Senza categoria

Home/Senza categoria

Commento alla Parola domenicale

06 marzo

Leggi le letture di questa domenica

Siamo di fronte ad una delle parabole più conosciute del Vangelo, il Padre Misericordioso, o il Figliol prodigo, a seconda di quale dei personaggi si vuole considerare…

Stupisce sempre il comportamento del Padre, un amore grandissimo per suo figlio, un amore che accoglie anche il lasciarlo partire per un paese lontano… chissà quanta sofferenza ha provato quel papà… al punto da essere lì ad aspettarlo… ce lo immaginiamo alla finestra a scrutare l’orizzonte, a guardare infondo alla strada, con la speranza che prima o poi possa fare capolino il figlio. Un amore così grande da essere disposto a soffrire per il distacco, eppure un amore così grande proprio perché è un amore che lascia liberi…

Nessuno però dei due figli aveva scoperto e percepito su di sé il sapore di quella libertà… il più piccolo, quello che se ne va di casa, ha percepito la libertà come l’andarsene di casa, lo sbattere quasi la porta, il fare “quello che c’ho voglia” che chissà quante volte abbiamo sentito o magari abbiamo pronunciato noi stessi… il secondo si sentiva al pari di uno dei servi di quella casa, non un figlio libero, solo che non aveva mai avuto il coraggio di chiedersi cosa fosse la libertà, in che modo l’abitare quella casa poteva voler dire farlo da vero figlio, libero, libero di amare il Padre e di lasciarsi amare dal Padre.

Ecco che l’amore apre alla libertà. Il figlio che ritorna scopre cosa sia veramente e fino in fondo la libertà… non di certo quella che aveva cercato lontano sperperando tutto il denaro che il padre gli aveva consegnato… la libertà di essere nuovamente accolto in quella casa, pienamente reintegrato da vero figlio, a tutti gli effetti (anello al dito, vestito bello, festa per il ritorno…).

L’altro fratello non capisce, si lascia prendere dalla rabbia o magari un po’ anche dall’invidia per quel figlio che è tornato e viene accolto con una grande festa che non era mai stata fatta per lui…

Quante volte anche noi ci illudiamo che la nostra libertà risieda nel fare quello che vogliamo, invece Gesù ci insegna che la libertà più grande l’abbiamo dall’amare, che è proprio la parola che guida questa settimana. AMARE vuol dire essere persone autentiche, libere, capaci di accogliere gli altri così come sono, accogliere che l’altro abbia anche strade diverse, accogliere se ritorna. Amare non vuol dire mettere un guinzaglio, legare a sé soffocando l’altro, amare è fare posto all’altro nella nostra vita, un posto che lo fa sentire a casa, amato, riconosciuto per quello che è veramente. Gesù e il Padre fanno questo per noi, attendono che noi torniamo per accoglierci nel loro abbraccio, per farci sentire veramente a casa con loro.

Chiediamo al Signore in questa settimana di saper accogliere il suo invito ad amare, non perché siamo particolarmente bravi, ma perché sentendoci amati noi per primi sentiamo il bisogno di restituire questo amore a quanti abbiamo accanto.

Di |2016-03-06T15:12:12+01:0006/03/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola domenicale

28 febbraio

Leggi le letture di questa domenica

Quante volte capita anche a noi, magari, di fare un po’ lo stesso ragionamento di quei farisei che si presentano a Gesù chiedendo in un certo senso che male possono aver fatto di particolare quelle persone colpite in maniera così forte da eventi tragici o inspiegabili…

Ci spiazza sempre la risposta che Gesù offre: “credete che fossero più peccatori o più colpevoli”… il nostro modo di ragionare ci pone sempre in una dinamica di causa-effetto, di ricerca di qualche motivazione che giustifichi un avvenimento di tale portata. Gesù afferma che quanto è successo non è da interpretare né come castigo, né come conseguenza meritata di qualcosa che quelle persone possono aver fatto.

È un po’ come quando ci capita di sentire o, magari, di dire noi stessi: “che male ho fatto perché mi capiti questo…” la direzione del pensiero è la stessa: il Signore mi sta castigando per qualcosa che posso aver fatto, per un peccato, una cattiva azione…?

Gesù ci ammonisce e ci invita invece a considerare la necessità della conversione per realizzare una vita capace veramente di portare frutti e frutti buoni.

Non come quel fico che sfrutta il terreno ma è incapace di dare frutto. Quante volte la nostra vita spirituale è un po’ come quel fico: incapace di dare frutto, sterile o meglio… egoista, una vita che cerca di trattenere tutto per sé, senza aprirsi a generare nulla, incapace di donarsi… sì perché, in fondo, il frutto per una pianta ha queste due caratteristiche: quello di essere qualcosa di generato e capace a sua volta di generare una nuova pianta e il fatto di essere fondamentalmente un dono in quanto viene consumato da quanti lo gustano. Una pianta non trattiene i suoi frutti, altrimenti marciscono e diventano inutili.

Peccato che il fico della parabola di frutti non ne produce proprio. Ma il contadino non si arrende e propone al padrone del terreno di attendere ancora un anno affinché possa prendersene cura in maniera particolare. COLTIVARE è, allora, il verbo che caratterizza il tema di questa settimana. Sì perché in fin dei conti la nostra anima, il nostro spirito, la nostra vita spirituale ha bisogno di essere coltivata, non può essere lasciata allo stato “selvatico”, come un albero non curato, ha bisogno che le zappiamo intorno, che le diamo del concime, insomma che ci prendiamo cura anche di questo aspetto della nostra esistenza.

E il prenderci cura non è per paura di quelle conseguenze di cui accennavo all’inizio, ma un prendersi cura perché se non si producono frutti si diventa una pianta sterile, incapace di donarsi agli altri. Il tempo, l’occasione ci viene offerta, la possibilità per quel fico è prorogata per un anno, il Signore si aspetta frutti veri di conversione, di vicinanza a lui, si aspetta che ci prendiamo cura della nostra anima, della relazione tra di noi e con lui. Giocare con lui confidando che tanto quella pianta non verrà tagliata ma c’è sempre tempo potrebbe essere molto pericoloso. Ce lo dice anche la lettera ai Galati: “Non ci si può prendere gioco di Dio. Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato”. Prendiamo sul serio questo tempo che abbiamo ancora davanti a noi e viviamolo con spirito di autentica donazione agli altri e al Signore, allora i frutti ci saranno e, col Suo aiuto, saranno davvero frutti buoni e succosi.

Di |2016-02-28T13:55:42+01:0028/02/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola domenicale

21 febbraio

Leggi le letture di questa domenica

Saliamo anche noi sul monte con Gesù, quanta emozione avranno provato quei tre discepoli ad essere stati scelti dal Maestro per trascorrere una giornata di preghiera con lui. Si sono incamminati, hanno salito le pendici del monte Tabor, giunti in cima ecco che Gesù si pone in preghiera, mentre i suoi tre compagni di viaggio si addormentano.

Questa situazione di sonno, di oppressione, se ad un primo momento ci scandalizza perché ci fa dire: ma come fai a dormire di fronte ad un avvenimento tanto bello, di fronte al manifestarsi della gloria del Cristo! Gesù ti sceglie per stare con Lui, per condividere con Lui quel momento di paradiso qui sulla terra, ti mostra che al di là della sua passione e morte, lo attende la gloria… e tu ti addormenti.

Stiamo attenti però a non cadere in facili scandali, stiamo attenti a non puntare il dito, quante volte potremmo dire che anche il nostro spirito, il nostro cuore è addormentato di fronte al Signore, quante volte Dio manifesta cose meravigliose nella nostra vita e noi languiamo in un sonno profondo senza che queste cose minimamente ci sfiorino…

Quanta fatica facciamo, spesso, a cogliere la presenza attiva di Dio nelle nostre giornate, a riconoscere la grandezza del dono dell’Eucaristia, di quel nutrimento che è il suo Corpo e il suo Sangue, la sua Parola che si spezza per noi e ancora dopo 2000 anni ha qualcosa da dire anche a noi, alla nostra vita…

Allora forse è proprio giusto il verbo che il nostro cammino di quaresima ci indica per questa settimana: RISVEGLIARE.

Sì, anche noi come i tre discepoli abbiamo bisogno di risvegliarci, riprenderci da quel torpore nel quale la nostra vita, la nostra routine ci ha fatti cadere ed aprire gli occhi davanti alle meraviglie operate da Dio nella nostra storia… non parlo della storia dell’umanità, ma di quella più vicina, nella mia storia, nella tua storia… se apriamo bene gli occhi del cuore, infatti, possiamo vedere e riconoscere che Dio non è rimasto con le mani in mano, ma ci ha manifestato concretamente il suo amore e la sua vicinanza.

Non corriamo anche noi però il rischio di fare come Pietro, di dire cose senza sapere ciò che diciamo, fermiamoci a contemplare l’azione di Dio tenendo sempre le orecchie aperte, pronte ad accogliere la sua parola. È bellissimo infatti l’annuncio che il Padre fa udire dai cieli: “Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!”. Sì Gesù va ascoltato proprio perché è la Parola eterna e vera del Padre stesso, è il Verbo (come l’evangelista Giovanni ci ha sottolineato la mattina di Natale) e come ogni verbo, ogni parola è pronunciata perché sia ascoltata, accolta, interiorizzata e fatta propria nella vita. Chiediamo al Signore la grazia in questa settimana e nel proseguimento del nostro cammino verso la Pasqua, di fare spazio nella nostra vita all’ascolto della sua Parola e risvegli il nostro cuore a riconoscere la sua azione nella nostra storia.

Di |2016-02-21T10:13:45+01:0021/02/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola domenicale

14 febbraio

Leggi le letture di questa domenica

Come ogni anno, in questa prima domenica di quaresima ci viene presentato Gesù che, nel deserto viene tentato da Satana. Quei quaranta giorni ci ricordano molto da vicino i 40 anni del popolo di Israele trascorsi nel deserto per passare dall’Egitto alla Terra Promessa. Anni di tentazioni, anni di purificazione per raggiungere un’autentica libertà dell’anima, la libertà dall’Egitto che andava al di là della pura libertà fisica di non essere più tenuti schiavi da parte del Faraone, ma una libertà ben più profonda, quella di chi riconosce la propria dignità e l’amore che Dio ha per ogni uomo.

Gesù nel deserto ci ricorda questo: quanto è grande la dignità di noi uomini… al punto da poter andare al di là delle cose, di quei beni senza i quali ci sembra a volte mancarci la terra sotto i piedi, quelle cose che a volte identifichiamo con la nostra stessa vita, con la nostra esistenza…

Gesù va nel deserto, il luogo dove si sperimenta l’assenza, la precarietà, la sobrietà… è lì che scopri la grandezza del tuo essere uomo e donna, nel venir meno di tutte le illusioni materiali che, quasi come dei miraggi, ti tengono ancorato al loro possesso… potremmo dire quasi schiavizzandoti perché ti stringono in una morsa spietata, nella quale si invertono i ruoli: mentre tu credi di possedere le cose, in realtà sono loro a possedere te perché non riesci più nemmeno ad immaginare e ipotizzare la tua vita senza certe cose, certi beni divenuti ormai di prima necessità…

Proprio davanti a questa Parola di Dio, il nostro cammino diocesano di quaresima ci propone un verbo che immediatamente siamo soliti collegare al cibo, ma forse non è il caso di dargli questa esclusiva: DIGIUNARE.

In senso stretto, appunto, digiunare vuol dire non mangiare, è ciò che Gesù a fatto nel deserto per quei 40 giorni. Ma digiunare è quanto siamo chiamati a fare anche noi, non evitando di mangiare per tutta la quaresima, ma ponendo qualche gesto significativo che ci faccia riconoscere nuovamente la nostra dignità di uomini e donne capaci di essere superiori alle cose che abbiamo.

Inoltre questo verbo è connesso alle due opere di misericordia corporale dare da mangiare agli affamati e da bere agli assetati. Il nostro digiuno non sia fine a sé stesso, ma questo digiuno ci apra gli occhi nei confronti di quanti sono in situazioni di disagio o di bisogno, ci permetta di incontrare il loro sguardo, di comprendere un po’ più da vicino la loro situazione, di sentirli un po’ più fratelli. Questo cammino di quaresima ci aiuti ad avvicinarci a noi stessi, ricavandoci dei tempi per coltivare la nostra interiorità, ci avvicini al Signore riconoscendolo come colui che ha vinto le tentazioni e ci aiuta nel nostro cammino quotidiano… e ci avvicini a quanti incrociamo nella nostra vita riconoscendoli sempre più come nostri fratelli.

Di |2016-02-14T08:25:45+01:0014/02/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola domenicale

31 gennaio

Leggi le letture di questa domenica

Prosegue quest’oggi il brano di vangelo di domenica scorsa, Gesù è ancora lì, nella sinagoga di Nazareth, tutta la gente, i suoi compaesani, sono lì intorno a lui che lo ascoltano, hanno certamente della curiosità nei suoi confronti… eppure quando Gesù dice di essere il compimento della profezia di Isaia che abbiamo ascoltato domenica scorsa, le cose sembrano non funzionare più così bene, sembra incepparsi la relazione, la disponibilità all’ascolto…

Possiamo quasi percepirlo quel brusio… il classico chiacchiericcio quando uno la spara un po’ troppo grossa, quando uno sta esagerando… e i suoi compaesani fanno proprio questo… iniziano a dire in un certo senso: ma chi si crede di essere questo qui, come si permette di ritenersi lui il messia… lo conosciamo bene… è il figlio di Giuseppe, sembra un po’ quello che succedeva anche nei nostri paesi e forse anche qui nel nostro quartiere nel cuore della città, quando ancora ci si conosceva tutti… sì è quella persona, ti ricordi quello che ha fatto, e suo padre è quello che faceva il tal lavoro…

Fatto sta che questo brusio, facendo aprire le bocche provoca anche la chiusura delle orecchie e del cuore. Il brusio, la chiacchiera per utilizzare un termine caro a papa Francesco per indicare un male diffuso nelle comunità, non permette di accogliere agli abitanti di Nazareth l’annuncio che Gesù sta facendo loro di un qualcosa di straordinario come il concretizzarsi di quella profezia, allo stesso modo, il nostro brusio interiore non ci permette di accogliere e fare spazio a quanto la Parola di Dio quest’oggi ci vuole dire. Solo nel silenzio del cuore la parola di Dio può manifestarsi e mostrarci la meravigliosa grandezza dell’annuncio che porta con sé.

Ma Gesù non sembra assecondare i suoi compaesani, anzi al contrario sembra quasi volerli provocare, calca la mano dicendosi un profeta e non uno qualunque ma uno al pari di Elia e Eliseo. Un profeta chiamato a guardare non solo al popolo di Israele ma ad avere uno sguardo capace di andare più in là per accogliere anche altri che del popolo non fanno parte perché nessun profeta è ben accetto in patria, ma il profeta porterà il suo annuncio là dove ci saranno cuori aperti e disponibili ad ascoltare la sua parola, il suo invito.

Quanto siamo imprevedibili noi esseri umani, di fronte ad una parola tanto bella e carica di speranza la risposta quale è stata? Lo sdegno da parte di tutti e il cercare di eliminare Gesù, invece di accogliere l’annuncio nuovo che li stava raggiungendo come una grazia inattesa, si chiudono e preferiscono restare al sicuro nelle loro certezze terra terra. Non scandalizziamoci e non sdegniamoci, ma quante volte anche noi siamo lontani dal lasciarci orientare dal Signore alla speranza, al riconoscere quell’anno di grazia di cui abbiamo udito settimana scorsa l’annuncio, a riconoscere in Gesù il segno dell’amore del Padre.

Gesù si pone in cammino, la sua missione è di portare a tutti quell’annuncio, andiamo dietro a lui, fidiamoci di lui, ascoltiamo la buona novella che rivolge alla nostra vita qui ed oggi… scopriremo che le nostre giornate acquisteranno veramente sapore, quello vero, quello che solo lui ci può dare.

Di |2016-01-30T20:43:56+01:0031/01/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola domenicale

24 gennaio

Leggi le letture di questa domenica

Inizia con questa domenica del tempo ordinario la lettura continuata del vangelo di Luca che caratterizzerà questo anno e la liturgia, come a volerci far entrare subito nelle intenzioni dell’evangelista ci propone il prologo del suo vangelo, nel quale ci viene confermato che quanto ascoltiamo, che gli insegnamenti sui quali basiamo la nostra fede, non sono delle storielle campate per aria, non sono le favolette per i bambini, le storie della buona notte, si tratta invece di un resoconto ordinato di quanto i testimoni oculari del cammino del Signore Gesù hanno trasmesso in prima persona. Luca parte da lì, da quei racconti certi, dalla testimonianza diretta di coloro che hanno seguito Gesù, che da lui si sono lasciati affascinare e trasformare la vita, l’esistenza e a sua volta propone a noi questa testimonianza perché anche noi possiamo lasciarci conquistare dal Signore Gesù e abbandonarci in lui, lasciare che sia lui a orientare la nostra esistenza verso il Padre.

Se questo, allora, possiamo dire che è l’intento di Luca, ecco che trova subito concretezza nel proseguimento del brano. Certo nel Vangelo abbiamo operato un salto tra la prima e la seconda parte in quanto dai primi versetti del primo capitolo siamo subito passati con il racconto nella sinagoga al capitolo 4°. In mezzo c’è tutta l’infanzia di Gesù, la predicazione del Battista e le tentazioni nel deserto.

Gesù nella sinagoga, ci esplicita a  sua volta il senso della sua incarnazione, della sua presenza lì, in mezzo al popolo di Israele, e lo fa prendendo a prestito le parole del profeta Isaia, con quel grandioso annuncio di un anno di grazia del Signore. L’annuncio della presenza nel mondo dell’inviato di Dio, del suo unto, del Messia che porta questo lieto messaggio. Un messaggio di liberazione, di guarigione, di restituzione della dignità.

È il brano dell’attesa messianica, uno dei brani che dicevano la speranza del popolo di Israele di vedersi nuovamente libero da tutte le forme di schiavitù. Gesù, dopo aver letto il brano, siede. Assume l’atteggiamento dei maestri, si siede e la gente attende una sua parola, un suo commento. La curiosità, la voglia di comprendere cosa quel loro compaesano legge tra le righe di quell’antica profezia, e… sbalorditivo, Gesù afferma che oggi questa Scrittura si è compiuta. Oggi si sta manifestando la presenza di questo unto del Signore che porterà la libertà al popolo.

Riconosciamo in Gesù colui che viene a liberare ciascuno di noi, fidiamoci della sua parola, una parola capace di liberarci dalle catene del male e dell’egoismo nelle quali ognuno di noi, tanto o poco è avvinghiato. Riconosciamo in Gesù, l’inviato del Padre per mostrarci e dimostrarci quanto questo Signore ama l’umanità, a che punto è disposto ad arrivare a nostro favore. Mettiamoci anche noi in ascolto della sua parola, riconosciamola come una parola vera e forte, che di generazione in generazione si mantiene solida perché non è un annuncio di uomini ma ha dentro di sé la forza e la solidità stessa di Dio.

Di |2016-01-30T20:44:12+01:0024/01/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola domenicale

17 gennaio

Leggi le letture di questa domenica

Se un matrimonio voleva cominciare male, diciamo che quello di Cana ci stava proprio riuscendo… il venir meno del vino nel corso della festa, avrebbe voluto dire proprio rovinare quel momento così bello e familiare, quella gioia che, allora come oggi, accompagna l’unione di due persone per costituire una nuova famiglia.

È acuto lo sguardo di Maria… è la prima ad accorgersi di questa carenza. Hanno sbagliato gli sposi a calcolare quanto vino comprare? Non avranno avuto soldi a sufficienza per comprarne di più? Avranno esagerato gli invitati, come a volte succede anche oggi? Non ci è dato saperlo, tant’è che quel vino non basta, la festa dovrà, quindi, rapidamente volgere al termine. Maria interpella Gesù. Non fa grandi discorsi, semplicemente si limita a far constatare a suo figlio, presente come invitato a nozze, questa mancanza. “Non hanno vino”. È una frase molto lapidaria e scarna, indica la premura di questa madre e sposa perché i festeggiati non si vedano rovinati i primi momenti del loro vivere insieme.

Sentiamo Maria vicina anche alla nostra vita, con uno sguardo attento all’esistenza di ciascuno di noi e che, all’occorrenza rimanda a Gesù le nostre difficoltà. Confidiamo che quando non ce la facciamo più, Maria ripeta a suo figlio quel “Non hanno più vino”, mettiamoci prima il nome di ciascuno di noi…

Per Gesù non è ancora il tempo di manifestarsi, non è ancora la sua ora, eppure si lascia commuovere da quella coppia di sposi ignari della situazione… al punto che in tutto il brano di loro non c’è traccia se non alla fine, quando il maestro di tavola chiama lo sposo.

Gesù non vuole fare tutto da solo, vengono coinvolti i servi e in maniera abbastanza pesante… 6 anfore di pietra contenenti da 80 a 120 litri… se facciamo una media sono circa 600 litri di capacità e Gesù chiede che vengano riempite. Capiamoci bene, non c’era l’acqua corrente all’epoca, bisognava andare al pozzo a prendere l’acqua e travasarla nelle giare… ma quei servi non battono ciglio, vanno e fanno quanto richiesto da questo sconosciuto e lo eseguono fino in fondo, non si risparmiano, riempiono fino all’orlo. Ma se questo costa un po’ di fatica fisica e qualcuno potrebbe dire che era il loro lavoro, il loro compito… io mi chiedo quanti di noi avrebbero avuto il coraggio di fare quanto poi Gesù ha chiesto: prendere un po’ di quell’acqua e portarla al maestro di tavola spacciandola per vino. Poteva costare loro molto caro uno scherzetto di questo genere, eppure eseguono, si fidano… ed ecco che l’acqua non è più tale ma è diventata il vino più buono servito a quel banchetto. Gesù offre anche a noi il vino buono, è lui il vino della gioia, della festa, la bevanda che disseta la nostra vita e si offre a noi, ogni volta che ci accostiamo a questo altare. Fidiamoci di lui, dei suoi modi e tempi, anche quando ciò che ci chiede facciamo fatica a comprenderlo. Affidiamoci a lui, lui trasformerà la nostra vita riempita di semplice acqua in una vita colma della gioia del suo vino, della sua presenza.

Di |2016-01-17T09:45:37+01:0017/01/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola domenicale

10 gennaio

Leggi le letture di questa domenica

Per la liturgia sono già passati trent’anni, gli anni della vita nascosta di Gesù sono ormai dietro le sue spalle, si è fatto uomo, adulto, la sua permanenza a Nazareth si è conclusa e si è fatto il tempo di partire… in tutti i sensi, partire dal suo villaggio e partire anche come “cominciare” il dare l’avvio alla sua missione di annuncio a tutto il popolo della lieta novella che il Regno di Dio è vicino, che Dio non ha cessato di prendersi cura del suo popolo.

E proprio questo popolo è il primo ad esserci presentato quest’oggi. Potremmo definirlo un popolo affascinato dalla predicazione di quel personaggio tanto particolare come era Giovanni il Battista, al punto di chiedersi se non fosse lui l’inviato del Signore.

Giovanni non cede alle lusinghe, non accetta questo giochino, immediatamente mette le cose in chiaro, si fa da parte, lascia il posto al vero inviato del Signore… viene uno più forte di me. Sì, il Messia sarà più forte di lui, non nel senso che utilizzerà la forza per sottomettere e schiacciare i nemici, ma avrà in sé la forza stessa di Dio e battezzerà in Spirito Santo e fuoco.

Quanta umiltà ci insegna Giovanni, quanta capacità di mettersi da parte perché il Signore possa manifestarsi con tutta la sua forza e grandezza e possa risplendere davanti a tutti il volto del Signore e non il suo. Come sarebbe bello se anche noi imparassimo lo stesso stile dimesso del Battista e lasciassimo intravedere un po’ di più nella nostra esistenza l’azione stessa di Dio.

E Gesù, prima di predicare si avvicina proprio a questo popolo in ricerca, desideroso di avviare un cammino di conversione per poter fare un’autentica esperienza di Dio, si immerge in questo popolo, quasi mimetizzandosi, nascondendosi in mezzo ad una folla di peccatori e anche lui si fa battezzare da Giovanni. È significativo che dopo aver ricevuto il battesimo, Gesù abbia sostato in preghiera, si è fermato, ha instaurato un dialogo col Padre, si è consegnato e affidato interamente a lui, ha consegnato quel popolo che con lui è stato battezzato in quelle stesse acque, ha affidato la missione che da questo momento si apriva davanti a lui… non conosciamo direttamente il contenuto della sua preghiera, però ci affascina e non può lasciarci indifferenti il fatto che il Signore per primo nei momenti significativi della sua esistenza si sia fermato a dialogare col Padre. Quanto bisogno abbiamo anche noi di fermarci un po’ e di consegnarci a Dio. Prenderci del tempo affinché quanto siamo e facciamo assuma senso e sapore alla luce stessa di Dio. La risposta di Dio non si è fatta attendere, è la manifestazione della Trinità: la voce del Padre, il Figlio in preghiera e lo Spirito Santo in forma di colomba. Dio Padre attesta in quell’uomo il proprio Figlio amato, nel quale anche ciascuno di noi si può sentire veramente figlio. Sentiamo Gesù vicino a noi, così come è stato vicino a quei suoi compaesani nel ricevere il battesimo, ma percepiamo che proprio grazie a lui ci viene offerta la possibilità della salvezza che ogni domenica celebriamo proprio nell’Eucarestia, in quel pane e questa parola spezzati per la nostra salvezza.

Di |2016-01-10T13:43:36+01:0010/01/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola domenicale

03 gennaio

Leggi le letture di questa domenica

Siamo ancora nella gioia del Natale e la liturgia ci ha proposto ancora il Vangelo del giorno di Natale: il prologo di San Giovanni.

Il legame tra la prima lettura e il Vangelo ci porta a riflettere quest’oggi sul fatto che il Signore ha posto la sua tenda in mezzo a noi, venne ad abitare in mezzo a noi. Sì, quella sapienza divina riferita dal libro del Siracide, quella stessa sapienza a cui il Creatore diede l’ordine di fissare la tenda in Giacobbe e di affondare le radici tra i suoi eletti, eccola trovare concretezza proprio nella venuta in mezzo all’umanità del Figlio di Dio, di Gesù, il messia tanto atteso dal popolo dell’alleanza, dal popolo di Israele.

Questo Figlio venuto nel mondo per rivelarci il volto del Padre. Lui, l’unico ad aver conosciuto il Padre ci è stato inviato proprio per renderci partecipi dell’amore che Dio nutre per l’umanità. Un amore tanto grande da non riuscire a lasciare sola l’umanità, ma ha deciso di renderci partecipi del suo amore inviandoci il Salvatore, il Verbo, che è Dio ed era presso Dio, ma è disceso in mezzo a noi, facendosi uomo in tutto come noi, eccetto il peccato, per aiutarci a ritornare al Padre.

Sì, perché come ci ha rassicurati san Paolo, nella seconda lettura, il Padre ci ha predestinati ad essere suoi figli adottivi per mezzo di Gesù. Il suo essersi fatto uomo come noi ci ha permesso di diventare a nostra volta figli nel Figlio di Dio. È proprio grazie a questo suo disegno d’amore che siamo resi partecipi della sua volontà di salvezza nei confronti dell’intera umanità e che anche noi possiamo chiamare Dio come nostro Padre.

Sentiamoci rivolto in questi primi giorni di questo anno nuovo lo stesso augurio che Paolo rivolge ai cristiani di Efeso: il Padre vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi. Il Signore ci faccia veramente conoscere qual è la speranza alla quale ci ha chiamati, la speranza della nostra salvezza, del nostro essere suoi figli. Illumini gli occhi del nostro cuore all’accoglienza della luce che suo figlio Gesù è venuto a portare alle nostre vite buie e spente. Portiamo nella nostra vita di ogni giorno la vicinanza di questo Dio che ha voluto farsi così prossimo, così vicino all’umanità da entrare a farne parte, non sentiamolo lontano ma sempre vicino a noi alle nostre vite, alle nostre fatiche di ogni giorno.

Di |2016-01-03T08:40:49+01:0003/01/2016|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola domenicale

27 dicembre

Leggi le letture di questa domenica

Sono già passati dodici anni, la liturgia ci porta già ad incontrare un Gesù adolescente, o meglio un Gesù già cresciuto al punto di avere la possibilità di confrontarsi con i grandi maestri del tempio. Era così, a dodici anni si poteva leggere la bibbia e si entrava a far parte, in un certo senso, del mondo adulto.

Anche Maria e Giuseppe sembrano stupirsi tanto quanto noi per questo, ma non solo per la possibilità, ma per tutto quanto avviene e per quelle parola che Gesù rivolge loro. Oggi è la festa della sacra famiglia, non della famiglia in genere, anche perché se si prendesse questo brano a paradigma del rapporto genitori figli credo che non sarebbe molto corretto. Luca con il suo vangelo non vuole mostrarci un Gesù disubbidiente e nemmeno uno irrispettoso dei propri genitori.

È bello, invece, l’atteggiamento nel quale questa famiglia vive ogni occasione della propria esistenza. Tutti e tre, potremmo dire, vivono con lo sguardo rivolto verso il cielo… non fraintendiamo, non sono con la testa fra le nuvole, ma ogni loro azione ha come orizzonte Dio. È bello il fatto che ogni anno facessero il pellegrinaggio a Gerusalemme, al tempio e vi portano anche Gesù.

Lì potremmo dire che Gesù inizia a scorgere la sua vocazione, la sua chiamata, lo scopo della sua incarnazione, la sua missione in mezzo a questa nostra umanità: devo occuparmi delle cose del Padre mio.

Non si tratta di una risposta irriverente nei confronti di Maria e Giuseppe, ma il suo riportarli al senso profondo della sua nascita. Quanta tenerezza ci fanno questi due genitori che non comprendono ciò che Gesù dice loro, eppure accolgono quelle parole come un segno, come qualcosa da custodire nel cuore, qualcosa di non chiaro che via via assumerà consistenza con il crescere di quella vita.

E Gesù accoglie fino in fondo il suo essersi fatto uomo, nato in una famiglia, torna a casa, con i suoi genitori e sta loro sottomesso, non è ancora il tempo della sua manifestazione, è presto perché la sua missione trovi concretezza in un annuncio, iniziano gli anni della vita nascosta, quella vita nella quale Gesù ha imparato a conoscere, apprezzare e accogliere fino in fondo la nostra umanità. È qui che scopriamo la bellezza e la grandezza della sua incarnazione, che va al di là della tenerezza che può suscitare nel cuore l’immagine del bambinello, è invece il portare dentro di sé tutto di questa nostra umanità eccetto il peccato, accettare di farla sua poco per volta, nel nascondimento di una casa qualunque, in una famiglia qualunque in un paesino sconosciuto… è cresciuto in età, sapienza e grazia davanti a Dio e agli uomini, perché solo così poteva salvare l’umanità, facendola propria, facendosene carico dal suo interno.

Sentiamoci oggetto di questo amore profondo di Dio per l’umanità, come Maria accettiamo di non comprendere tutto dell’azione di Dio nella nostra vita, riconosciamo anche che i tempi del Signore non sempre corrispondono ai nostri, chiediamo a lui di avere ogni giorno lo sguardo rivolto al cielo, riconoscendo che l’orizzonte della nostra esistenza è lui e l’incontro con lui.

Di |2015-12-27T16:23:26+01:0027/12/2015|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale
Torna in cima