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Commento alla Parola domenicale

29 ottobre

XXX domenica del tempo Ordinario

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Quanto sappiamo essere meschini a volte, noi esseri umani. Un dottore della legge pone quella domanda a Gesù, non per un interesse di fede, per un approfondimento della Scrittura, per avere una chiave di lettura in più di tutta la Bibbia, è solo un modo per incastrare quel maestro che la sa così lunga…

Ma Gesù risponde a quella provocazione con un giochetto altissimo; infatti alla richiesta di avere il comandamento risponde consegnandone due, che in realtà sono 3 ma in fin dei conti sono uno solo.

Sì perché il dottore della legge chiede di avere un comandamento solo come risposta, mettendo alla prova Gesù in mezzo alla grande molteplicità di comandi contenuti lungo tutte le pagine della legge. La risposta di Gesù sembra andare in due direzioni, infatti dice che da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti… ma se il dettato è doppio, il contenuto è triplo. Vi è contenuto infatti l’amore a Dio, l’amore al prossimo e, inserito come unità di misura c’è l’amore a se stessi che quindi diviene un comandamento.

Partiamo da quest’ultimo per provare a ricostruire un senso per la nostra vita. Gesù ci dice che dobbiamo imparare ad amare noi stessi, non nel senso del vivere di capricci, di assecondare ogni esigenza e stimolo che la natura ci fa percepire attraverso i nostri sensi e il nostro corpo… Gesù non ci sta chiedendo di imparare ad essere egoisti o a vivere di capricci, non vuole persone ripiegate su se stesse perse solo a contemplare il proprio ombelico come se fosse il centro del mondo… ma se non so amare il più grande dono che Dio mi ha fatto e che sono io stesso e la mia vita, come potrò pensare di essere capace di amare gli altri?

L’amore per se stessi allora diviene trampolino per amare gli altri con verità, non facendo finta, non ponendo in essere qualche gesto “farsa” che mi metta a posto la coscienza illudendomi di aver amato le persone che mi passano accanto. Sono chiamato ad amare e riconoscere gli altri proprio allo stesso modo di me stesso, vedendo in loro la manifestazione di quel dono che Dio ha fatto al mondo… anche quando questo dono mi risulta scomodo, quando hanno più il sapore di una spina nella carne come ebbe a scrivere Paolo, riconoscendo che a volte, la Parola va accolta anche in mezzo a grandi prove, come abbiamo ascoltato nella seconda lettura. E, allora, se avremo imparato ad amare noi stessi e il nostro prossimo, anche l’amore a Dio non diventerà un comodo rifugio nel quale mi rinchiudo in cerca di tranquillità, non sarà un luogo di assenza di relazione, nel quale mi diverto a fare dei bei monologhi fra me e il mio Dio… nei quali è Dio a dover ascoltare me senza che io provi mai ad ascoltare lui… monologhi che spesso non sono fra me e Dio ma fra me e il mio Io… Amare Dio con tutto noi stessi credo sia unitario agli altri due proprio perché chiede di amarlo partendo dalla nostra vita, partendo da quel riconoscimento di amore che ci ha anticipato. Ma un amore disincarnato non è amore, il Signore ci aiuti ad amarlo con tutto noi stessi, riconoscendo il dono che è presente in noi e nel nostro prossimo.

Di |2017-10-28T10:08:06+02:0028/10/2017|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola domenicale

15 ottobre

XXVIII domenica del tempo Ordinario

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Per parlare del Regno dei cieli, Gesù si serve di parabole, di immagini che aiutino ad entrare nel cuore del Padre e aiutino a riconoscere nel Figlio l’atto supremo di amore di Dio per l’umanità intera.

Anzitutto sottolineiamo la dimensione dell’invito. Un invito a nozze, ed in particolare alle nozze del figlio del Re. Si tratta di un invito, non di un editto che il re avrebbe potuto promulgare con un atto coercitivo e, quindi rendendo obbligatoria la partecipazione a quella festa. Il re gioisce per le nozze del proprio figlio e vuole rendere partecipi, attraverso un invito alcune persone. Se sono invitato vuol dire che non sono obbligato a partecipare; d’altro canto però, se uno mi invita è segno di una stima, di un’amicizia, di una relazione che è presente. Eppure questi invitati non se ne curano… hanno di meglio da fare: devono curare il proprio campo o, comunque, i loro affari.

Certo possiamo cogliere come non si tratti di un re come i sovrani che siamo abituati a trovare nei libri di storia… un re che quasi prega quegli invitati di voler far festa con lui, e manda per due volte i suoi servi a chiamarli… è il Signore che continuamente ci cerca, non demorde, vuole fare festa con noi, vuole che cogliamo in quella festa qualcosa di molto più grande dei nostri affari quotidiani…

Ma quegli invitati non se ne curano e addirittura uccidono i messaggeri… sembra di scorgere i vignaioli di settimana scorsa che uccidono gli invitati… e l’ira del re si accende, non tanto per il rifiuto a partecipare alla festa, ma Matteo sottolinea che fece uccidere quegli assassini… è quella violenza che fa adirare il re perché quegli invitati non erano degni di fare festa con lui… è dalle loro opere che si riconosce il non essere degni, non è questione di stato sociale e nemmeno di giudizio morale…

Ecco che l’invito allora si allarga a tutti quelli che si troveranno, cattivi e buoni… ma decidere di aderire all’invito non è sufficiente, non basta dire di sì al Padre, come dicevamo quindici giorni fa, infatti partecipare a quella festa vuol dire anche dover indossare l’abito nuziale, è l’abito della conversione, di una partecipazione che non sia solo di convenienza, ma che in qualche modo tocchi la nostra vita e la nostra esistenza.

Se con gioia accogliamo l’invito a nozze che il Signore ogni settimana ci fa, se ci accorgiamo nella nostra vita della cura e della considerazione che Dio ci rivolge invitandoci a festeggiare con lui, siamo chiamati ad aderire con l’abito giusto… nell’abito possiamo metterci un po’ tutto il nostro modo di aderire al Signore… partecipare ad una festa con il muso lungo è, in un certo senso, aver sbagliato abito. Così accogliere l’invito del Signore alla sua festa con risentimenti e animo inacidito verso i propri fratelli vuol dire non aver indossato l’abito giusto. Il Signore ci rivesta dell’abito nuziale, così come il giorno del nostro battesimo ci ha vestiti di quell’abito bianco. Allora sarà festa vera.

Di |2017-10-14T09:10:56+02:0014/10/2017|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

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08 ottobre

XXVII domenica del tempo Ordinario

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Quanto è grande la differenza fra l’essere padroni e l’essere amministratori di qualcosa. L’amministratore è chiamato ad occuparsi di ciò che ha tra le mani con la stessa cura che ha il padrone, ma con una caratteristica in più… il riconoscere in ogni momento la necessità di rimandare alla volontà del padrone ogni scelta… cioè: quando un amministratore prende una scelta è chiamato a farla in conformità a ciò che farebbe il proprietario del bene stesso, perché quel bene non è una cosa sua ma qualcosa che gli è affidato.

C’è poi un’altra caratteristica, la gratitudine nei confronti del padrone stesso per la fiducia e la stima riposti nell’amministratore. Quante volte però non riusciamo a vivere di gratitudine verso il Signore e verso i nostri fratelli, spesso viviamo di risentimenti, di rivendicazioni, viviamo in un grigiume e un piattume come se nulla ci fosse donato ma tutto ci fosse dovuto.

È proprio l’immagine di quei vignaioli, chiamati ad amministrare, coltivare quella vigna secondo la volontà del padrone: far sì che produca frutti e che quei frutti rallegrino la tavola del padrone. Ma i vignaioli perdono di vista la grandezza e la portata del loro incarico e, avidi di potere, pieni di ingratitudine e pieni di sé si arrogano il diritto di rifiutare al padrone quanto lecitamente gli spetta.

Quanti emissari invia il padrone per far comprendere l’errore nel quale sono caduti i vignaioli, arriva perfino ad inviare il proprio figlio, ma nulla, non vogliono comprendere…

Certamente era un discorso rivolto ai grandi del popolo d’Israele, ma non possiamo sentirci superiori ed esonerati dall’ascolto fruttuoso di questa parola. Anche noi potremmo cadere nel pericolo di diventare pessimi amministratori, di non riconoscere la grazia del battesimo che ci è stata donata, non riconoscere la grandezza della possibilità della conversione che ogni giorno ci è posta fra le mani perché possiamo seguire sempre più da vicino il Signore.

Quante volte cerchiamo anche fra battezzati, fra membri della stessa comunità, di schiacciarci a vicenda, di ritagliarci un posto, una posizione… non importa quale, l’importante è che sia ben visibile da parte di tutti gli altri, quante parole cattive che sono come quelle bastonate, uccisioni, lapidazioni, che i contadini hanno dato ai loro fratelli emissari del padrone…

Rendiamo lode al Signore che ci ha chiamati a collaborare nella sua vigna perché porti sempre più frutti, cerchiamo di comprendere la volontà del Signore per rimandare a lui i frutti che la vigna produce, non mancherà la sua ricompensa.

Di |2017-10-07T09:15:58+02:0007/10/2017|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

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01 ottobre

XXVI domenica del tempo Ordinario

Solennità della Madonna del Patrocinio

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Che ve ne pare?… la domanda di Gesù è intrigante, ci chiama in prima persona a metterci a confronto con la sua Parola, con quella consegna così graffiante che sta facendo ai grandi del suo tempo.

Quanto è facile correre il rischio di dividere, nella nostra vita, i nostri fratelli in categorie… in particolare i buoni e i cattivi… dove normalmente i buoni sono quelli che sono come me, fanno le mie stesse scelte, sono quelli che mi sorridono, mi danno sempre ragione… quelli che mi fanno sentire un po’ un principino in mezzo a questa società nella quale siamo numeri per delle statistiche… mentre poi ci sono i cattivi… quelli che sono dall’altra parte, quelli che per forza non possono fare le cose bene… le fanno in maniera diversa da come le farei io… magari mi fanno notare le mie incoerenze o magari semplicemente vedono alcune cose in una prospettiva diversa dalla mia… buoni e cattivi… categorie che i pregiudizi spesso ci portano a costituire e a separare bene nella nostra testa in cassetti ben distinti perché non ci si abbia mai a confondere…

Gesù oggi ci mette in guardia… perché lasciatemi usare un paio di proverbi… non sempre l’abito fa il monaco… ma a volte l’apparenza inganna. Quei due figli, a prima vista sembra facile dividere il buono dal cattivo, il buono quello che ossequia il papà… Sì, signore… facile con la bocca… mentre il cattivo risponde non ne ho voglia… sembra di sentire qualche ragazzo o adolescente…

Però la parabola non finisce qui… perché ad una parola non corrisponde l’azione che ci aspetteremmo. Che bella la sottolineatura che Matteo fa rispetto al primo figlio: Ma poi si pentì. Mentre infatti quello che all’apparenza è buono si ritiene a posto solo per il fatto di aver risposto con le labbra positivamente al padre, l’altro che all’inizio ha espresso con libertà tutta la sua non voglia, ha scoperto in questa libertà lo spazio per il suo pentimento, per la sua conversione.

La risposta e il conseguente comportamento del figlio ossequioso manifestano un’assenza di libertà di scelta, infatti chiama il padre, signore, quasi fosse un padrone, un obbligo da assolvere… sembra di sentire il figlio maggiore della parabola del padre misericordioso… io ti ho sempre servito… manca la possibilità di riconoscere un amore di padre che ti si rivolge e non l’obbligazione di un rapporto di lavoro.

Oggi festeggiamo la Madonna del Patrocinio, colei che ha fatto di quel sì pronunciato per amore uno stile di vita, una vita di servizio, ma anche di silenzio e di accoglienza della volontà del Padre che si manifestava attraverso di lei, chiediamo la sua intercessione perché siamo sempre più capaci di un amore libero nei confronti del Signore e di accoglienza reciproca e di trasparenza nei confronti dei nostri fratelli.

Di |2017-09-30T09:59:47+02:0030/09/2017|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola domenicale

24 settembre

XXV domenica del tempo Ordinario

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Veramente la prima lettura ci aiuta ad entrare in profondità del brano di Vangelo di questa domenica… “i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie”…

La parabola degli operai che abbiamo appena ascoltato sembra proprio esplicitarci infatti questo: il Signore pensa, agisce ed ama… su un altro piano.

È sempre affascinante osservare questo padrone che continuamente esce di casa e si reca sulla piazza in cerca, sì il Signore è in cerca dell’umanità, quell’umanità che ama fin nel profondo, con tutto sé stesso, di un amore più grande di quanto noi possiamo immaginare. Il Signore ci cerca, mi cerca, ti cerca… a tutte le ore della giornata e ti invita ad andare nella sua vigna. Solo ai primi prospetta la ricompensa, agli altri dice solo quello che è giusto… anzi, agli ultimi nemmeno parla di una ricompensa…

Che bello sentirci cercati e quanto è rassicurante e pacificante riconoscere che al Signore non importa quante ore di lavoro impieghiamo nella sua vigna…

I primi sono andati nella vigna perché attendevano una ricompensa ben precisa, anzi quando hanno visto la ricompensa di chi aveva lavorato meno ore di loro, subito si sono messi a fare dei calcoli sperando di ricevere una ricompensa proporzionale alle ore di lavoro. Possiamo dire che i primi non hanno proprio incontrato il Signore di quella vigna, quei primi non si sono sentiti cercati, accolti, amati… quei primi hanno lavorato non per amore di colui che li ha chiamati ma solo per amore di sé stessi e della ricompensa attesa.

Quanti calcoli mentali facciamo nella nostra vita… faccio questo così, poi l’altro si sente in debito e farà questo per me… e quante rivendicazioni più o meno ad alta voce ci troviamo a fare – e quelle che rimangono chiuse nel cuore spesso sono più pericolose di quelle esplicitate perché diventano rancore e risentimento – io ho fatto, questo, questo, quest’altro… meriterei considerazione, meriterei riconoscimento… ma l’altro non ha fatto quello che mi aspettavo…

Quando ci comportiamo così verso il Signore o verso i nostri fratelli possiamo dire di essere gli operai della prima ora che aspettano solo il loro denaro… anzi aspettano qualcosa di più perché non possono essere trattati come gli altri…

Il cuore del Signore, però, è il cuore di un padre che ama e che vuole anzitutto incontrare quegli uomini oziosi sulla piazza, dare un senso alla loro e alla nostra vita, vuole riversare su di loro e su di noi il suo amore, la sua grazia che è assolutamente più grande di ogni nostro sforzo e merito. Non trattiamo il Signore come un datore di lavoro, ma riconosciamo in lui un cuore di Padre che batte per ciascuno dei suoi figli.

Di |2017-09-23T10:32:23+02:0023/09/2017|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola domenicale

17 settembre

XXIV domenica del tempo Ordinario

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Quante volte dovrò perdonare… Pietro, da uomo con i piedi per terra qual era si rende conto dai discorsi che sta ascoltando da parte di Gesù, che il perdono è un qualcosa da cui sarà chiamato a non sottrarsi, una questione con cui sarà chiamato a fare i conti nel suo essere discepolo di Gesù. Ma, d’altro canto sembra voler porre dei limiti a questo perdono… 7 volte… era già molto più di quanto chiedesse la legge ebraica ed è il numero della pienezza, un perdono pieno totale, ma Gesù risponde con ben altra cifra: 70 volte 7, che non vuol dire 490 volte… siamo ancora all’interno di numeri simbolici che significano una pienezza che va al di là del calcolo umano e la parabola ce la fa capire perché ci aiuta a tornare all’origine del perdono.

Anzitutto la parabola ci riporta al grande fatto che tutti siamo debitori… quanto ci fa male questa parola, oggi, dove ognuno si illude di non aver bisogno di nessuno di sapere tutto, di poter decidere lui su tutto e tutti, oggi dove il mito è il mi sono fatto da solo, dove l’altro lo rinchiudo in pregiudizi e precomprensioni che non me lo fanno incontrare veramente per chi è e per ciò che può darmi in termini di vicinanza fraterna… invece Gesù ci riporta con i piedi per terra e ci ricorda che tutti, in un modo o nell’altro, abbiamo debiti verso altri (e non sono debiti economici), e, se proviamo a guardarci dentro con onestà e trasparenza possiamo riconoscere come è grande il nostro debito verso il Signore, quanto amore Lui ha posto nella nostra esistenza e quanto poco noi siamo in grado di restituire a lui con i nostri gesti quotidiani, ma non solo, quante volte abbiamo bisogno del perdono non solo di Dio ma anche della comunità dei fratelli che abbiamo accanto, quante volte il mio vicino mi perdona…

Il Signore offre il condono al suo debitore ma implicitamente gli chiede di fare altrettanto verso i suoi fratelli, alla voce degli altri servi che dispiaciuti gli riferiscono di quel cuore duro, incapace di restituire perdono, il padrone è sdegnato perché riconosce che quel cuore si è solo approfittato della bontà e magnanimità del suo padrone ma non l’ha resa un’occasione di crescita, di incontro con quel padrone. Dio Padre vuole che impariamo da lui il nostro modo di stare insieme. Non è un incontro commerciale quello che facciamo con lui… ti regalo trequarti d’ora alla settimana, però tu in cambio… ma è un incontro dal quale siamo chiamati a trasfigurarci in un certo senso e a diventare sempre più simili a lui, non certo perché diventiamo capaci di un amore grande come il suo, ma perché proviamo a mettere in pratica nei nostri incontri quotidiani quella misericordia e quel perdono che, qui, abbiamo sperimentato sulla nostra pelle come la caratteristica distintiva del nostro Padre celeste.

Possa essere la nostra vita e la nostra comunità trasparenza del cuore di Dio.

Di |2017-09-15T12:02:58+02:0016/09/2017|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

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10 settembre

XXIII domenica del tempo Ordinario

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Quest’oggi il Vangelo ci pone di fronte ad un argomento che nella storia della Chiesa possiamo dire essere sempre stato piuttosto scottante e, altrettanto, possiamo dire che non ha perso di temperatura nell’epoca contemporanea. In effetti se in passato, a volte si è corso il rischio di interpretare queste parole nella direzione della condanna per quanti si ponevano in maniera critica nei confronti della fede o per quanti anche solo la pensavano in maniera un po’ diversa, oggi il pendolo corre il rischio di essere dall’altra parte, dove a causa della tanto declamata privacy o del crescente individualismo, che altro non sono che i due lati della stessa medaglia, si corre il rischio di non potersi non solo correggere ma, a volte, nemmeno confrontare rispetto ad atteggiamenti o a dimensioni di bene o male.

Ma, forse, potremmo azzardarci a dire che il Signore ha poco a che fare con questo pendolo… Lui sta da un’altra parte e, con lui, anche il significato e la portata di questa pagina evangelica. Anzitutto, infatti, Gesù sottolinea la dimensione ecclesiale della nostra vita di fede, una fede che non può essere vissuta da soli in un intimismo nel quale esisto solo io e il “mio dio”… magari anche ritagliato a modo mio… ma la fede si dà sempre e comunque all’interno di una dimensione comunitaria e, quindi, di fraternità. La vita di fede deve aprirci a scoprire intorno a noi dei fratelli che, proprio come noi, stanno camminando in cerca del Signore. Ricerca che non sempre è facile e proprio per questa ragione ha bisogno di lasciarsi condurre.

È proprio scoprendo accanto a me il volto e il cammino di un fratello che io sono aiutato e portato a scoprire che l’orizzonte della mia vita di fede è un “Padre nostro”. È un Dio che sì ama me in modo personale ma non mi ama in modo individuale, bensì quale fratello in mezzo a fratelli. Proprio per questo ci chiede di non essere soli ma di riunirci perché lui è in mezzo a noi proprio nel momento nel quale ci riuniamo nel suo nome.

Quante volte corriamo il rischio anche noi, di confondere questa parola con l’autorizzazione ad ergerci come giudici dei nostri fratelli, di poter sputare sentenze a destra o a manca, magari arrogandoci anche il diritto di sentenziare dei sì o dei no che nulla hanno a che vedere con il Signore…

Il Signore apra gli occhi del nostro cuore affinché anche in questa società che cerca di chiuderci in noi stessi possiamo scorgere il fratello di fede che ci sta accanto, non per porci in concorrenza ma per sorreggerci vicendevolmente nel nostro cammino comune incontro al Signore, allora sì sapremo ricevere e restituire la dimensione di una vera correzione fraterna.

Di |2017-09-09T13:07:48+02:0009/09/2017|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

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03 settembre

XXII domenica del tempo Ordinario

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Se domenica scorsa abbiamo sottolineato la rivelazione che Pietro ha ricevuto, quest’oggi eccolo immerso in una di quelle tante cantonate che lo caratterizzano. Quanta umanità traspare nel discorso di Pietro… troppa umanità, sembra essersi scordato della professione di fede nel Figlio di Dio, ed essere tornato a vederlo come un caro amico al quale, molto umanamente, augurare che non abbia mai a capitare nulla di grave, nulla che metta a repentaglio la sua vita. Sembra di sentire i discorsi che, magari, facciamo anche noi quando ci troviamo a che fare con un amico o un conoscente che sta vivendo un momento particolarmente grave o di sofferenza, magari per aver scoperto una malattia o per la perdita del lavoro o della casa, o quando la vita coniugale inizia a scricchiolare o quando i figli sono causa di grosse preoccupazioni… “Dio non voglia… non ti accadrà mai… vedrai che le cose si risolveranno”… se questo è umano, purtroppo per Pietro, però, nella relazione col Maestro non può dimenticare quanto ha dichiarato poco prima e quindi riconoscere che Gesù va al di là dell’essere un brav’uomo, un maestro degno di essere ascoltato perché ha una parola buona che ci aiuta stare meglio insieme e a comprendere come sopportarci vicendevolmente… in quelle parola “Tu sei il Cristo”, che proprio lui ha pronunciato sta racchiuso il pensare secondo Dio… un pensare che va oltre. Un pensare che non si ferma al qui e ora perché quello lo facciamo in quanto uomini, a prescindere dall’essere battezzati. Non c’è bisogno di essere battezzati per dire una parola di conforto a una persona che soffre, basta un po’ di cuore e di umanità.

Pensare secondo Dio, vuol dire fare un passo in più che è racchiuso proprio nella professione della nostra fede: prendere la propria croce e seguirlo… se il Figlio di Dio è il nostro Maestro e la nostra Guida a noi spetta di seguirlo nella strada che lui ci ha tracciato. Non si tratta di una strada facile e probabilmente anche Pietro quando si è sentito rivolgere queste parole si è trovato con le ginocchia traballanti molto più che per l’essere definito Satana… sì perché il Maestro ci vuole con sé… sì ma nel prendere la croce…

Il Signore ci dia la grazia di saperlo scegliere ogni giorno della nostra vita, di non mettere noi stessi e le nostre scelte e propensioni molto umane davanti a lui, ma ci aiuti a riconoscere che in lui la nostra vita diventa autentica, piena, si carica di senso perché ha un orizzonte che non viene meno, il giorno senza tramonto, la gloria del Padre, della quale il Figlio vuole renderci partecipi e l’ha fatto consegnando a noi la sua vita sulla croce. Il Signore ci aiuti a consegnarci a lui.

Di |2017-09-02T11:27:32+02:0002/09/2017|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

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27 agosto

XXI domenica del tempo Ordinario

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Sembra quasi un sondaggio di opinione quello che Matteo ci presenta quest’oggi… ad un ascolto superficiale del brano potrebbe venire da chiederci se Gesù fosse preoccupato della sua immagine, di quale ritorno stava avendo la sua predicazione… quali erano le chiacchiere che si sentivano sulla bocca della gente provando ad ascoltare un po’ nelle retrovie…

Ma non facciamoci catturare da attenzioni molto moderne e molto umane. La domanda di Gesù, infatti, è ben più profonda e credo che vada sempre e solo letta insieme alla seconda domanda: Ma voi, chi dite che io sia? Di nuovo non da intendere come sondaggio rivolto questa volta ai vicini, a coloro che gli stavano accanto ogni giorno, piuttosto le due domande hanno un avvicinamento progressivo per arrivare a suscitare nel cuore dei discepoli la loro personale professione di fede. Partendo da qualcosa fuori di loro, Gesù li invita a guardarsi dentro, a porsi in un confronto serio con la sua persona e il suo annuncio e da qui li invita a riconoscere di aver a che fare con qualcosa di più di un semplice profeta o di un bravo maestro che parla bene, fa qualche miracolo qua e là…

A prendere la parola a nome di tutti è Pietro che lo definisce Cristo, cioè Messia, l’unto del Signore, il suo inviato e Figlio del Dio vivente. La sua risposta non è quella del, potremmo dire, “più bravo della classe” che ha alzato per primo la mano… e Gesù subito ce lo restituisce in quella beatitudine che pronuncia nei suoi confronti. Pietro non è beato perché ha dato la risposta giusta, perché si è messo lì a studiare tutti i discorsi o i gesti del Maestro e ne ha ricavato una bella sintesi, teologicamente impeccabile, studiata bene ed espressa altrettanto bene, no! La beatitudine di Pietro è racchiusa in una rivelazione del Padre che si è servito di lui proprio per esprimere il significato profondo dell’incarnazione del Figlio di Dio.

Ecco allora che proprio su questa affermazione, su questa professione di fede Gesù fonda l’edificazione della Chiesa. Non l’ha fondata sulla bravura di Pietro… sappiamo bene tutti quante figuracce infatti fa lungo tutto il Vangelo… possiamo proprio dire che Pietro incarna bene l’immagine di ciascuno di noi, nel nostro tentativo di seguire il Signore, magari anche con un cuore caldo, disponibile… eppure soggetto a prendere tutta una serie di cantonate dovute alla nostra fragilità umana.

Siamo ancora nel pieno delle nostre celebrazioni patronali e Alessandro è lì ancora come testimone credibile che le porte degli inferi non prevarranno contro la Chiesa, anche quando si illuderanno di averla fermata… ci sarà sempre il soffio dello Spirito che, facendola rifiorire, le darà nuovo vigore, nuova vita. Nei prossimi secondi di silenzio prendiamo in mano la nostra fede e rispondiamo nel nostro cuore a quella stessa domanda rivolta ai Dodici e oggi rivolta a noi: “Ma voi, chi dite che io sia?”… “Chi sono io per te, per la tua vita, oggi?”

Di |2017-08-27T09:01:29+02:0027/08/2017|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale
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