02 settembre
XXII domenica del tempo ordinario
Se appartenere ad una religione, fin dall’antichità ha significato fare alcune cose ad esempio riti, comportamenti che identificavano in un gruppo; oppure non fare altre cose, limitazioni all’azione proprio per rispettare i dettami della religione stessa; quando abbiamo a che fare con Gesù, queste dinamiche decadono. Certo, è più facile identificare l’essere cristiani, con l’appartenere ad una religione e ad una confessione ben precisa: cristiani cattolici, ma Gesù ci chiede non di appartenere ad una religione ma in un certo senso di appartenere a lui, di diventare suoi amici, suoi discepoli.
Non è quindi una questione di esteriorità di pratiche… certo che servono anche quelle, ma il problema è dove si posiziona il tuo cuore. Per riprendere la citazione di Isaia che Marco pone sulle labbra di Gesù, è più facile onorare con le labbra che seguire con il cuore. Quanto ce ne accorgiamo anche nella nostra vita quotidiana: è più facile assecondare una persona con le parole che stargli vicino veramente con il cuore. Il nostro cuore, infatti, si presenta come un organo un po’ ribelle perché, spesso, non viaggia in armonia con la nostra mente. Quante volte ci capita di non riuscire a fare seriamente e con coerenza, qualcosa che razionalmente ci sembra la cosa giusta da fare… se non fosse così, tutti i comportamenti che potremmo definire a rischio svanirebbero in un istante… se cuore e mente fossero in sintonia, metterei a rischio la mia salute con fumo, droga, alcol, velocità o mancato rispetto del codice della strada… quante volte uno cerca di autoconvincersi della necessità di correggere certi comportamenti ma dopo qualche giorno rinuncia… il cuore non era allineato con la mente. Gesù ce lo dice anche riguardo al nostro diventare suoi discepoli. Le opere esteriori, le possiamo paragonare alle scelte della mente, possono essere solo dei gesti che vengono posti in essere per sentirci a posto. Ma a lui interessa dove risiede il nostro cuore. Solo se il nostro cuore è lì dove sono i nostri gesti, allora anche il gesto assume valore e senso, se il nostro cuore l’abbiamo lasciato sul sagrato, o a casa spaparanzato sul divano o a vedere la partita, forse anche noi rischiamo di cadere nel tranello di scribi e farisei.
Chiediamo al Signore la grazia di amarlo con tutto il cuore, di porre il nostro cuore vicino al suo, di porre il cuore in tutto quanto facciamo, in tutti i gesti anche religiosi che compiamo, allora non saranno gesti scaramantici o per tenere buono un dio lunatico o per quietare la nostra coscienza ma saranno la ricerca di una relazione profonda con il nostro creatore, colui che ci ama più di quanto noi non sappiamo fare con noi stessi.