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Commento alla Parola domenicale

17 dicembre

III domenica di Avvento

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Quest’oggi la liturgia ci porta ad incontrare un po’ più da vicino la figura del Precursore, di Giovanni il Battista. Abbiamo ascoltato una specie di interrogatorio da parte di sacerdoti e leviti… i quali non erano propriamente interessati alla sua persona né alla sua predicazione, ma solo si facevano portavoce di altri, devono portare una risposta ad altri.

Giovanni non si tira indietro ma, da profeta quale è, dice di sé utilizzando alcune figure. Anzitutto dice chi non è: non è né il Cristo, né Elia, né il grande profeta. Ma lui si definisce voce… quanta differenza fra la voce e la parola, fra la voce, il suono e il verbo, il contenuto di quel suono che giunge ai nostri orecchi. Giovanni si presenta come voce per lasciare spazio e rilevanza al Verbo di Dio, a colui che è la Parola vera, al Messia.

Se la voce passa, il Verbo resta. È ciò che avviene ogni volta che qualcuno pronuncia una parola: la voce dura giusto l’istante in cui viene emesso il suono, la voce altro non è che il vibrare di onde sonore nell’aria… passate le onde l’aria torna ad essere la stessa, silenziosa tanto quanto prima e l’aria non muta a seconda del peso e della forza dei contenuti veicolati da quella voce che li ha pronunciati.

Invece il Verbo, il contenuto di quella parola che ci raggiunge, quello resta. Se tuo marito, tua moglie o i tuoi figli ti parlano la loro voce ad un certo punto termina, smette di risuonare nella stanza, ma il contenuto di quanto ti hanno detto rimane nel tuo cuore, lo porti con te.

È un po’ ciò che avviene nella liturgia: sono gli spazi di silenzio… non è perché chi presiede è stanco di parlare e allora si ferma qualche istante, non è nemmeno perché la mente abbia modo di vagare e distrarsi un attimo fra un gesto e l’altro… anzi è proprio il contrario, è far sì che zittita la voce possa echeggiare nel nostro cuore il Verbo, il contenuto, il peso profondo di quella parola che ci ha raggiunto. Il silenzio della liturgia è proprio il momento nel quale ci accorgiamo di quanto sono relative le nostre parole, mentre è il Signore ad agire nei nostri cuori.

Giovanni, quest’oggi ci pone davanti proprio a questo, la sua testimonianza nei confronti della luce, non è la luce stessa, ma lui ce ne indica la presenza, l’importanza, ci traccia una direzione perché possiamo incontrare il Signore della nostra vita, il nostro salvatore.

Possa la nostra vita lasciar echeggiare nel nostro cuore la parola che Gesù semina ogni settimana in noi, possiamo in questi ultimi giorni prima di Natale trovare spazi di silenzio e di interiorità per lasciare che quella luce rischiari le nostre vite e nei nostri cuori risuoni la sua Parola di salvezza.

Commento alla Parola domenicale

10 dicembre

II domenica di Avvento

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Abbiamo appena ascoltato i primi versetti del Vangelo di Marco, quella parola inizio credo che ci provochi in maniera forte: nessun autore inizia la propria opera dicendoci che quello è l’inizio… ogni lettore è in grado di comprendere che le prime righe sono l’inizio del racconto, ma quella parola inizio va ben più in profondità… non è l’inizio del libro, bensì di quel vangelo, di quella buona notizia che è Gesù stesso. Possiamo dire che Marco sottolinea con questo incipit, il fatto che da lì in poi la storia ha un nuovo inizio, una svolta talmente radicale da ricominciare, quasi. Sì perché già la prima pagina della bibbia parlava di inizio… “In principio…” possiamo dire di essere di fronte ad un nuovo principio, ma questo inizio non deve restare chiuso nelle pagine di un libro, ma essendo la Parola di Dio viva ed efficace, ancora oggi, ecco che anche in questo momento ci troviamo di fronte ad un nuovo inizio. Il tempo di avvento nel quale siamo immersi ci richiama proprio ad un nuovo inizio, non per nulla la Chiesa fa cominciare il suo anno liturgico proprio con questo tempo, perché ciascuno di noi si prenda in mano e scopra cosa questa buona novella sta dicendo di nuovo alla sua vita. Certo che l’abbiamo già ascoltata 3 anni fa questa parola, ma oggi non siamo di certo uguali a 3 anni fa, per cui non ci può dire le stesse cose, pur utilizzando le stesse identiche parole, ci provoca in maniera nuova perché è chiamata a palpitare nei nostri cuori.

Ed ecco che Marco, nel suo introdurci alla buona novella ci fa volgere lo sguardo all’indietro, ci richiama il grande profeta Isaia e rilegge l’annuncio di quel profeta alla luce dell’azione di Giovanni il Battista.

Ecco che la voce di Isaia si fa contemporanea di Giovanni e sostiene in un certo senso la sua azione, il suo annuncio. Giovanni, infatti, proprio come Isaia, non viene ad annunciare sé stesso, bensì colui che è più forte di lui e verso il quale lui non è degno.

Quanto è bella e quanto ci provoca la figura di questi due profeti talmente uniti da sovrapporsi quasi in questa pagina di Vangelo, entrambi rimandano ad altro, non rimandano a sé stessi, annunciano non una loro idea, un loro interesse, ma chiedono al popolo di prepararsi per l’arrivo di un altro… l’arrivo del Messia, del Cristo. In questo Vangelo Gesù fisicamente non è presente, eppure non c’è espressione che non ci riporti al cuore, a lui, alla sua presenza salvifica per le nostre vite.

L’annuncio di Isaia e del Battista ci aiuti a preparare il cuore per accogliere il Signore e a scorgere la sua presenza anche lì dove ci sembra di non vederlo direttamente, ci accorgeremo che non c’è istante della nostra vita che non sia intriso della sua presenza e della sua azione.

Commento alla Parola

08 dicembre

Solennità dell’Immacolata concezione di Maria

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Piena di grazia… Immacolata… quest’oggi celebriamo Maria come colei che è stata preservata fin dal suo concepimento dalla macchia del peccato. Maria si presenta a noi come l’immagine di quell’umanità non contaminata dall’illusione del peccato.

Abbiamo ascoltato nella prima lettura, nel libro della Genesi, come l’umanità si lasci sempre, in qualche modo, sedurre dalla dimensione del peccato. Il riportare al momento delle origini la dimensione di quella seduzione da parte del male è proprio il segno di una condizione comune a tutta l’umanità, nessuno può sentirsi esonerato, escluso, immune dalla dimensione del peccato perché questa è una realtà che ci portiamo dentro, che ci costituisce fin nella nostra origine.

Eppure il Vangelo ci apre ad una realtà ben diversa, ci illumina rispetto alla nostra stessa umanità e ci offre la testimonianza di cosa vuol dire in termini di gioia e libertà il non essere prigionieri del peccato. Il sì di Maria al progetto di amore di Dio per lei e per l’umanità intera, non sminuisce la sua libertà, anzi la esalta, le fa prendere in mano completamente la sua vita e la rende capace di donarla per il bene dell’umanità intera… Adamo ed Eva, con il loro peccato si sono chiusi ad una dimensione di “scarica barile”, di ricerca fuori di sé stessi di un colpevole, escludendo e non riconoscendo la propria dimensione di creature libere, capaci di scegliere e di prendersi in mano con consapevolezza. È ciò che avviene anche a noi ogni qual volta cadiamo nelle mani del peccato, rinunciamo ad una dose della nostra libertà per metterla nelle mani del male che in quel momento ha il sopravvento su di noi, ci illude, ci seduce facendoci credere che la vera libertà risieda in una chiusura in sé stessi, ci fa illudere che Dio in fin dei conti, nel crearci non abbia fondamentalmente posto una dimensione di amore, ma abbia fatto in qualche modo il doppio gioco.

È il sì pronunciato da Maria ad aver cambiato il corso della storia: Dio nella sua libertà si è sottoposto alla nostra libertà, potremmo dire che Dio in quel momento ha fatto un passo indietro in attesa che Maria esercitasse tutta la sua libertà… Dio ci ha dimostrato che essere liberi di fare un passo indietro è proprio l’essenza stessa della libertà che consente ad altri di trovare il loro spazio e di manifestare la propria libera scelta.

Maria Immacolata ci mostra l’esempio di una libertà e di una gioia veramente profonde, la gioia di chi si è preso in mano e si è scoperto amato fino in fondo, la gioia di chi ha riconosciuto che la libertà di cui ci è fatto dono non è un’illusione o una facciata, ma qualcosa di reale e profondo che riempie la nostra vita.

Commento alla Parola domenicale

03 dicembre

I domenica di Avvento (anno B)

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Vegliare… attendere rimanendo svegli… è uno stare svegli che è voluto o che è dettato da una necessità… vegliare non è questione di soffrire d’insonnia o di rimanere in un dormiveglia da parte di chi vive notti agitate…

Questa è la consegna che la liturgia in questo primo giorno dell’anno liturgico, in questo primo giorno di avvento ci consegna… la necessità di avere un cuore vigile, un cuore sveglio, un cuore pronto ad accogliere il ritorno di quel padrone che prima o poi tornerà a casa.

Anzitutto, se il padrone torna a casa, vuol dire che noi siamo in casa sua, non lui in casa nostra… quante volte sentiamo il Signore come un ospite scomodo della nostra vita, delle nostre giornate… o comunque quante volte lo sentiamo come ospite, in quanto tale, uno che siamo noi ad accogliere, a fargli un piacere ad aprirgli la porta della nostra casa, della nostra vita… e ci dimentichiamo di essere noi in casa sua…

Il brano di Vangelo ci consegna l’immagine di quei servi ai quali è lasciata in consegna la casa, non perché ne facciano quello che vogliono, ma perché se ne prendano cura con la stessa passione che il padrone stesso avrebbe per le sue cose. Questo è l’incarico di ogni servo, di ogni amministratore di cose altrui… e quanto è grave quando un amministratore confonde i ruoli e si illude di essere diventato il padrone…

Proprio in quanto servi, siamo chiamati ad attendere il Signore che ritorna nella nostra vita, non con la paura di un incontro giudicante, ma con la gioia di chi vede tornare colui al quale ha consegnato la propria esistenza.

Se un qualunque dipendente sa dell’arrivo imminente del suo diretto superiore o dell’amministratore delegato o del proprietario, certamente fa trovare la sua postazione di lavoro il più in ordine possibile, pulita, spazzata, sistema meglio che può le eventuali pratiche arretrate, si fa trovare al suo posto debitamente impegnato…

Se questo è quanto umanamente ci troviamo a fare, pensiamo che per la nostra vita spirituale è la stessa cosa, il Signore viene nelle nostre vite, nelle nostre esistenze, non da ospite magari anche inopportuno perché ci distoglie da tutti i nostri impegni che ci assillano, ma viene come colui che ci ha offerto questa vita, questa casa che siamo noi stessi, la storia e il mondo al quale apparteniamo e ci chiede di attenderlo con il desiderio di incontrarlo, di vederlo, di accoglierlo… anche noi come il personaggio dell’immagine che guida il cammino diocesano di questa prima settimana di avvento, teniamo accesa la nostra lampada, segno di un cuore acceso, disponibile, capace di vegliare e di attendere, riempiamo la nostra attesa di lui, per evitare che senza di lui rimanga solo un’attesa superficiale di cose troppo umane che non sono capaci di saziare il nostro cuore ma solo la nostra pancia. Buon cammino, buona attesa.

Commento alla Parola domenicale

26 novembre

Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo

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Nella festa di Cristo Re, quest’anno ci viene proposto il brano del giudizio finale, la parabola nella quale Gesù si presenta in uno degli atti più alti che caratterizzano l’azione del regnare… l’atto dell’amministrare la giustizia, del giudicare quanto è avvenuto, le azioni delle persone, per discernere da che parte sta la ragione e da che parte il torto… da che parte la verità e da quale la menzogna…

Il Re, in questo caso, ci viene mostrato come colui che, avendo cura di quanti gli sono affidati, si preoccupa che il loro vivere insieme sia nella dimensione, non solo di una convivenza pacifica e rispettosa, come ogni buon governante, ma sia un qualcosa di più… si preoccupa che il termine di riferimento del vivere insieme tra fratelli, sia il suo modo di incontrare ciascuno di noi.

In ciascuna delle opere di misericordia corporale che Gesù enuncia nel definire l’oggetto del giudizio, è bello scoprire che si tratta proprio dell’atteggiamento che Dio ha utilizzato nei confronti dell’intera umanità e, quindi anche di ciascuno di noi, ogni volta in cui – consapevoli o no – siamo stati in qualche modo poveri, bisognosi della sua vicinanza, del suo sostegno.

Se osserviamo infatti il senso di queste opere ecco che possiamo cogliere in esse proprio il modo di porsi di Gesù nei confronti del suo popolo, di quelle folle che lo seguivano come pecore senza pastore, alle quali non solo rivolgeva la sua parola di speranza e di invito alla conversione, ma verso le quali ha anche teso la mano riconoscendone i bisogni concreti e mostrando il volto misericordioso e amorevole del Padre che si china sui suoi figli e se ne prende cura.

Ma non solo, questa parabola si mostra straordinaria perché Gesù non solo si pone silenziosamente dalla parte di colui che ci ha donato l’esempio, ma si immedesima, potremmo quasi dire, si incarna in coloro che vivono l’esperienza di questi bisogni. Anzitutto lui ha avuto fame e sete, lui è stato spogliato, lui è stato sottoposto a giudizio, lui è stato allontanato perché straniero… ma non solo, se questo lo leggiamo nelle pagine dei vangeli, Gesù ci dice che in ogni epoca della storia e in ogni angolo, anche il più remoto, di questo mondo, dove c’è qualcuno bisognoso di aiuto, lui è lì e il nostro aiutare quella persona è la porta che ci permette di incontrare il maestro.

Chiediamo in questa settimana la grazia di saper cogliere nel volto del fratello che ci passa accanto e che vive una situazione di bisogno, il volto di Gesù, la sua presenza nella nostra città, nel nostro quartiere, magari anche nel nostro palazzo, non sia la situazione scomoda perché ci rovina l’immagine idealizzata che ne abbiamo fatto, ma sia la situazione “scomoda” perché chiamata a scomodarci, a scuoterci dalle nostre comodità e sicurezze per riconoscere lì la porta della nostra salvezza.

Commento alla Parola domenicale

19 novembre

XXXIII domenica del tempo Ordinario

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Sei stato fedele nel poco…

La parabola di quest’oggi ci provoca, quest’uomo se ne va e lascia i suoi beni ai servi, ciascuno di loro riceve qualcosa secondo le proprie capacità. I ragazzi questa settimana hanno risposto a questo brano dicendo che i servi devono essere riconoscenti perché tutti hanno ricevuto qualcosa e perché ciò che hanno ricevuto non era dovuto, non era il loro salario ma un di più… è proprio così, ma non solo hanno ricevuto qualcosa, hanno ricevuto ciò che si addiceva a ciascuno, secondo le loro capacità personali.

Non confondiamo la parola talenti della parabola con i talenti, con le capacità o propensioni che ciascuno di noi ha innate o coltivate nella propria vita… non è questa la direzione di Gesù.

Anzitutto che bello quel 5-2-1, non è una consegna impersonale, per tutti uguale, anonima, ma il Signore ci conosce bene, nel profondo e non ci consegna più di quanto possiamo portare. Pensiamo ad un’escursione in montagna, se in tre partono, un ragazzino delle elementari, un adolescente che è la prima volta che sale in montagna e un esperto alpinista, io mi auguro che i loro 3 zaini saranno diversi e non esattamente uguali, per essere equi, non devono pesare esattamente allo stesso modo, ma devono rispettare la costituzione e l’esperienza di ciascuno. Per cui il fatto che il ragazzino più giovane avrà uno zaino più leggero non è questione di sfiducia o di svantaggio nei suoi confronti, anzi, è proprio il metterlo nelle condizioni migliori per poter camminare e far fruttare il contenuto dello zaino… avere infatti un bello zaino pesante e non riuscire ad uscire dal parcheggio dove lasci l’auto forse non è propriamente far fruttare il contenuto dello zaino.

Così è per quei tre servi, ma così è per la vita di ciascuno di noi, il Signore non ci schiaccia con dei pesi che non possiamo sopportare, 5-2-1 sono proprio la misura delle nostre forze.

Ma se questa è la grazia che ci raggiunge, questa grazia ha bisogno di essere riconosciuta e trasformata in vita vera, in vissuto quotidiano. Non possiamo nascondere sotto la terra dei nostri affari quotidiani la grazia che ci raggiunge, per paura che questa grazia in qualche modo coinvolga la nostra vita, che la interpelli, che abbia qualcosa da dire al nostro modo di scegliere e di decidere… altrimenti anche noi, come il terzo servo, in fin dei conti stiamo dicendo al Signore che abbiamo paura che il suo dono non sia dopo tutto qualcosa di buono per me. Chiediamo al Signore la grazia della riconoscenza per il dono di grazia che avvolge la nostra vita e chiediamo di aprirci ogni giorno affinché questo dono ci interpelli nel cammino di conversione personale e comunitario, affinché nel nostro sentirci fratelli, tutti destinatari di questa grazia, sappiamo aprire i nostri occhi anche a chi è intorno a noi e a volte non ha nemmeno il necessario per vivere.

Di |2017-11-18T11:13:48+01:0019/11/2017|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola domenicale

12 novembre

XXXII domenica del tempo Ordinario

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Ci stiamo avvicinando alla conclusione dell’anno liturgico e la liturgia ci invita in maniera forte a restare in attesa, la parabola di oggi ci introduce proprio in questa dimensione…

10 vergini, 10 ragazze che attendono lo sposo per fare festa. Sono uguali in molte dimensioni: tutte partono con entusiasmo da casa, tutte hanno il desiderio di partecipare a quella festa, riconoscono con gioia e gratitudine l’opportunità racchiusa in quell’invito e vanno, si pongono in attesa…

Ma l’attesa stanca, logora, nel corso dell’attesa l’entusiasmo si riduce, si spegne… viene sera, si fa buio… e lo sposo non arriva… la stanchezza si fa avanti… e tutte e 10 si addormentano… che grazia il fatto che non si addormentino solo le 5 dichiarate stolte ma si addormentino tutte… sì, perché così c’è posto in questo brano proprio per ciascuno di noi… quanto entusiasmo per il Signore avvolge alcuni momenti della nostra esistenza, quante volte il nostro cuore si è rivolto a Lui con passione, con gioia, con fiducia… eppure altrettanto, quante volte il nostro entusiasmo si è spento, la nostra vita di fede, il nostro desiderio di incontrare Gesù si è un po’ addormentato…

Gesù non fa una colpa a nessuna di quelle ragazze per essersi addormentate nell’attesa, non abbattiamoci per questo, ma riconosciamo che a quel grido che si alza a mezzanotte tutte si svegliano e si danno da fare per essere nuovamente pronte al suo arrivo… l’entusiasmo si riaccende, sembra di vederle e sentirle così prese e indaffarate, così subito sveglie… quante volte nelle nostre eucarestie sembriamo addormentati, le parole ci escono a fatica dalle labbra, quasi le trasciniamo come se fossimo appena scesi dal letto… il Signore ci chiede di essere vitali, di essere vivaci di accogliere lo sposo che arriva, non un funerale o qualcosa di triste, anche dalle nostre liturgie deve trasparire la gioia dell’arrivo di questo sposo, la gioia di incontrarlo di stare con lui… ma pensate che gioia passa se uno sta ancora dormendo o ha l’atteggiamento di essere appena sceso dal letto…

Ma quelle 10 non sono tutte uguali, la loro differenza non sta nel momento dell’attesa, bensì della preparazione, 5 sagge hanno preparato l’incontro, le altre sono state più sprovvedute.

Chiediamo al Signore la grazia di saper raccogliere nel corso delle nostre giornate quell’olio che alimenterà la nostra lampada, è un olio personale, come personale è la nostra vita di fede e la nostra relazione con il Signore, è un olio che non posso chiedere ad un altro di procurarsi per me, è l’olio della fedeltà al Signore che passa dalle piccole scelte di ogni giorno.

Questo olio, raccolto dalla spremitura di ogni giornata alimenti le nostre lampade per accogliere il Signore che viene nella nostra storia, allora sarà festa, allora sì saremo con lui per la vita eterna.

Di |2017-11-11T09:53:42+01:0011/11/2017|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola domenicale

05 novembre

XXXI domenica del tempo Ordinario

Festa della dedicazione della Basilica

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Stiamo celebrando la festa della dedicazione di questa basilica e il vangelo che abbiamo appena ascoltato ci riporta proprio al centro del significato del nostro incontrarci in questo luogo.

Il rischio che corriamo ogni giorno, infatti, è quello di fermarci ad un livello di esteriorità… ad un bisogno di far vedere fuori qualcosa che non corrisponde a ciò che c’è dentro… potremmo dire che il rischio che ancora oggi si perpetua da quegli scribi e farisei di cui parlava Gesù, è quello che anche noi abbiamo ad allargare i nostri filatteri… è un edificio bello e ricco di opere e di storia quale è questo dove stiamo celebrando può proprio illuderci che stia nella preziosità o nella suntuosità delle opere a risiedere la dignità della celebrazione e la possibilità di un incontro autentico con il Signore.

Quante volte poi ci illudiamo di dover moltiplicare i gesti o le parole, quasi che quanto ci consegna il Signore attraverso la Chiesa non basti per incontrarlo veramente… quante frange ci troviamo ad allungare nella nostra vita di fede… quante volte il nostro cuore è da un’altra parte rispetto a ciò che vogliamo mostrare all’apparenza…

Il Signore ci mette in guardia rispetto a questo, ci chiede di essere trasparenti, ci invita a rendere vita quello che celebriamo tutti insieme qui, intorno a questo altare.

Se la preghiera rimane solamente una serie di parole, un bel monologo lanciato verso il Cielo, ma non lasciamo che quella stessa preghiera pervada il nostro cuore, lo inzuppi un po’ come una spugna, quella preghiera, anche nella pratica più alta quale è la celebrazione che stiamo vivendo, rimane sterile e arida… non perché l’acqua non sia capace di bagnare ma perché se quella spugna la tengo stretta in mano e non le faccio toccare l’acqua… mai si ammorbidirà per diventare capace di accoglierla.

Questa celebrazione ci aiuti a riconoscere ogni giorno che non è questione di dove celebro l’Eucarestia o dove mi trovo a pregare fisicamente… ma la questione fondamentale che dovrebbe preoccuparci ogni volta è dove si trova il mio cuore in quel momento e che disponibilità ho a far sì che il mio cuore si lasci inzuppare dalla mia preghiera, che la mia vita sia implicata veramente nella mia preghiera, quanto sono disposto a mettermi in gioco in prima persona perché i miei atti di fede diventino vita autentica, diventino porta per la mia conversione personale, allora e solo allora anche queste pietre e queste opere ci aiuteranno ad incontrare il Signore con tutto noi stessi.

Di |2017-11-04T09:45:15+01:0004/11/2017|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola domenicale

Commento alla Parola

01 novembre

Solennità di Tutti i santi

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Stiamo celebrando la solennità di Tutti i Santi, quanto è significativo il fatto che non sia una domenica bensì un giorno feriale, un giorno qualunque oserei dire… sì perché in questo modo ci sottolinea il fatto che la santità non ha a che fare con qualcosa di eclatante, di eccezionale e non è nemmeno qualcosa riservato a qualcuno, ad una piccola cerchia elitaria che, dotata di qualche capacità fuori dal comune, sia riuscita in qualcosa di sovrumano. Celebrare i santi in un giorno comune, ci fa pensare alla santità come anzitutto qualcosa di comune, di disponibile ed accessibile a tutti, alla portata di ogni battezzato. Il cammino verso la santità, la chiamata, la vocazione alla santità è già seminata in ciascuno di noi, infatti, fin dal nostro battesimo. Ogni cristiano ha come orizzonte della sua esistenza la santità. Non confondiamola con i miracoli che sono raccontati nelle agiografie di qualche santo… non è questione di operare cose straordinarie, bensì proprio come seconda sottolineatura che ci viene dal festeggiare i santi in un giorno feriale, la santità è proprio qualcosa che ha a che fare con la ferialità della vita, con quella dimensione molto ordinaria della vita di ciascuno di noi, quelle attività, quelle relazioni, quelle decisioni e scelte che siamo chiamati a compiere ogni giorno… è lì che si incarna la nostra chiamata alla santità… non in qualche ricorrenza eccezionale, in qualche scelta straordinaria…

E come può darsi, nella vita nostra, la possibilità della santità? Anzitutto si tratta di una grazia del Signore, non di una capacità nostra, che viene seminata nelle pieghe della nostra storia. Il Signore semina la grazia sulla nostra strada, la semina con abbondanza, proprio come il seminatore della nota parabola che non getta con parsimonia il seme solo dove può dare frutto. Ma la grazia, perché venga riconosciuta ed accolta, ha bisogno della nostra libera adesione, del nostro sì accogliente e disponibile affinché quella stessa grazia passi dall’essere qualcosa che ci è calato addosso a qualcosa che dona sapore alla nostra esistenza dal suo interno.

Questo è il senso delle beatitudini che abbiamo appena ascoltato, la beatitudine non è perché le cose ti vanno bene qui sulla terra, non è perché i tuoi affari ti gonfiano il portafoglio a fine mese, non è perché le tue attività di cui hai riempito la tua vita ti appagano e ti riempiono la giornata al punto da non avere più nemmeno il tempo di fermarti a chiederti qual è il senso di ciò che stai facendo… la beatitudine sta proprio nella dimensione dell’orizzonte più grande e più alto che è capace di assumere la nostra vita se sappiamo accogliere la grazia di Dio e pronunciare il nostro sì di adesione al Signore. Allora anche ciascuno di noi riconoscerà che la grazia di Dio sta agendo, allora anche noi ci riconosceremo chiamati davvero alla santità partendo dalle nostre scelte quotidiane.

Di |2017-11-01T09:05:03+01:0001/11/2017|Senza categoria|Commenti disabilitati su Commento alla Parola
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