28 febbraio

Leggi le letture di questa domenica

Quante volte capita anche a noi, magari, di fare un po’ lo stesso ragionamento di quei farisei che si presentano a Gesù chiedendo in un certo senso che male possono aver fatto di particolare quelle persone colpite in maniera così forte da eventi tragici o inspiegabili…

Ci spiazza sempre la risposta che Gesù offre: “credete che fossero più peccatori o più colpevoli”… il nostro modo di ragionare ci pone sempre in una dinamica di causa-effetto, di ricerca di qualche motivazione che giustifichi un avvenimento di tale portata. Gesù afferma che quanto è successo non è da interpretare né come castigo, né come conseguenza meritata di qualcosa che quelle persone possono aver fatto.

È un po’ come quando ci capita di sentire o, magari, di dire noi stessi: “che male ho fatto perché mi capiti questo…” la direzione del pensiero è la stessa: il Signore mi sta castigando per qualcosa che posso aver fatto, per un peccato, una cattiva azione…?

Gesù ci ammonisce e ci invita invece a considerare la necessità della conversione per realizzare una vita capace veramente di portare frutti e frutti buoni.

Non come quel fico che sfrutta il terreno ma è incapace di dare frutto. Quante volte la nostra vita spirituale è un po’ come quel fico: incapace di dare frutto, sterile o meglio… egoista, una vita che cerca di trattenere tutto per sé, senza aprirsi a generare nulla, incapace di donarsi… sì perché, in fondo, il frutto per una pianta ha queste due caratteristiche: quello di essere qualcosa di generato e capace a sua volta di generare una nuova pianta e il fatto di essere fondamentalmente un dono in quanto viene consumato da quanti lo gustano. Una pianta non trattiene i suoi frutti, altrimenti marciscono e diventano inutili.

Peccato che il fico della parabola di frutti non ne produce proprio. Ma il contadino non si arrende e propone al padrone del terreno di attendere ancora un anno affinché possa prendersene cura in maniera particolare. COLTIVARE è, allora, il verbo che caratterizza il tema di questa settimana. Sì perché in fin dei conti la nostra anima, il nostro spirito, la nostra vita spirituale ha bisogno di essere coltivata, non può essere lasciata allo stato “selvatico”, come un albero non curato, ha bisogno che le zappiamo intorno, che le diamo del concime, insomma che ci prendiamo cura anche di questo aspetto della nostra esistenza.

E il prenderci cura non è per paura di quelle conseguenze di cui accennavo all’inizio, ma un prendersi cura perché se non si producono frutti si diventa una pianta sterile, incapace di donarsi agli altri. Il tempo, l’occasione ci viene offerta, la possibilità per quel fico è prorogata per un anno, il Signore si aspetta frutti veri di conversione, di vicinanza a lui, si aspetta che ci prendiamo cura della nostra anima, della relazione tra di noi e con lui. Giocare con lui confidando che tanto quella pianta non verrà tagliata ma c’è sempre tempo potrebbe essere molto pericoloso. Ce lo dice anche la lettera ai Galati: “Non ci si può prendere gioco di Dio. Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato”. Prendiamo sul serio questo tempo che abbiamo ancora davanti a noi e viviamolo con spirito di autentica donazione agli altri e al Signore, allora i frutti ci saranno e, col Suo aiuto, saranno davvero frutti buoni e succosi.