02 ottobre
XXVII domenica del Tempo Ordinario
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Quanto siamo portati a misurare noi uomini, a valutare, soppesare, giudicare… non solo gli altri o ciò che avviene intorno a noi, ma perfino noi stessi. La domanda posta dagli apostoli fa intravedere proprio questo, la necessità della misurazione per cui sentendosi mancanti si trovano a chiedere al Maestro che accresca la loro fede…
Peccato che la fede non è come la farina, non può andare né a peso né a quantità o volume… al punto che Gesù risponde dicendo che basterebbe una fede piccolissima per fare cose grandissime… stiamo però attenti ancora una volta all’uso delle immagini che fa Gesù… perché credo che nessuno di noi abbia mai detto ad una pianta di sradicarsi… o sia mai riuscito a farlo qualora ci avesse provato… ma non per questo forse, dobbiamo abbatterci dicendo di non aver fede.
La fede significa abbandono in Dio, riconoscere che non sono io ma è Lui a guidare ed orientare la mia vita. Quando riesco ad accogliere ed accettare questo, quando non voglio essere pilota e navigatore, mappa, bussola e meta della mia vita… allora riesco a lasciare posto perché la grazia di Dio possa agire in me facendo anche cose grandi, facendomi vivere esperienze che non mi sarei aspettato, aprendo il mio cuore alla gratitudine e alla gratuità di chi si riconosce donato e non “dovuto” al mondo.
E così ecco entrare in gioco la seconda parabola. Dio non è il nostro padrone che cinicamente chiede al servo stanco di lavorare ancora per lui che se ne sta in panciolle a godere della sua ricchezza; l’immagine ci rimanda invece alla dedizione di quel servo che si offre interamente per il suo Signore. Si tratta di quella gratitudine e gratuità di cui accennavo prima. Il servo, il cristiano pone tutta la sua esistenza nelle mani e nella misericordia del Signore il quale non spadroneggia su di noi, ma ci avvolge di amore.
Ponga il Signore nel nostro cuore la mansuetudine, la docilità, la gratitudine di chi riconosce di aver posto il senso della sua esistenza in mani sicure, di chi comprende che il Signore non tradisce, non ti abbandona, ma ti assicura ciò di cui hai bisogno.
Quanta libertà serve per pronunciare quella frase finale: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”. Ci libera da noi stessi e dai condizionamenti che abbiamo intorno, ci aiuta a riconoscere che il di più viene fatto non da noi, dal nostro impegno, dai nostri programmi, ma è la grazia di Dio che dona compimento alla nostra esistenza e diviene mèta della nostra vita purché le permettiamo di essere bussola della nostra esistenza.