29 luglio
XVII domenica del tempo ordinario
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Gesù ha compiuto molti segni nel corso della sua vita, ma il rischio di un segno è sempre quello di essere soggetto a diverse interpretazioni, alcune corrette, altre invece fuori strada…
La folla che ha mangiato di quei pani potremmo dire che è proprio andata fuori strada perché ha visto in Gesù un profeta che “riempie la pancia”, un fornaio a buon mercato che sazia senza nessuno sforzo i bisogni più terra terra dell’uomo. Ma il segno che Gesù ha posto, non andava in quella direzione e ce lo dimostra il suo allontanarsi dalla folla quando giungono per farlo re.
Gesù è venuto per saziare un’altra fame che è nel cuore e non nella pancia dell’uomo. La fame di senso, la fame di cura e di relazione che ognuno di noi ha nella sua vita e quanto bisogno abbiamo di nutrire questa fame, altrimenti il rischio è quello di cadere in una forma di denutrizione spirituale che pian piano toglie le forze e ci rinchiude in noi stessi illudendoci di non aver bisogno di nutrimento… un po’ come succede per i casi di anoressia…
Gesù nutre e sazia questa fame sana che abbiamo nel cuore, ma non fa questo da solo, chiede il nostro aiuto, o meglio, la nostra partecipazione a questa sua azione. Proprio come quel giorno ha chiesto l’aiuto ai suoi discepoli. Ed ecco che l’aiuto non è giunto da un punto di vista pratico di organizzazione, di fare bene i calcoli di quanto pane sarebbe servito o di quanto sarebbe costata quell’attività pastorale… bensì è giunto da quel ragazzino che ha semplicemente messo a disposizione quanto aveva con sé. Non si è sentito in imbarazzo a mettere a disposizione il poco che aveva: 5 pani e due pesci, ma li ha messi tutti nelle mani del Signore… avrebbe potuto tenersene uno per sé, tanto per stare sicuro di poter pranzare almeno lui, invece pone tutto nelle mani di Gesù, ed ecco che in quelle mani, anche il nostro niente diventa una ricchezza, diventa qualcosa capace di sfamare.
È così anche nella nostra vita e nella vita della nostra comunità… solo se siamo capaci di mettere nelle mani del Signore il poco che abbiamo, con gioia e libertà, allora il miracolo avviene, allora la fame di cura, di senso e di relazioni vere può essere sfamata, ma se dietro abbiamo solo dei calcoli di interesse, dei calcoli di ritorno in termini di immagine, di popolarità, di riconoscimento… quanto faremo non sarà capace di saziare nessuno.
Il Signore si degni di moltiplicare i nostri pochi pani che anche quest’oggi poniamo nelle sue mani, sull’altare accanto al pane che diventerà il suo corpo, perché diventiamo capaci di offrirci a lui, per il bene degli altri. Penserà lui a moltiplicare e a rendere più che abbondante il nostro niente.