19 giugno
XII domenica del Tempo Ordinario
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Siamo all’inizio dell’estate ed eccoci davanti a Gesù che si trova in un luogo solitario a pregare. È un’immagine molto bella e significativa: lui, il Figlio di Dio, sente il bisogno di fermarsi, di uscire dal frastuono della vita di ogni giorno, perfino di smettere di predicare, annunciare, fare miracoli per un po’… per mettersi in sintonia con il Padre. Un tempo e un luogo indefiniti per sottolineare che ogni momento e ogni luogo possono aiutarci a tornare al Padre, a volgere ancora verso di lui la nostra preghiera. Rallentiamo pure tutte le nostre attività che ci soffocano, ci riempiono la giornata e proviamo a consegnarci a Lui nella preghiera, porre nelle sue mani, con fiducia quanto stiamo facendo, ci accorgeremo che la nostra vita assume un sapore diverso e gli impegni saranno meno schiaccianti.
Ma dopo la preghiera Gesù pone quella doppia domanda ai suoi discepoli: le folle… ma voi… chi dite che io sia? Non è il sondaggio di opinione, ma Gesù vuole portare i suoi discepoli a comprendere meglio ciò che sta facendo, li vuole aiutare a riconoscerlo sì come il Cristo, ma non un cristo condottiero, liberatore dall’oppressione politica dell’impero romano, un cristo, un messia che non è aggrappato alla propria vita ed esistenza, ma che, al contrario, potremmo dire è aggrappato alla croce. Il Figlio di Dio non lo puoi comprendere né riconoscere se non a partire da quella croce che gli verrà posta sulle spalle ma che non vuole portare da solo, ma al contrario chiede ad ogni discepolo e, quindi anche a ciascuno di noi di prendere ogni giorno per andare dietro a lui.
Il nostro cammino da discepoli del Signore, non avviene se non portando la croce ogni giorno. Il che non vuol dire che Gesù ha il gusto per la sofferenza, non è un masochista che si diverte a soffrire e a far soffrire; la croce fa parte della nostra vita, così come ha segnato la vita di Gesù. Si può accogliere o subire, si può accettare o cercare di scappare di far finta di non vedere o sentire… ma questo non è essere discepoli. Perché il discepolo è chi ha imparato dal Maestro a donare la propria vita per gli altri, proprio come Gesù ha fatto dall’alto della croce.
Donare sé stessi non vuol dire solo arrivare ai grandi gesti di martirio per la fede o per salvare altri, sono anche quelle piccole opere di attenzione agli altri, di servizio gratuito verso la propria famiglia o la comunità… tutte le volte nelle quali metto a disposizione la mia vita, con tutti i pregi, i doni e i difetti che porto con me, in quel momento sto perdendo la mia vita perché non la trattengo come qualcosa di mio ma la metto a disposizione degli altri.
Il Signore ci aiuti a consegnare la nostra vita a lui nella preghiera e ai nostri fratelli nel servizio.