portando frutti autentici di conversione.

Di |2016-12-03T10:51:52+01:0004/12/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

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27 novembre

I domenica del Tempo di Avvento (anno A)

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Siamo all’inizio dell’avvento e, quindi dell’anno liturgico, in questa domenica la Chiesa ci invita a riflettere in merito all’attesa, allo stare pronti, all’avere pazienza. Sì, questa è la parola chiave che la nostra Diocesi ha pensato per concentrare la nostra attenzione in questa prima tappa di avvento.

Vegliate perché non sapete… vegliare è un atteggiamento che viaggia insieme alla pazienza, all’attesa pronta. Essere pazienti non vuol dire essere menefreghisti, persone insipide che non sanno di niente e per i quali nulla conta nella vita, per i quali nulla li tocca direttamente, che si chiamano fuori dal gioco della vita. Ed essere pazienti non va confuso nemmeno con l’essere dei lazzaroni, dei lavativi che vivono in perenne attesa che altri facciano al posto loro o che le cose si sistemino da sole senza metterci un dito, senza metterci nessun impegno.

Questa non è pazienza. Essere pazienti vuol dire essere operosi, vivere attivamente, metterci tutto te stesso, fare un passo dopo l’altro, con calma sì, ma il passo lo devi compiere.

Per comprendere la pazienza possiamo utilizzare l’immagine delle relazioni personali. Una relazione non si costruisce in un giorno solo, ha bisogno di tempo perché possa diventare solida e significativa; allo stesso modo ha bisogno di essere continuamente alimentata e coltivata altrimenti si logora e si deteriora. Essere pazienti in una relazione non vuol dire chiamarsi fuori, aspettando solo che sia l’altro a muoversi, essere pazienti vuol dire coltivare la mia parte di relazione, fare tutto ciò che posso fare io, un passo ogni giorno, senza pretendere di giungere alla meta subito, quello no, ma non arriverò mai a destinazione se non faccio nemmeno un passo.

Se questo vale per la nostra vita quotidiana di uomini e donne inserite in un ampio cerchio di relazioni, allo stesso modo vale per la nostra vita di fede: il Signore fa di tutto per venirci incontro, ma se noi non coltiviamo la nostra relazione con lui, se non curiamo con pazienza il nostro cuore perché gioisca dall’incontro con il Signore, perché viva e sperimenti sul serio quell’amicizia, quella solida relazione di cura e di amore con Dio, allora il nostro cuore non sarà pronto, sarà perennemente fermo al punto di partenza ma senza aver mai compiuto nessun passo verso la meta.

Quei due uomini nel campo o quelle due donne alla mola stanno facendo esattamente le stesse cose, non è questione di azioni ma di cuore pronto, vigilante, capace di attesa. Chiediamo al Signore in questa settimana che ci aiuti ad avere un cuore paziente, attento e vigilante, capace di palpitare di amore fiducioso per lui.

Di |2016-11-26T10:48:43+01:0027/11/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

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13 novembre

XXXIII domenica del Tempo Ordinario

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Siamo ormai quasi al termine dell’anno liturgico e la Chiesa ci invita a riflettere sulla nostra speranza, su quell’apertura che la nostra fede ci offre rispetto alla vita futura. Noi non abbiamo davanti il nulla, la fine, ma abbiamo la luce stessa del Signore che rischiara il nostro sguardo.

Quante volte succede anche a noi, come alla gente del tempo di Gesù di fermarci ad osservare le cose che ci circondano, quelle belle pietre del tempio… sì, guardare solamente le cose materiali, quelle pur belle che ci offre la natura o che l’ingegno e l’arte umana ha realizzato nel corso del tempo… dobbiamo ricordare che il tempio di Gerusalemme doveva essere veramente qualcosa di straordinario, di artisticamente grandioso e con all’interno un tesoro inestimabile… ma se quegli uomini, come ciascuno di noi, si fermano ad osservare solo la grandiosità delle pietre, solo la bellezza di ciò che ci circonda potremmo dire che è come metterci ad osservare un quadro al buio avendo in mano solo una misera candela… certo vedremo qualcosa ma perderemo la possibilità di vedere e di cogliere il meglio.

Così era del tempio, certo che quelle pietre erano davvero belle e raffinate, nessuno discute questo, ma quelle pietre non erano state poste lì per essere ammirate ma perché diventassero strumento per incontrare Dio, anche con la loro bellezza… ma ricordando sempre che quella bellezza è destinata a scomparire, come ogni realtà umana, mentre la possibilità di incontrare Dio non passa mai. È quasi imbarazzante parlare del fatto che le pietre umane, in qualche modo sappiamo che prima o poi vengono meno… soprattutto in questi giorni nei quali il nostro Paese è ancora tristemente segnato dalla distruzione che il terremoto ha lasciato dietro di sé, nella quale anche gli edifici storicamente importanti sono crollati. Ma allo stesso modo come non ricordare che lo stesso tempio di Gerusalemme venne distrutto nel 70 d.C. o come altri monumenti storici sono stati distrutti dalla furia umana negli scorsi mesi…

Ma Gesù non ci vuole chiudere nella paura, bensì, come dicevo prima, aprirci alla speranza e possiamo dire che in questa direzione va proprio la conclusione del brano che abbiamo appena ascoltato, quando Gesù dice che ci darà parola e sapienza e che nemmeno un capello del nostro capo andrà perduto e, ancora, che salveremo la nostra vita. Sì, se sapremo restare ancorati a lui, se ci accorgeremo che al di là di ogni progetto o costruzione umana, lui resta, lui è la base solida e sicura sulla quale fondare la nostra vita, se sentiremo nel nostro cuore la gioia di essere suoi discepoli, allora nulla di quanto accadrà fuori di noi ci potrà fare paura, potrà far calare le tenebre, la notte sulla nostra vita, perché avremo lo sguardo orientato verso la luce vera, verso la gioia del Signore Risorto che ha vinto la morte, ha vinto le tenebre per offrirci la vita vera, per offrirci la sua luce.

Di |2016-11-13T09:38:00+01:0013/11/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale
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