15 ottobre

XXVIII domenica del tempo Ordinario

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Per parlare del Regno dei cieli, Gesù si serve di parabole, di immagini che aiutino ad entrare nel cuore del Padre e aiutino a riconoscere nel Figlio l’atto supremo di amore di Dio per l’umanità intera.

Anzitutto sottolineiamo la dimensione dell’invito. Un invito a nozze, ed in particolare alle nozze del figlio del Re. Si tratta di un invito, non di un editto che il re avrebbe potuto promulgare con un atto coercitivo e, quindi rendendo obbligatoria la partecipazione a quella festa. Il re gioisce per le nozze del proprio figlio e vuole rendere partecipi, attraverso un invito alcune persone. Se sono invitato vuol dire che non sono obbligato a partecipare; d’altro canto però, se uno mi invita è segno di una stima, di un’amicizia, di una relazione che è presente. Eppure questi invitati non se ne curano… hanno di meglio da fare: devono curare il proprio campo o, comunque, i loro affari.

Certo possiamo cogliere come non si tratti di un re come i sovrani che siamo abituati a trovare nei libri di storia… un re che quasi prega quegli invitati di voler far festa con lui, e manda per due volte i suoi servi a chiamarli… è il Signore che continuamente ci cerca, non demorde, vuole fare festa con noi, vuole che cogliamo in quella festa qualcosa di molto più grande dei nostri affari quotidiani…

Ma quegli invitati non se ne curano e addirittura uccidono i messaggeri… sembra di scorgere i vignaioli di settimana scorsa che uccidono gli invitati… e l’ira del re si accende, non tanto per il rifiuto a partecipare alla festa, ma Matteo sottolinea che fece uccidere quegli assassini… è quella violenza che fa adirare il re perché quegli invitati non erano degni di fare festa con lui… è dalle loro opere che si riconosce il non essere degni, non è questione di stato sociale e nemmeno di giudizio morale…

Ecco che l’invito allora si allarga a tutti quelli che si troveranno, cattivi e buoni… ma decidere di aderire all’invito non è sufficiente, non basta dire di sì al Padre, come dicevamo quindici giorni fa, infatti partecipare a quella festa vuol dire anche dover indossare l’abito nuziale, è l’abito della conversione, di una partecipazione che non sia solo di convenienza, ma che in qualche modo tocchi la nostra vita e la nostra esistenza.

Se con gioia accogliamo l’invito a nozze che il Signore ogni settimana ci fa, se ci accorgiamo nella nostra vita della cura e della considerazione che Dio ci rivolge invitandoci a festeggiare con lui, siamo chiamati ad aderire con l’abito giusto… nell’abito possiamo metterci un po’ tutto il nostro modo di aderire al Signore… partecipare ad una festa con il muso lungo è, in un certo senso, aver sbagliato abito. Così accogliere l’invito del Signore alla sua festa con risentimenti e animo inacidito verso i propri fratelli vuol dire non aver indossato l’abito giusto. Il Signore ci rivesta dell’abito nuziale, così come il giorno del nostro battesimo ci ha vestiti di quell’abito bianco. Allora sarà festa vera.