26 febbraio
VIII domenica del Tempo ordinario
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Non preoccupatevi… è un invito forte del Signore, quello che ci raggiunge oggi. Gesù non ci chiede di passare la vita in ozio o in attesa che gli avvenimenti ci precedano e si risolvano da soli, ma ci chiede di non preoccuparci. L’occupazione nelle cose di ogni giorno serve, è importante, per riprendere la saggezza degli antichi è ciò che nobilita l’uomo. Mentre l’ozio è padre dei vizi. Occuparsi di chi e di ciò che ci circonda è proprio della natura umana, è ciò che il Creatore stesso ha fatto quando ha consegnato il giardino ad Adamo ed Eva perché lo coltivassero, ma anche dopo la cacciata Dio ha chiesto all’uomo di coltivare la terra col sudore della sua fronte; ma lo stesso Gesù si occupa delle cose del Padre suo, così risponde a Maria e Giuseppe quando lo ritrovano dodicenne nel tempio dopo tre giorni di ricerche.
Se occuparci è cosa buona, pre-occuparsi è l’atteggiamento di chi confida solo in sé stesso, nelle sue forze, nelle sue capacità, in ciò che possiede. È il modo di porsi di fronte alla vita, agli altri, agli avvenimenti partendo da quanto uno ha, ponendo in quello la sede della propria forza.
Chi si affida alla ricchezza come sicurezza per sé e per il proprio futuro, via via relega il Signore solo in un angolino del proprio cuore, non gli lascia lo spazio di agire… potremmo dire che il nostro cuore è troppo piccolo perché ci stiano entrambi: o c’è posto per il Signore oppure c’è posto per la ricchezza. Infatti se io ho la sicurezza di quanto ho, oppure di conoscenze “in alto” o che contano nella società, oppure ho una posizione sicura e intoccabile che mi fa stare con le spalle coperte perché tanto qualunque cosa faccio o dico nessuno mi può far nulla… che bisogno ho di confidare nella presenza e nella cura premurosa e amorevole di Dio? Mi basteranno le cose o le relazioni terrene… peccato che in questo modo il nostro cuore potremmo definirlo un po’ malato di miopia, incapace di vedere al di là dei pochi o tanti anni che la vita ci regalerà. Se, invece, io ripongo la mia fiducia in Dio, riconoscendo anzitutto che il suo dono mi precede sempre, al punto che io stesso sono un dono, non mi sono creato da solo, lui mi ha donato la vita, questo corpo, questa storia… non credo che nessuno di noi si accontenti di sentirsi un incrocio casuale seppur ordinato di cellule… Allora mi occuperò delle cose che mi circondano e della mia stessa vita, non con l’ansia di chi ha qualcosa da difendere, ma con la riconoscenza di chi incontra proprio anche attraverso questi doni straordinari che si rinnovano ogni giorno il proprio Creatore e lo riconosce come Padre premuroso che sa di cosa abbiamo bisogno perché ci conosce persino meglio di noi stessi.