28 agosto
XXII domenica del Tempo Ordinario
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Siamo anche noi fra quegli invitati che ascoltano le parole di Gesù durante quel pranzo. Un pranzo importante perché era quello del giorno di sabato e per la presenza di un rabbi della levatura di Gesù.
Il pasto è l’occasione propizia anche per annunciare lo stile del discepolo, per annunciare la conversione al Vangelo. Anzitutto Gesù invita all’umiltà, quella vera, quella che non è ostentata perché la si noti, ma l’umiltà di riconoscere che l’unico a poter assegnare i posti è colui che ha invitato, l’ospite non ha diritto potremmo dire a fare le graduatorie, a conoscere il rapporto che l’invitante ha con il resto degli invitati… solo al Signore spetta conoscere questo, come è facile rischiare di fare degli scivoloni non rendendoci magari nemmeno conto di fare delle classifiche, delle graduatorie…
Ma ancora, l’invitato è chiamato ad occupare l’ultimo posto, con la più grande serenità, con la gratitudine grande di aver ricevuto l’invito e, diversamente di altre parabole che ben conosciamo, di aver accolto l’invito a partecipare a quel pranzo. Già l’essere lì perché chi ha organizzato il banchetto ti ha voluto vicino a lui, ti ha scelto tra i suoi invitati, deve essere motivo di gioia e riconoscenza, che bisogno hai di guardare gli altri dove sono seduti, tu ci sei, un posto per te c’è, il Signore ti ha voluto alla sua mensa.
Ancora, l’invito è ad occupare quell’ultimo posto non per una carenza di autostima, non come chi dice mi metto qui perché non so fare nulla, perché voglio stare a distanza… e nemmeno però con il cruccio di non essere più avanti o con l’attesa che davvero il Signore venga a dirti quel vieni più avanti… che vita triste sarebbe… come rovinarsi il banchetto.
Quanta libertà ci trasmette Gesù con l’insegnamento di oggi, libertà dagli sguardi altrui e dal tenere sotto il nostro sguardo gli altri, libertà dal fare di ogni cosa un’occasione di mettersi in mostra… e ce lo sottolinea con la seconda parte del suo insegnamento, quando ci chiede di ribaltare le parti e di diventare a nostra volta capaci di invito e accoglienza nei confronti degli altri, un invito che non deve essere misurato su un contraccambio, su un ritorno personale che il mio gesto la mia azione può in qualche modo restituirmi o come immagine o come contraccambio dell’altro o come riconoscenza da parte della comunità o di quanti mi stanno accanto, questa non è un’azione né libera né tanto meno gratuita e quanto è brutto incontrare persone che vivono la loro esistenza tutta misurata sul contraccambio, sul ritorno personale… il rischio di risentimento, che la loro percezione sia di essere perennemente a credito, che gli altri non facciano mai abbastanza rispetto a quanto fanno loro è lì a rovinare anche l’opera più bella e più alta che possono aver compiuto… facendo percepire odore di marcio, di morte dietro quel gesto.
Chiediamo al Signore la libertà e la gratuità, allora sì i nostri gesti avranno con sé il profumo del bene, quello vero, saranno come il profumo dei fiori di S. Alessandro che stiamo benedicendo in questi giorni.